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Articolo 21 - Editoriali
Quella direttiva rimasta inapplicata
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di Bruna Iacopino

Il reato di immigrazione clandestina e la successiva detenzione come stabilito dalle modifiche introdotte al Testo unico sull'immigrazione, dall'attuale Governo ( e fortemente volute dalla Lega) confliggono in maniera palese con la direttiva emanata in materia, da parte dell'Unione Europea. Questa volta non è semplicemente un monito quello che giunge da Oltralpe, ma una sentenza della Corte di giustizia europea, in grado di scardinare la norma italiana contenuta nel tanto discusso ( e a ragione) “pacchetto sicurezza”.
La sentenza in questione è relativa, naturalmente, a un caso singolo, quello di un cittadino extra-comunitario condannato, lo scorso anno, dal Tribunale di Trento ad un anno di reclusione per non ottemperanza al decreto di espulsione. La Corte d'appello di Trento, dinnanzi alla quale egli aveva impugnato la sentenza, tira allora in ballo la Corte di giustizia europea e... la conclusione è quasi scontata.
La normativa italiana è in netto contrasto con quanto stabilito nella direttiva rimpatri emanata dall'Europa il16 dicembre 2008  recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi  terzi il cui soggiorno è irregolare , con particolare riferimento agli art. 16 e 17, dove si legge: “ Il ricorso al trattenimento ai fini dell'allontanamento dovrebbe essere limitato e subordinato al principio di proporzionalità con riguardo ai mezzi impiegati e agli obiettivi perseguiti. Il trattenimento è giustificato soltanto per  preparare il rimpatrio o effettuare l'allontanamento e se  l’uso di misure meno coercitive è insufficiente; I cittadini di paesi terzi che sono trattenuti dovrebbero  essere trattati in modo umano e dignitoso, nel pieno  rispetto dei loro diritti fondamentali e in conformità  del diritto nazionale e internazionale. Fatto salvo l'arresto  iniziale da parte delle autorità incaricate dell'applicazione  della legge, disciplinato dal diritto nazionale, il trattenimento dovrebbe di norma avvenire presso gli appositi centri di permanenza temporanea.”
Direttiva a cui peraltro ( ricorda la Corte stessa) l'Italia avrebbe già dovuto conformarsi entro la data del 24 dicembre 2010... e che cambierebbe completamente gli scenari concessi dalla legislazione vigente: la direttiva infatti predilige, tra l'altro, il rimpatrio “volontario” a quello coatto, con termini certi che vengono fissati in un massimo di 30 giorni e un minimo di 7, mentre il rimpatrio coatto e immediato può essere messo in atto solo qualora persistano pericoli per l'ordine pubblico o per la sicurezza dello stato.
L'introduzione del reato di immigrazione clandestina aveva provocato già a suo tempo lo scaturire di un grosso dibattito e la reazione da parte della società civile non si era fatta attendere con la promozione di campagne, appelli, iniziative moltiplicate in tutte le piazze d'Italia. Da lì era nato lo slogan che ancora oggi campeggia quasi ad ogni manifestazione di piazza: “ Siamo tutti clandestini”. Ma non era servito.
Anche la Corte Costituzionale, pur non giudicando la norma in toto come incostituzionale tuttavia si era espressa sfavorevolmente almeno in due occasioni: a luglio dello scorso anno, bocciando l'aggravante di pena per chi commetteva reato in condizione di clandestinità, e a dicembre dichiarando non punibile l'immigrato indigente che non lascia l'Italia nonostante ne abbia ricevuto l'ordine, vista la mancanza di mezzi.
Ora con l'ulteriore bastonata europea viene segnato un bel punto di non ritorno, che giustifica l'ira del Ministro dell'interno (che del pacchetto sicurezza aveva fatto il suo fiore all'occhiello).
Il pronunciamento della Corte europea, infatti, pur non potendo intervenire direttamente sulla questione vincola tuttavia i Giudici dello stato membro a “risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte stessa”. Decisioni che, come hanno riguardato gli articoli 15 e 16 della suddetta direttiva potrebbero toccare di volta in volta anche gli altri...
Non c'è che dire: un bel nuovo grattacapo per la fronda leghista.
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