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Articolo 21 - Editoriali
Referendum: in gioco il servizio pubblico come bene comune
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di Vincenzo Vita*

La scadenza referendaria ha un significato particolare. Per il testo dei quesiti e per il contesto in cui questi ultimi si collocano. Il filo che percorre i temi del no al nucleare, della scelta per l’acqua pubblica, della sconfitta morale del sopruso del ‘legittimo impedimento’ è una delle trame essenziali di e per una cultura alternativa. Alternativa al berlusconismo, che ha subito con il voto amministrativo una severa batosta politica, ma che rimane molto insediato nella nervatura della società. I quesiti sui quali si voterà fanno emergere l’urgenza di un’economia post-liberista fondata sulle energie rinnovabili, sull’idea del rispetto dei beni comuni, sulla centralità della questione etica. Per questo è essenziale raggiungere il quorum dei votanti e vincere con quattro sì. Unifichiamo le forze e il prossimo venerdì 10 unifichiamo le piazze per la grande chiusura della campagna referendaria. Senza sigle di partito, senza copyright, nel rispetto dei comitati promotori. Per arrivare al ‘quoziente’ è doveroso che vi sia una adeguata informazione. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha dato un ‘ultimatum’ alla Rai ( in virtù del regolamento della commissione parlamentare di vigilanza) e ha invitato le emittenti private a rispettare la legge, ed è importante che l’abbia fatto. Tuttavia, l’insieme del quadro mediatico è avvilente. Era ed è l’occasione per una seria discussione pubblica attorno allo sviluppo sostenibile, alla dialettica ‘crescita-decrescita’, al moderno stato di diritto, ai confini tra pubblico e privato. Invece, al di là dell’obbligo regolamentare di inserire nei palinsesti messaggi autogestiti e tribune, pressoché nulla. Come se i referendum non fossero l’occasione per una grande riflessione democratica. Come se la consultazione referendaria non costituisse l’esercizio della democrazia nella versione profonda, etimologica del termine. Del resto, i risultati dei recenti ballottaggi dimostrano che lo spirito delle ‘primarie’ è quello vincente. E che le divisioni tra gli elettorati del Partito democratico, di Sinistra ecologia e libertà, dell’Italia dei valori svaniscono alla prova del voto, se c’è un serio coinvolgimento delle coscienze.
Insomma, siamo ad un passaggio cruciale che riguarda le nostre soggettività, per andare oltre la morfologia organizzativa delle attuali opposizioni. Più che da interminabili seminari, il ‘che fare’ scaturisce dalle prove della realtà. Dopo le iniziali titubanze, ora c’è una vasta unità. Ed è indispensabile continuare, dando vita dopo il voto ad una ‘fase costituente’. Anche per riconnettere politica e società (cittadinanza attiva, ha ricordato Giuliano Pisapia). Nella stagione digitale e della rete, il metodo referendario si sposa perfettamente con la pratica dell’e-government, dell’uso costante della democrazia on-line. E’ la politica 2.0. Ecco perché è allucinante che la vecchia televisione generalista non colga l’occasione di mettersi al passo con il tempo, sperimentando nuove modalità di comunicazione. C’è ancora qualche giorno. Perché la Rai non dedica il suo consiglio di amministrazione a tali problemi - che la riaccosterebbero alla società - piuttosto che all’ennesimo assurdo balletto –contro Santoro, Fazio, Ruffini, Gabanelli, Floris- si dice- sulle nomine? E’ chiaro che si sta giocando anche la partita del servizio pubblico come bene comune?

*tratto da l'Unità

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