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Articolo 21 - Editoriali
Carceri: le cifre di una vergogna
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di Valter Vecellio

 

   L’hanno trovato riverso nel letto, in pigiama, nella sua cella, gli agenti della polizia penitenziaria che carcere di Viterbo. Alle 9,30 non si era ancora alzato. Si avvicinano per chiedergli se si sente male. Non risponde. Lo scuotono un po’. Si accorgono che lui, Luigi Fallico, 59 anni, ritenuto uno dei fondatori delle nuove Brigate Rosse, era morto. Il medico poi certifica che il decesso è avvenuto quattro o cinque ore prima, sul corpo non c’è alcun segno di violenza, l’ipotesi più probabile è che Fallico sia stato vittima di un infarto.

   Racconta il suo avvocato difensore Caterina Calia, che lo aveva visto il 19 maggio scorso, quando aveva voluto essere presente a un’udienza di un processo che lo riguardava: “Aveva “avvertito fortissimi dolori al petto ed era stato trasportato nell’infermeria del carcere di Viterbo, dove gli avevano riscontrati valori della pressione arteriosa molto elevati. Invece di trasferirlo in una struttura ospedaliera attrezzata lo hanno riportato in cella. All’’udienza del  19 maggio si sentiva ancora poco bene”.

   Con la morte di Fallico, ricorda il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, salgono a tre i decessi nel carcere di Viterbo nell’arco di un mese: “Fallico, soffrente di problemi cardiaci ed ipertensione, aveva accusato un dolore al petto ed era stato visitato in infermeria, dove gli erano state somministrate una tachipirina ed un farmaco dilatatore delle coronarie. Il 18 aprile scorso a morire era stato un senegalese di 30 anni, Dioune Sergigme Shoiibou che poco prima di essere arrestato era stato operato alla testa per asportare un ematoma dal cervello e, per questo, era in cella pur essendo privo di parte della calotta cranica. Domenica 15 maggio, invece, un agente di polizia penitenziaria 42enne si era tolto la vita sparandosi nello spogliatoio del carcere poco prima di prendere servizio. Tre decessi in un mese nel carcere di Viterbo sono una media altissima che ci preoccupa molto perchè sono avvenuti nonostante l'impegno della direzione, degli agenti di polizia penitenziaria e delle altre professionalità che lavorano in quella
struttura. Ognuno di questi decessi è una storia diversa con, però, una matrice comune: quella di poter essere attribuito al sovraffollamento e alle drammatiche condizioni di vita negli istituti.
Sovraffollamento, carenze di personale e penuria di risorse non consentono di garantire a quanti vivono il carcere, siano essi detenuti o agenti di polizia penitenziaria, adeguate condizioni di sicurezza. In qualsiasi altra situazione un disagio psichico o fisico sarebbe adeguatamente curato per prevenire conseguenze gravi. In carcere, invece, con questa situazione, ogni situazione di disagio può nascondere una potenziale, drammatica, fine”.
 
   Salgono a 67, dall’inizio dell’anno, i decessi conteggiati dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria nelle carceri italiane: 24 i suicidi, gli altri sono attribuiti a “cause naturali”. In realtà sono molti di più: se un detenuto infatti muore dopo qualche giorno di agonia nel letto di un ospedale non viene conteggiato tra le morti in carcere.

   Allo scorso aprile i 208 istituti penitenziari italiani erano stipati di ben 67.510 detenuti, a fronte di 45.543 posti regolamentari. Una situazione che si traduce in un peggioramento delle condizioni igienico-sanitarie e in un incremento del numero di morti. Sempre nel 2011 sono stati  337 i tentati suicidi, mentre gli atti di autolesionismo sono arrivati a 1.858, e a questi vanno aggiunte le aggressioni che hanno portato a 1.389 ferimenti e a 508 colluttazioni. Dal 2000 a oggi sono morti 1.800 detenuti, di cui un terzo (650) per suicidio. E ancora: dal 1990 al 2010 sono stati 1.093 i detenuti che si sono tolti la vita in cella, mentre i tentati suicidi sono stati 15.974, con una frequenza media di 150 casi ogni 10mila detenuti. Il 2010 si è chiuso con  63 casi di suicidio, nel 2009 sono stati 72. Una palese situazione di illegalità da parte dello Stato che viola in modo pervicace e continuativo la sua stessa legge.

   Questi sono i fatti, sono le cifre che posiamo opporre a quanti reagiscono  con un moto tra la stizza e il fastidio, alla notizia del digiuno in corso di Marco Pannella me, ancora un digiuno? Non molti, a dire il vero, dal momento che gli organi di informazione non hanno praticamente riferito nulla in merito. Pannella da tempo parla, per quanto riguarda la situazione nelle carceri di “nuclei consistenti di Shoah in formazione”. Le cifre che abbiamo fornito dicono che non si tratta di un’esagerazione.

   Dovrebbe far riflettere il fatto che in undici anni si sono tolti la vita ben 87 agenti di polizia penitenziaria. Non sappiamo i loro nomi, le loro storie. Ma siamo certi che “scavando” nel loro vissuto emergerebbe tanto che ha a che fare con le condizioni di lavoro, e che non sono estranee alla decisione di farla finita.

   Anche l’altro giorno la parlamentare Rita Bernardini ci ha ricordato che nella nostra Costituzione c’è un articolo che non viene mai richiamato, il comma 4 dell'articolo 13: punisce la violenza commessa sulle persone che sono private della libertà. Ebbene, detenuti ammassati in meno di un metro e mezzo a testa – la Corte europea dei diritti dell'uomo ne prevede tre, l’ordinamento penitenziario sette – chiusi in cella a far nulla per 20 o 22 ore al giorno, non sono forse di atti violenza?  Le carceri italiane sono un enorme discarica sociale e umana resa tale in modo particolare da due leggi criminogene come la Bossi-Fini sull’immigrazione e la Fini-Giovanardi sulle tossicodipendenze. Una situazione, riconosce anche il segretario dell’Associazione Nazionale dei Magistrati Giuseppe Cascini, che dipende “da una legislazione schizofrenica, che non riesce a programmare l’intervento penale in maniera razionale, che pretende di dare risposte di tipo emotivo, simbolico a problemi di carattere sociale e quindi crea da un lato l’ingolfamento del sistema penale, dall’altro un affollamento del sistema penitenziario”.

   Allora: davvero Pannella esagera quando evoca la shoah e digiuna? O piuttosto non dobbiamo ringraziarlo, perché anche a costo di apparire un esibizionista che si abbandona a periodiche pagliacciate, richiama l’attenzione di tutti noi sul gravissimo problema del diritto costantemente violato e stravolto?   

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