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Articolo 21 - Editoriali
Ciampi inviterà il premier a dimettersi. Il capo dello Stato non vuole che si perda altro tempo. Partirebbero subito le consultazioni per il nuovo incarico
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di Vincenzo Vasile

da L'Unità

ROMA Il cielo si rischiara solo nel pomeriggio sulla tenuta di Castelporziano, dove Carlo Azeglio Ciampi s'è ritirato a riflettere con i suoi collaboratori più stretti: ieri ha fatto sapere con tanto di comunicato che lunedì Berlusconi si presenterà al Quirinale (come avrebbe dovuto venerdì, e con arroganza ha evitato finora di fare). E la previsione è che si avvii, dunque, la procedura normale della crisi. Il capo dello Stato avrebbe visto con favore un accordo, che non c'è. Dunque, ulteriori rinvii e cincischiamenti non saranno tollerati. Quella che una volta lo staff del Quirinale chiamava "moral suasion" si tradurrà - se, come tutto fa pensare, Berlusconi non sarà in grado di portare risultati - in un invito: dimettiti.
La data di lunedì per l'incontro con il presidente del Consiglio è ultimativa: l'incredibile sgarbo del mancato vertice di venerdì, quando Ciampi di ritorno dalla Bulgaria ha atteso invano il premier nel suo ufficio, l'informativa a braccia desolatamente aperte affidata in extremis a Gianni Letta dopo una giornata di vana attesa, l'aggiornamento del rendiconto all'inizio della prossima settimana, sono le ultime tappe tormentate di un percorso che ieri ha finalmente imboccato anche la strada burocratica preliminare. Come concordato nell'incontro tra Letta e il segretario generale della Presidenza Gaetano Gifuni, ieri mattina infatti sono state protocollate e inoltrate al Quirinale le lettere di dimissioni del vicepremier, dei tre ministri, del viceministro e dei cinque sottosegretari dell'Udc. Poi sono seguite quelle dei due esponenti del Nuovo Psi. E la nota del Colle informa che "i relativi decreti di accettazione delle dimissioni" saranno sottoposti - appunto - domani alla firma del presidente della Repubblica da parte del presidente del Consiglio.
Insomma, la crisi del governo Berlusconi è in arrivo alla stazione del Colle con un ritardo di qualcosa come trentasei ore. Le parole di ieri di Marco Follini, che insiste sulla crisi e condiziona il Berlusconi bis a un nuovo programma, fanno venire definitivamente a mancare quell'appiglio illusorio cui Berlusconi aveva affidato il suo bluff senza rendersi conto del marasma della sua maggioranza: le dimissioni riporterebbero su un piano di normalità la situazione, e Ciampi - che ormai le sollecita esplicitamente - si prepara naturalmente ad accoglierle, e a procedere agli ulteriori adempimenti, le consultazioni dei gruppi parlamentari e degli ex-presidenti della Repubblica, l'affidamento di un nuovo incarico.
I tempi non dovrebbero essere lunghi, ma neanche rapidissimi, perché tutto lascia ritenere che il presidente intenda prendersi il tempo che ci vuole; in questi giorni s'è ristretto il ventaglio di scelte che potrebbero scaturire dalla consultazione, fino a due alternative: o governo politico, o elezioni. L'opposizione ha escluso un appoggio a un'eventuale soluzione "istituzionale" sgombrando il campo da un'ipotesi che darebbe un colpo al bipolarismo, e la strada dei governi tecnici e balneari appare altrettanto sbarrata. Sicché sono bruciate tutte le possibilità di altre trovate e giravolte funamboliche, che al Quirinale suscitano ormai un misto di sconcerto e di fastidio. L'eventuale richiesta di altro tempo - a quel che si capisce - non verrebbe accolta. Nel caso che vada in porto un Berlusconi bis occorrerà capire come si farà a conciliare le richieste di una compagine rinnovata e di un nuovo programma avanzate dall'Udc e le scontate controreazioni degli altri alleati, in primis la Lega. Cioè come farà Berlusconi a rianimare una coalizione moribonda. Nel caso di elezioni anticipate Berlusconi dovrebbe trangugiare il calice di rimanere in carica per l'ordinaria amministrazione, e di rattoppare i cocci della coalizione per provare a risalire la corrente elettorale che ormai lo trascina in un precipizio.
Il pallino torna nelle mani di Ciampi, che - preoccupato dei riflessi della crisi sul prestigio internazionale dell'Italia, sulle ripercussioni sui mercati - ha preferito finora usare i toni bassi, ma non c'è più spazio per proroghe e dilazioni. Berlusconi - senza più carte nella manica per tentare un gioco di prestigio che rimetta in riga un alleanza fuori controllo - ormai deve essersi reso conto che, se chiedesse un altro rinvio domani al Quirinale si troverebbe di fronte a un no sonoro e definitivo.

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