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Articolo 21 - Editoriali
Guerra e pace. Lo strano interludio che ci separa dall’abisso al tempo di Berlusconi.
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di Gianni Rossi

Tra una guerra mondiale e l’altra c’ è sempre un periodo di pace instabile, che serve “per riprendere fiato”, per rimettere in moto l’economia appena distrutta, “leccarsi le ferite”, riorganizzare i conflitti sociali, trovare “nuovi nemici”. Dalla fine della Seconda guerra mondiale ad oggi sono passati 66 anni, eppure il mondo ha quasi subito affrontato “conflitti regionali” che comunque coinvolgevano le potenze mondiali, uscite vittoriose dalla lotta al nazifascismo e al neoimperialismo nipponico: Corea del Nord contro quella del Sud, l’Indocina in fiamme (Vietnam, Laos, Cambogia), la crisi dei missili a Cuba, la “cortina di ferro” tra un’Europa occidentale, libera e democratica, e un’Europa oppressa dal “tallone di acciaio” dell’espansionismo sovietico. Turchia contro Grecia per Cipro, poi divisa in due staterelli; Israele contro l’Egitto, il Libano, la Siria e il resto del mondo arabo; il Kossovo e la rovinosa caccia etnica tra popoli affratellati; il Corno d’Africa in fiamme; l’Iraq prima contro l’Iran, poi contro il Kuwait, per arrivare alla cacciata di Saddam Hussein e all’Afghanistan.

Oggi la “guerra umanitaria” per cercare di salvare i libici dalla follia sanguinaria del loro dittatore Gheddafi. Nel mezzo, le rivoluzioni anticoloniali che hanno ridisegnato stati e confini in Africa, in un turbinio di lotte fratricide che hanno insanguinato i primari ideali di libertà e autodeterminazione. I continui colpi di stato nel Centro e Sud America, con il corollario tremendo di torture, sparizioni e stermini di massa. Questo è stato il “secolo breve”, illuminato dalle più grandi scoperte della scienza e della tecnologia, e che estende la sua lunga ombra nera in questo scorcio del Duemila. Certo, nazioni prima impelagate nel sottosviluppo, oggi sono diventate protagoniste dell’espansione economica, grazie alla globalizzazione e alla simultaneità delle operazioni finanziarie, spinte verso le più selvagge speculazioni anche con l’ausilio del WEB e dei media satellitari. Il mondo “degli altri” inizia non più fuori dai nostri confini, ma già dentro casa, con le finestre internettiane che ci immergono nelle vicende che accadono anche a migliaia e migliaia di kilometri di distanza. La “Rete” ha accorciato i tempi, le distanze, ha miscelato le culture, i comportamenti, ma ha anche sviluppato un virus: l’instabilità permanente.

La democrazia si esporta con la Rete, oltre che con le armi! Il lungo interludio che ha fatto crescere l’Europa in uno spirito di libertà e di condivisione del futuro dagli anni Sessanta fino agli inizi del  Duemila ha come protetto quest’area geopolitica dalle intemperie belliche che accadevano oltre i confini di un tempo. Ma quest’interludio sta scemando! Più che il terrorismo fondamentalista a insinuare crepe nella diga pacifica della stabilità europea, è stata la crisi finanziaria ed economica che da oltre 3 anni sta scardinando i modi di vivere della collettività. E’ l’ennesima crisi devastante del sistema capitalistico liberista. Il virus dell’instabilità ha permeato prima l’ingordigia dei grandi attori della speculazione finanziaria: banche d’affari e tradizionali , società multinazionali legate al vecchio sistema di sviluppo industriale, gruppi di potere economico-politico-mediatico. Poi, i sistemi democratici, figli delle dottrine politiche della fine Ottocento, aggiornate nel secondo dopoguerra, non hanno retto ai cambiamenti in corso. Ecco allora predominare classi dirigenti e politiche conservatrici nel pieno di una lunga e dolorosa recessione, che non trova i naturali ostacoli dei conflitti sociali.

La cosiddetta “fine delle ideologie” ha creato un vuoto pneumatico nelle coscienze delle classi sociali più esposte alle crisi: operai, impiegati, ceti medi produttivi, piccoli e medi imprenditori e artigiani, giovani, donne e pensionati. Il futuro è messo in forse e l’avvenire è una precarietà permanente. La Rete spinge questi protagonisti a rifugiarsi in una immensa “piazza virtuale” della contestazione, che solo in qualche occasione si tramuta in protesta reale, ma che purtroppo non incide nel ribaltare i rapporti di forza dentro le istituzioni democratiche. Le elezioni sembrano non realizzare più il momento del cambiamento, anzi con la crescita montante dell’astensionismo e la frammentazione dei movimenti di opposizione, si rafforza il potere dei gruppi dominanti, di coloro che sono gli artefici di questo disastro epocale. Le rivolte nel mondo arabo, dall’Egitto, alla Tunisia, all’Algeria e alla Libia, ma anche quelle meno “coperte mediaticamente” come in Siria, Yemen e altri piccoli stati della penisola arabica, stanno modificando le analisi compiacenti dei servizi segreti occidentali e delle oligarchie al potere in Occidente: il pericolo non viene da una “guerra di civiltà” o da un fondamentalismo islamico, che dal 2001 ci aveva condotto verso la deriva angosciante ed isterica del “nemico arabo”. Quelle analisi sono servite solo ad arricchire alcuni grandi gruppi che operano nei settori della difesa, della sicurezza privata, dello sfruttamento delle risorse energetiche (petrolio e gas), dell’estrazioni di oro e diamanti e di altri metalli pregiati, oltre che di materiali utili per l’energia nucleare.

In questo lungo autunno dell’iperliberismo neocapitalistico si affaccia così il pericolo bellico. La rivolta delle nuove generazioni arabe è anche frutto dell’immediatezza della Rete, delle TV satellitari e dei telefoni cellulari: idee di democrazia e stili di vita che si sono diffusi nel pianeta, sradicando il potere censorio delle oligarchie islamiche. Ma hanno aperto altre falle alla diga dell’Occidente opulento.E’ una marea in piena, uno tsunami che sta montando e che pone gli uni contro gli altri proprio i governi retti dal conservatorismo più gretto e incolto. Il caso Italia è esemplare! Il regime berlusconiano, che da 17 anni tiene in scacco il sistema democratico e sta distruggendo qualsiasi risorsa economica privata e pubblica, ora scopre nemici sempre più agguerriti ai propri confini virtuali. Dopo l’opposizione tardo-comunista, la magistratura rossa e i media infedeli, si appalesano i nuovi “barbari”: francesi, tedeschi, nordeuropei in generale. Il peccato originale del gruppo di potere autarchico che ha come leader indiscusso Berlusconi è eclatante: i conflitti di interessi. Berlusconi entra in politica per difendere i suoi interessi privati, aggirare le leggi che avrebbero punito i suoi affari e per distruggere l’autonomia della magistratura, che indagava sul suo impero mediatico. Questo gruppo di potere aziendalista, presto allargato ai leghisti di Bossi e a svariati esponenti della vecchia guardia politica della “Prima repubblica”, come socialisti, democristiani ed post-fascisti, utilizza tutti i sistemi mediatici per trasformare l’agone politico in un palcoscenico di second'ordine.

Berlusconi eccelle in questa tecnica come impresario e  come "capocomico", trasformando il messaggio mediatico della sua politica in cabaret: il suo reality show quotidiano è una sorta di “Drive in” ( rivoluzionario programma comico di successo su Italia 1 negli anni Ottanta)! Ma questa volgarizzazione della politica in mano a chi da oltre 17 anni spadroneggia nelle istituzioni democratiche e le governa da quasi 10, scegliendo la sua compagnia di giro tra “improvvisatori” e “servi sciocchi”, porta inevitabilmente il paese oltre l’orlo del precipizio.  La decadenza etica del "capocomico" e l'acquiescenza di una parte dell'opinione pubblica a lui favorevole e della stessa Chiesa per i suoi comportamenti amorali, non fa che aggravare lo scenario di un regime ormai allo sbando.

Per questo si devono creare continui allarmismi e sempre nuovi nemici. Non essendoci più paradigmi ideologici, a questo scopo non servono neppure le categorie tradizionali di “conservatori, cristiano popolari, liberali”. E dunque, anche gli “amici” esteri di ieri diventano i nemici di oggi (Sarkozy, Merkel, ma anche lo stesso Gheddafi), le istituzioni sovranazionali si trasformano in “inutili orpelli”, che imbrigliano le trovate futuriste dell’autocrate e dei suoi sodali. La realtà dura e difficile del paese, i problemi concreti, vengono trasfigurati e superati come si trattassero di puntate già andate in onda di un reality, che ormai non interessa più gli spettatori-elettori. Si punta sempre più a sciocchizzare il pubblico con nuove "trovate sceniche", si va oltre il canovaccio della sceneggiatura già pessima.

Si arriva così alla tragicommedia: il regime entra nelle spire di un’implosione, che può far detonare o le tensioni sociali o una sorta di evento bellico regionale. E’ sintomatico dell’estrema debolezza di analisi da parte delle opposizioni il non rendersi conto come “l’opera buffa” del governo berlusconiano stia, giorno dopo giorno, alzando il tiro contro nemici inventati o palesando disastri imminenti, grazie alla potenza di fuoco mediatica di cui dispone. Non bisogna invece banalizzare le dichiarazioni allucinanti e fuori dal contesto storico che presidente del consiglio, ministri, parlamentari della maggioranza e media al loro servizio utilizzano con estrema incoscienza. Non sono "dilettanti allo sbaraglio", che partecipano all'ennesima "Corrida": sono le punte di diamante dell'imbarbarimento della politica mediatica, l'espressione più becera di alcuni gruppi di potere, che vogliono "spolpare l'osso" di quella che fu un tempo la sesta potenza economica mondiale.

La crisi economica e finanziaria che il mondo occidentale per primo sta attraversando è ancora lontana dal concludersi, mentre si allargano anche nei paesi meno ricchi gli effetti di questa nefasta congiuntura, proprio nel momento in cui quest’ultimi scoprono i vantaggi dei sistemi democratici e le loro nuove classi dirigenti vorrebbero usufruire dei benefici dello sviluppo capitalistico e delle innovazioni tecnologiche. Sta qui il cortocircuito storico che potrebbe innescare nuovi conflitti zonali e anche nuove forme di belligeranza. Proprio per non risolvere alle radici le cause di una crisi che, lo ricordiamo, non è solo ciclica, ma straordinaria e senza possibilità di essere risolta dalle ricette iperliberiste e neocapitalistiche. E non si intravvedono leader o nazioni che propugnino modelli di sviluppo e di coesistenza democratica pacifica, alternativi, come avvenne  a cavallo delle due Grandi guerre mondiali: il capitalismo democratico anglosassone, il New Deal roosveltiano, il socialismo illusorio sovietico, la Nuova Frontiera kennediana, la via europea al welfare state.Oggi lo strano interludio sta per concludere la sua parabola. E all’orizzonte si profila qualcosa di antico e sinistro. E l’Italia, purtroppo, è in prima linea, senza difese e senza alternative. 

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