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Articolo 21 - Editoriali
Calipari, gli Usa si auto-assolvono
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di Bruno Marolo

da L'Unità

La Casa Bianca e Palazzo Chigi hanno un problema comune con il caso Calipari. Cercano un modo per indorare la pillola che gli italiani dovranno ingoiare. Dopo la visita a Washington del ministro degli Esteri italiano Gianfranco Fini, le autorità americane hanno deciso di tenere nel cassetto un rapporto preliminare del generale Peter Vangjel, presidente della commissione d'inchiesta sulla morte dell'agente italiano a Baghdad. Le indicazioni della commissione, rivelate dalla rete televisiva Nbc, sono categoriche. Secondo gli investigatori americani i soldati che hanno sparato a Calipari hanno rispettato le consegne e non meritano rimproveri.
Il dipartimento di Stato prepara una dichiarazione che invita a non dare peso alle indiscrezioni e ad aspettare la pubblicazione del rapporto. Una fonte autorevole ha indicato a l'Unità che il testo sarà reso noto soltanto quando il governo italiano sarà d'accordo. I diplomatici sono al lavoro per addolcire le parole dei militari. Certe cose però non possono cambiare. Il governo americano è inflessibile nel rivendicare la giurisdizione esclusiva sulle sue truppe all'estero. Non ha mai accettato ingerenze da parte del tribunale internazionale o della magistratura di altri paesi. Ha chiuso una base militare a Okinawa piuttosto di permettere che un soldato colpevole di stupro fosse processato in Giappone. Le richieste dei giudici italiani, che vorrebbero andare a Baghdad per interrogare i testimoni, si scontrano con il rifiuto categorico del Pentagono e del ministero della Giustizia americano.
La commissione d'inchiesta ha ricostruito gli avvenimenti del 4 marzo. Un'auto dei servizi segreti italiani si dirigeva verso l'aeroporto di Baghdad. A bordo c'erano la giornalista Giuliana Sgrena, liberata poco prima dai rapitori, l'agente del Sismi Nicola Calipari e un altro agente, che guidava. La commissione attribuisce a Calipari un errore fatale: l'avere «scelto di non coordinare i suoi movimenti con i militari americani per timore di compromettere la liberazione dell'ostaggio».
Su una rampa di accesso all'aeroporto c'era un blocco dell'esercito americano. L'inchiesta non ha accertato a quale velocità viaggiasse l'auto: circa 80 chilometri l'ora secondo i soldati americani, meno di 40 secondo Giuliana Sgrena e l'agente italiano superstite. Secondo la commissione quando l'auto è arrivata a 120 metri dal blocco i soldati americani hanno lampeggiato con i fari per ordinare l'alt. A 80 metri è stato esploso un colpo di avvertimento. L'auto non si è fermata e quando è giunta a 60 metri gli americani hanno sparato una raffica di mitragliatrice che ha ucciso Calipari e ferito Giuliana Sgrena. Tutto è avvenuto in 4 secondi.
Questa ricostruzione coincide soltanto in parte con la versione dei protagonisti italiani. Una controversia si è accesa sulle conclusioni del rapporto. Il Pentagono insiste per una piena assoluzione dei soldati americani, che secondo il generale Vanjel hanno seguito alla lettera la procedura per fermare un'auto sospetta. Per il comando americano in Iraq questo punto ha una importanza estrema. Le pattuglie in zona di guerra sono autorizzate a sparare al minimo sospetto. I generali non hanno intenzione di cambiare questa regola. Non sono disposti a definire la morte di Calipari «una tragica fatalità di cui nessuno ha colpa». Vogliono proclamare chiaro e tondo che se le circostanze dell'incidente si ripetessero le pattuglie americane sparerebbero di nuovo.
George Bush, presidente di guerra, è sensibile alle richieste dei generali. In questo caso però ha un problema politico: non vuole creare difficoltà a Silvio Berlusconi. All'inizio dell'inchiesta la Casa Bianca è intervenuta sul Pentagono perché si astenesse da dichiarazioni irritanti per gli italiani. Con un gesto senza precedenti, Bush ha invitato l'Italia a nominare due «osservatori qualificati» nella commissione d'inchiesta. Ha parlato, con una forzatura retorica, di «indagine congiunta». Ora anche questo nodo viene al pettine. I due osservatori, l'ambasciatore Ragaglini e il generale Camprengher, hanno espresso riserve sull'impostazione del generale Vanjel. Gli americani hanno trasmesso loro copie dei verbali di interrogatorio e del rapporto preliminare, ma non li hanno invitati a partecipare alla stesura o a condividere la firma. Non potrebbero fare una cosa simile senza rinunciare al principio, per loro assolutamente irrinunciabile, della giurisdizione esclusiva. Se gli osservatori italiani si dissociassero pubblicamente dalle conclusioni aumenterebbe l'imbarazzo di Bush.
Due settimane prima della visita di Fini a Washington il Pentagono ha tentato un dialogo con il ministero della Difesa italiano, ma è stato avvertito che la trattativa è di competenza della Casa Bianca e di Palazzo Chigi. L'Unità ha appreso da buona fonte che Fini non ha discusso il contenuto del rapporto Vangjel con il vicepresidente Dick Cheney e con la segretaria di stato Condi Rice. Ha semplicemente chiesto che il rapporto sia pubblicato soltanto quando il governo italiano potrà condividere le conclusioni. In altre parole, l'assoluzione dei soldati americani è inevitabile, ma l'Italia non accetterà che venga denigrato Calipari. Ora si tratta di trovare le parole per esprimere questo compromesso, che in Italia non soddisferà.

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