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di Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo
Quando un uomo giusto lascia questo mondo un senso di vuoto e di solitudine si impadronisce di tutti coloro che hanno avuto la possibilità di conoscerlo o di viverci accanto. Abbiamo conosciuto Roberto Morrione diversi anni fa. Erano i primi numeri di Antimafia Duemila e Roberto ci ospitò a RaiNews24 in alcune trasmissioni di approfondimento sul tema mafia.
La sua grande professionalità unita ad una profonda umanità ci colpirono immediatamente. Dietro l'aspetto mite avevamo incontrato un uomo votato al senso più etico che possa essere concepito per la professione di giornalista. Quel suo spirito di servizio incondizionato e libero da qualsiasi schema lo avremmo ritrovato negli anni a venire ogni qualvolta i nostri percorsi professionali si incrociavano. Ed era sempre un rinnovarsi di profonda stima nei confronti di un giornalista capace di sfidare, pagandone personalmente le conseguenze, un sistema mediatico che troppo spesso emargina grandi uomini promuovendo mediocri e servi.
Nella nostra memoria è impresso in maniera indelebile il suo gesto di coraggio di mandare in onda il 21 settembre 2000 nella trasmissione “Borsellino, un'intervista smarrita” l'intervista fatta dai giornalisti francesi di Canal Plus al giudice Paolo Borsellino due giorni prima della strage di Capaci. Quella puntata aveva scatenato l'attacco violento di Marcello Dell'Utri e dei suoi sodali nei confronti di Morrione e dell'intera redazione di RaiNews24. Poco più di un anno dopo, nel 2002, la Corte d’assise di appello di Caltanissetta, nel processo per la strage di via D’Amelio, aveva giudicato quell'intervista fondamentale.
Borsellino, avevano scritto i giudici, “pur mantenendosi cauto e prudente per non rivelare notizie coperte da segreto o riservate, consultando alcuni appunti, forniva indicazioni sulla conoscenza di Mangano con il Dell’Utri e sulla possibilità che il Mangano avesse operato come testa di ponte della mafia in quel medesimo ambiente”. Nella sentenza vi era scritto anche che non si poteva escludere “che i contenuti dell’intervista siano circolati tra i diversi interessati, che qualcuno ne abbia informato Riina e che questi ne abbia tratto autonomamente le dovute conseguenze, visto che questa Corte ritiene... che il Riina possa aver tenuto presente, per decidere la strage, gli interessi di persone che intendeva garantire per ora e per il futuro”. Per la Corte di assise di appello di Caltanissetta infine quell’intervista rappresentava “il primo argomento che spiega la fretta, l’urgenza e l’apparente intempestività della strage. (Bisognava) agire prima che in base agli enunciati e ai propositi impliciti di quell’intervista potesse prodursi un qualche irreversibile intervento di tipo giudiziario”.
La scelta di Morrione di mandare in onda quell'intervista rappresenta a tutti gli effetti l'emblema di un'informazione che non si piega ad alcuna censura imposta da un sistema di potere politico-mediatico. La purezza d'animo di Roberto e la sua incrollabile determinazione a ritenere il giornalismo e la libera informazione un servizio per la collettività restano oggi un punto di riferimento per tutti coloro che ancora credono nel valore di questa professione. In questo grande circo che è il nostro bellissimo e disgraziato Paese, attraversato da elementi della peggiore specie capaci di vendersi al migliore offerente, la bellezza dello spirito di Roberto Morrione rimane come un faro di luce che indica la via da seguire per rendere onore alla nostra professione.
Ciao Roberto, anche per te lotteremo fino alla fine per ricostruire una nuova società fondata su una informazione libera capace di restituire verità e giustizia a chi non c'è più e per chi verrà dopo di noi.
Giorgio Bongiovanni, Lorenzo Baldo e tutta la redazione di Antimafia Duemila
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