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Articolo 21 - Editoriali
25 Aprile. A quando la Liberazione dalla “guerra civile” strisciante del regime berlusconiano?
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di Gianni Rossi

Sono passati 66 anni, ma la “guerra civile” che ci liberò dai nazifascisti, con l’aiuto determinante degli Alleati, non è ancora terminata. Certo i “padri fondatori” della Repubblica ci hanno consegnato una Carta Costituzionale lungimirante e progressiva, ma lo stato italiano lungi dal compiere il 150 anni dalla sua Unità, è ancora un crogiuolo di odi, rancori, contrapposizioni strumentali, revanscismi e revisionismi storici.  “Fatta l’Italia sono ancora da fare gli italiani”, purtroppo!

Il 25 Aprile di quest’anno si intreccia con le festività pasquali e le agiografiche celebrazioni per la Beatificazione del papa polacco Giovanni Paolo II. Grande personaggio per la storia contemporanea, papa Wojtyla, che seppe con la sua testimonianza sofferente rompere il “Muro”, far breccia nella “Cortina di ferro”, aprendo una fase nuova e democratica per tutte le popolazioni dell’Est Europa, che erano soggiogate dall’oppressione sovietica. Da quella sua opera di “testimonianza evangelica” trovò anche nuovo impulso la spinta per consolidare una comunità europea,fino alla nascita del’Euro, in grado di superare gli orrori e gli errori delle due Grandi guerre, degli stermini di milioni di ebrei, partigiani, slavi, rom. Un semplice “pastore di anime” con il suo esempio e la sua capacità di “affabulare” riuscì là dove gli uomini politici per decenni avevano fallito: l’allargamento dell’Unione Europea e il consolidamento di un senso comune di appartenenza. Questo il significato più appropriato oggi del 25 Aprile!

Ma l’Italia è purtroppo tornata indietro nella ruota implacabile della storia! Da 17 anni un regime autocratico e mediatico ha seminato i germi dell’instabilità e della contrapposizione sociale. Nel volgere di pochi anni si è stravolta la convivenza civile e si è concretizzata una delegittimazione della Costituzione, nata appunto da chi aveva donato il proprio sangue per la libertà dell’Italia. Dal secondo governo Berlusconi è iniziata la progressiva distruzione dell’impostazione “ternaria” su cui si basa la moderna democrazia: la distinzione dei tre poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario); i capisaldi dell’ordinamento giuridico, i “contrappesi” istituzionali perché nessuno dei tre poteri sopravanzi l’altro. La lunga marcia di Berlusconi per “ripulirsi” da qualsiasi pendenza penale e sviluppare senza regole concorrenziali i suoi affari ha portato un gruppo di potere di “estrema destra”, non conservatrice, liberale europea, ma nostalgica del Ventennio fascista, a destrutturare le regole della democrazia e ad avvelenare i pozzi dell’economia e dello stato sociale; così come era stato disegnato, seppure con molti difetti, dal dopoguerra in poi sia dai governi democristiani sia con la forza di contrapposizione del partito comunista e dei sindacati.

Ora non passa giorno che arrivano “picconate” contro singoli articoli della Costituzione o contro il sistema di garanzie istituzionali (dall’uso padronale del Parlamento, allo stravolgimento dei Referendum, alla delegittimazione della magistratura, della Corte costituzionale e della Presidenza della Repubblica), così come il liberalismo dall’Ottocento in poi aveva contribuito a sistematizzare le democrazie occidentali. La stessa profonda e irreversibile crisi del neocapitalismo iperliberista, inziata nel 2008, sfruttando malamente la globalizzazione e la delocalizzazione, sta facendo precipitare le antiche democrazie europee verso lidi neo-conservatori, euroscettici e xenofobi, anziché aprire la strada a nuove maggioranze socialdemocratiche, come avveniva fino alla fine del Novecento.

66 anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, mai il clima politico e sociale per l’Italia e l’Europa è stato così fosco, grigio e gravido di incognite! Berlusconi impersona la “pancia autoritaria” che sempre ha allignato in una parte considerevole (non maggioritaria, certo!) del popolo italiano, mentre la Lega ha tesaurizzato le aspirazioni di divincolarsi dai “lacci e lacciuoli”  della burocrazia centralista romana, unendo il proletariato delle fabbriche con la piccola imprenditoria, gli artigiani, le libere professioni, i coltivatori e allevatori delle valli pedemontane. Berlusconi e Bossi, con la “mente sottile” del fiscalista principe Tremonti, hanno riaggregato un blocco sociale, in qualche modo irredentista e statalista, illiberale e individualista, antieuropeista e xenofobo, come fu per Mussolini e Beneduce (il creatore dell’IRI e della politica economica del Ventennio).

Lo stravolgimento mediatico dello scontro politico, non più relegato nelle tradizionali sedi dei partiti, delle piazze comizianti, ha fatto il resto.  “Il personale è politico” del Sessantotto è diventato un modo di anteporre i propri interessi privati, grazie al potere politico, privatizzando le istituzioni occupate con i sistemi legali delle “libere elezioni”. I tanti conflitti di interessi hanno creato un regime antidemocratico e una strisciante “guerra civile” non guerreggiata tradizionalmente. L’uso dei telegiornali pubblici e privati, degli spazi televisivi di intrattenimento e informazione al mattino e al pomeriggio, o dopo i TG, la riduzione drastica dell’autonomia ideativa e produttiva della RAI, un tempo comunque baluardo del pluralismo e della promozione culturale, hanno prodotto un “lavaggio” subliminale della pubblica opinione, che solo in minima parte riesce a ritrovare spazi di libertà intellettuale attraverso la Rete, il  WEB.

66 anni dopo, dunque, il messaggio delle formazioni partigiane, del CLN, del movimento resistenziale europeo è più attuale che mai: “Indignatevi! Impegnatevi! Resistete!”. Ma, allora, le ”grandi  famiglie” della politica erano pervase da un idealismo che, seppure le teneva distinte, le spinse ad unirsi, per ridisegnare un futuro di pace e di sviluppo, con al centro l’essere umano solidale. Oggi queste “grandi famiglie”  si sono estinte e soprattutto a sinistra si paga caro l’appiattimento ideologico e strategico  della socialdemocrazia verso le teorie del “neocapitalismo compassionevole”.

Se vogliamo che le nuove generazioni abbiano un futuro di opportunità e felicità; se vogliamo ritrovare nuova lena per puntellare l’edificio traballante dell’Unione Europea (l’assurdo caso del Belgio, che dopo oltre un anno dalle elezioni non ha un governo!); se vogliamo trasformare la “guerra civile strisciante” in Italia in una dialettica politica produttiva, allora dobbiamo ritrovare “lo spirito” della Resistenza, aggiornato al tempo della Rete, delle libertà individuali e del rispetto della privacy, per una forma di stato leggero eppure presente nel tutelare i bisogni e i diritti inalienabili e necessari: dalle reti di distribuzione di acqua, gas, energie, trasporti, TLC, media,  alle istituzioni per il sapere e la conoscenza, l’assistenza sanitaria e previdenziale, lo sviluppo economico.

Un New Deal non solo italiano ma europeo, per interrompere la marcia tragica del neocoservatorismo, che può solo riportarci indietro nel tempo della Storia: appunto ad uno stato di “guerra civile” strisciante e non dichiarata.             E stavolta noi italiani siamo tremendamente soli, perché i nostri tradizionali alleati sono alle prese con le loro rispettive crisi economiche  e sociali, mentre tutt’attorno a noi il pianeta arabo nord-africano e mediorientale è in fiamme, alla conquista della propria Liberazione. 

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