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Articolo 21 - Editoriali
Sessantâ??anni dalla Liberazione dellâ??Italia
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di Gian Piero Orsello

Il mio pensiero torna agli anni lontani della guerra e della Resistenza; al freddo di quegli inverni dallâ??esito incerto; al mormorio delle radio clandestine; al rischio delle incursioni e dei rastrellamenti; alla trama, prima sottile e poi sempre più fitta, dellâ??organizzazione dei volontari della libertà; a ciò che hanno rappresentato nella storia del nostro Paese, e non solo nellâ??impresa di allora, le brigate di esercito e di popolo, Garibaldi e Matteotti; al primo impegno clandestino delle forze politiche democratiche; allâ??epoca del secondo Risorgimento nazionale; ad unâ??epoca così intensamente vissuta da divenire quasi costume di vita anche per le stagioni successive; ad un insieme di storie civili che si potrebbero definire â??antieroicheâ?, per dirla con unâ??immagine alfieriana e con unâ??espressione cara a Piero Gobetti, che era frattanto divenuto per noi il simbolo della libertà e dellâ??intelligenza contro la tirannide e contro lâ??ignoranza.

Rari sono stati coloro che hanno scritto di quegli anni insanguinati: drammi, come è stato detto, di miserie antiche e di speranze impossibili, scritti che ci riportano alla memoria Cesare Pavese, Beppe Fenoglio, Emilio Lussu, e lâ??impegno e le testimonianze di Davide Lajolo, Primo Levi, Luciano Bolis,  Leo Valiani; interpreti di singolare altezza e di profonda gravità, con la concreta e sofferta conoscenza di chi â?? come Saragat, Pertini, Amendola â?? con descrizioni spesso autobiografiche, ci fa rivivere, con piena aderenza, il dramma dellâ??8 settembre, le vicende della guerra e della lotta partigiana, le aspre fatiche di un mondo che andava emergendo in mezzo alle rovine; protagonisti le genti umili, i volti scavati, i caratteri temprati dal lavoro, dalla fatica, dalle battaglie.

Il â??secondo risorgimento nazionale merita qualche citazione particolare, dai primi grandi scioperi del triangolo industriale, alla difesa del patrimonio delle fabbriche, alle pagine gloriose dellâ??Ossola, di Boves, di Alba, di Marzabotto, di cento altri episodi, allâ??intera guerra di un popolo oppresso e vittorioso, momenti di grande eroismo, individuale e collettivo, testimonianze che ci riconducono ai ricordi di unâ??epoca ormai lontana, ma intimamente non dimenticata e certamente non trascorsa e non vissuta invano.
Così vicende più recenti ci riportano alla mente, per più ragioni, gli anni lontani e gli echi non spenti della Resistenza e della Liberazione: non abbiamo disatteso la lezione della storia che abbiamo vissuto, per noi, per i nostri figli, per i più giovani, ai quali, tuttavia, presi dal nostro convulso operare, siamo riusciti a dare ben poco della nostra pur travagliata esperienza.

Gli anni trascorsi ci confermano la validità delle scelte di fondo della nostra coscienza civile, giacché i convincimenti possono essere stati parziali, talvolta lacunosi e forse contradditori, ma essi si sono sempre basati su quella grande scelta di allora, essenziale, discriminante, basilare per ogni ricerca più particolare, per ogni approfondimento di indirizzi e di prospettive, che è, appunto, la scelta tra il fascismo e la libertà, fra la tirannide e la giustizia, fra lâ??odio e la pace nel mondo.

Ma lâ??esperienza più recente ci ha portato qualche elemento positivo: il superamento di molti dei motivi che hanno provocato, soprattutto allâ??epoca della guerra fredda, le dolorose lacerazioni tra le diverse ragioni che pur sono riuscite ad affratellare esperienze e provenienze diverse, che nella Resistenza e poi nella Liberazione hanno saputo ritrovare le vie dellâ??unità, della solidarietà, del comune impegno popolare.

Pur nella dialettica delle distinzioni, nella varietà dei pluralismi, nella validità costruttiva dei diversi apporti, la crisi che il Paese ha attraversato e attraversa ha fatto emergere tutti i valori della coscienza morale e della solidarietà fra le grandi componenti ideali, politiche, culturali e sociali che hanno saputo fare insieme la Resistenza, raggiungere la Liberazione, avviare la ricostruzione del Paese. Il discorso potrebbe â?? e forse dovrebbe â?? farsi più lungo, ma ciò che conta è lâ??essenziale: ci ritroviamo, pur nella difformità delle esperienze e nella diversità dei momenti, di fronte al superamento di divaricazioni, di lotte, di scontri che negli anni hanno profondamente travagliato lâ??area delle forze democratiche, particolarmente allâ??interno del movimento operaio.

Ciascuno deve restare fedele a se stesso, alla  propria storia, ai propri ideali; ciascuno deve compiere la propria parte, ma ci sembra che questâ??unità nella diversità costituisca il momento migliore e la maniera più valida per ritornare con il pensiero ad unâ??esperienza che non possiamo dimenticare, ad una città, ad una terra, che ci hanno consentito di lavorare insieme, ad un popolo che ci ha affratellato e che, come allora, vuole andare avanti.
Di fronte a più gravi e tristi pagine per la nostra storia e a seguito del tentativo di ripresa dellâ??estremismo fascista, appoggiato agli ultimi baluardi dellâ??invasore tedesco, il proposito di non piegare è stata esigenza intima e lâ??impegno al fianco della Resistenza è stato in primo luogo adesione ideale.

Lâ??estenuante inverno finalmente giungeva al termine. Dal 1943 al 1945: due anni che restano nel ricordo come una sola lunga notte, nellâ??attesa esasperante di un alba che sembra irraggiungibile. Ma lâ??alba è arrivata, serena, radiosa, felice: il 21 aprile 1945 Bologna era libera, è lâ??ha che abbiamo vissuto  la grande giornata  della liberazione,  la prima città del nord ad essere liberata.

Fin dalla notte i punti strategici della città erano passati sotto il controllo dei partigiani in armi con la fascia tricolore al braccio. Qua e là qualche colpo di fucile sparato da cecchini fascisti attardatisi in città, mentre alcuni cadaveri giacevano ancora sotto i portici e nelle strade, testimonianza residua degli ultimi scontri a fuoco. Lâ??atmosfera era festosa; la gente, a lungo repressa e da tempo in attesa, affollava le strade stringendosi intorno ai soldati, molti dei quali a bordo di camions e di carri armati leggeri, mentre su pochi tanks pesanti, accanto ai soldati, erano abbarbicati giovani e ragazze che sventolavano piccoli tricolori e lanciavano improvvisati mazzi di fiori. Vi era una commozione penetrante.

Il rumore dei mezzi corazzati era quasi coperto dal vociare dei presenti, quasi tutte donne e ragazzi, dal momento che gli uomini erano per la maggior parte ancora impegnati in montagna, mentre i pochi rimasti preferivano attendere che la situazione fosse più chiara per uscire dai rifugi nei quali si nascondevano per sfuggire alle numerose retate dei tedeschi o per far ritorno in città dalle campagne circostanti dove erano sfollati.
Dura era stata  la lotta dei partigiani sulle montagne;  operai e studenti, borghesi e contadini, intellettuali e braccianti, soldati e religiosi avevano pagato il loro tributo di sangue, avevano combattuto insieme e creato, al di sopra delle diversità delle fedi, degli ideali e delle opinioni, una profonda solidarietà, su cui si sarebbe cementato il sorgere di un nuovo Stato democratico e la dimensione civile di un popolo.

Ricorderemo sempre quel luminoso cielo del mattino e, spesso, nelle successive battaglie di politica militante, siamo tornati con il pensiero alla purezza di quellâ??ora. Cominciava una nuova vita e sentivamo una grande responsabilità. Tra il clamore e lâ??entusiasmo, e la speranza nellâ??avvenire, ci siamo ritrovati tutti insieme: a ricordare, a ringraziare, commossi e riverenti, coloro che, con un sublime sacrificio, ci avevano consentito di godere di quellâ??aria liberatrice. Con lo stesso animo qualche anno dopo, più maturi e consapevoli, salivamo sulle colline di Marzabotto a rievocare il contributo che un popolo aveva saputo dare, con la sua resistenza, al proprio riscatto.

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