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Articolo 21 - Editoriali
Rai, dagli utenti la spinta per rialzarsi
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di Vittorio Emiliani

La Rai è come una balena che non respira più, galleggia e forse “si spiaggia” stremata e disperata. Silvio Berlusconi ha utilizzato dal 2001 in qua tutte le tecniche di indebolimento e di affondamento, dopo che il centrosinistra nulla aveva fatto per metterla “in sicurezza” alla maniera delle consorelle europee.
Risorse: ha fatto annullare dal fido Gasparri la vendita a Crown Castle del 49 % di Rai Way che avrebbe portato in cassa (dopo le tasse) 724 miliardi di lire, decisivi per il digitale terrestre. Ha consolidato, con la legge Gasparri, la sua quota di spot (66% circa pur con ascolti calanti) e mantenuto il canone Rai al più basso livello europeo, 110 euro contro i 160 dell’Irlanda, i  186 del Regno Unito, i 206 della Germania, i 263 dell’Austria, ecc. Di più, ha esortato gli abbonati a non pagarlo per “punire” Santoro e C.: l’evasione è balzata dal 22-23 % a oltre il 40, contro una media UE dell’8-10. In Campania, zona Casalesi, non lo paga il 90 % delle famiglie. Per la Rai rappresentava la metà delle risorse. Il suo bilancio è oggi seriamente pericolante.

Nomine: abolita la legge del ’93 che le assegnava ai presidenti delle Camere, ha fatto eleggere 7 dei 9 membri del CdA alla Commissione di vigilanza, cioè ai partiti, mentre un altro consigliere e il presidente li designa il ministro dell’Economia. Caso di dipendenza dai partiti unico in Europa. Dal 2002 ad oggi si sono susseguiti in Viale Mazzini ben 6 presidenti (7 con Paolo Mieli, mai entrato in funzione) per una durata media sui 18 mesi e 8 direttori generali per una durata media di 13 mesi e mezzo. Dieter Stolte direttore della potente ZDF tedesca è durato vent’anni prima di andare in pensione. Come si può governare con questa nevrotica fragilità di fondo, tutta indotta dalla politica, un’azienda con oltre 11.000 dipendenti e con un ventaglio di attività amplissimo, fra radio e tv?

Garanzie: non essendoci né una Fondazione all’inglese né un Consiglio Superiore dell’audiovisivo alla francese a “garantire” Rai e utenti, ci si è inventati, per i CdA a maggioranza  berlusconiana, “presidenti di garanzia” attribuiti al centrosinistra. Con risultati molto modesti da ogni punto di vista. Soprattutto da quello della programmazione e della sua qualità. Il Tg1 prima con Mimun e poi, soprattutto, con Minzolini è stato impoverito e stravolto, reso “docile” da ogni punto di vista. La redazione che aveva sfiduciato Bruno Vespa per aver definito la Dc “il mio editore di riferimento”, non ha quasi reagito all’atto di denuncia della più popolare fra le conduttrici, Maria Luisa Busi che ha lasciato il video. Gli ascolti sono crollati, a tutto vantaggio del Tg7 di Enrico Mentana. Lo speciale elezioni è stato battuto da quello del Tg3 di Bianca Berlinguer. Il centrodestra ha piazzato nelle reti e nei Tg gente sempre più mediocre che ha portato con sé collaboratori ancor più mediocri. I due anni di direzione generale di Mauro Masi sono stati forse i più disastrosi dal punto di vista del picconamento della Rai dall’interno e della sua devitalizzazione professionale, meritocratica.
Infiltrati: fin dal 2002 Berlusconi ha immesso in Rai, suo concorrente diretto, elementi fidatissimi quali la propria consulente per la comunicazione Deborah Bergamini (ora deputata del Pdl) che, come risulta dalle più recenti, scandalose intercettazioni, informava Mediaset sulla programmazione Rai e chiedeva una controprogrammazione più incisiva per “oscurare” i risultati elettorali sfavorevoli al Pdl. Un conflitto di interessi che occupa ormai militarmente la Rai.

Suicidio: una Rai così stravolta e sfibrata ci ha messo e ci sta mettendo anche del suo per farsi del male. Come le balene moribonde che si suicidano arenandosi sulle spiagge. Casi esemplari? La rinuncia al maggior successo di ascolti dell’anno, “Viene via con me” di Fazio e Saviano. La eliminazione di “Annozero” di Santoro da Raidue nonostante l’altissimo share e il forte richiamo pubblicitario, un harakiri. Ora, anche questo assistere immobili come statue di gesso (chiedendo le scuse per una intervista troppo dura, ma andiamo) alle dimissioni di Lucia Annunziata bravissima “In mezz’ora” pur collocata nell’ora delle più sonore dormite domenicali. La disperante renitenza a fornire le doverose garanzie legali ad una trasmissione di inchiesta come “Report” di Milena Gabanelli, una delle più prestigiose e consolidate ormai. E non entrerò nel discorso della radiofonia, un tempo Divisione a sé, oggi come abbandonata a se stessa, nonostante l’oggettivo successo e recupero, per esempio di Radio3.
Paradosso: il dissanguamento, in buona parte voluto, della Rai avviene nel momento in cui Mediaset non sta bene, il valore delle sue azioni è crollato dai 6,5 euro di aprile ai 3,26 di venerdì scorso, il bilancio 2010 non dà utili, l’intero gruppo (come ha notato un esperto vero quale Stefano Balassone) è regredito dal 38 al 33 % negli ascolti “contro la Rai di Masi!”, con Striscia e Grande Fratello giù del 4 %. Un gruppo invecchiato, con poco respiro (pure Endemol va male), che ha paura di tutto, anche de “La7”. E magari di Michele Santoro a “La7”.

Che fare in positivo per la Rai? Rendere ancor più incessante, continua, documentata la denuncia del degrado meritocratico, delle arroganze partitiche e di governo, dei tentativi di indurla al “suicidio”, all’auto-affondamento. Difendere con più energia quanto essa ha ancora in sé di professionale, di creativo, di intelligente. Ma anche avanzare proposte che “spariglino”. Detto con franchezza, non penso proprio che il super-amministratore delegato di un vertice nominato, più o meno, dai partiti sia una magica ricetta. Pensate se Masi avesse avuto quei poteri…Manca sempre un organismo di garanzia a protezione dell’autonomia della Rai. Ma è pure premente la necessità di dare agli abbonati la possibilità di contare. A me sembra perciò stimolante, in sé, l’idea di Roberto Zaccaria e di Beppe Giulietti di distribuire agli abbonati, col bollettino del canone, una scheda nella quale segnalare 2 nomi di possibili amministratori e di scegliere, obbligatoriamente, fra i primi 50 indicati il nuovo vertice aziendale pubblico. Insomma, diamo, anche attraverso gli utenti più affezionati, al cavallo bronzeo di Viale Mazzini la spinta per rialzarsi e per correre di nuovo. Non costringiamolo a sdraiarsi e a defungere. Lentamente, ma inesorabilmente.
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