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Articolo 21 - Editoriali
La “schiena dritta” di Giancarlo Zizola
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di Fernando Cancedda

Giancarlo Zizola ci ha lasciati. E' morto ieri mattina a Monaco di Baviera, dove aveva seguito per il quotidiano “Repubblica” il  meeting interreligioso della Comunità di S. Egidio.
Tra quanti si occupano di informazione religiosa e vaticana in particolare, in Italia ma non solo in Italia, era da molti considerato il migliore, il più attento, esperto ed equilibrato. Ma anche determinato nel difendere l'autonomia professionale dalle numerose pressioni che, sulla sua  attività di  vaticanista, non di rado venivano esercitate dagli ambienti ecclesiastici e curiali. Ciò anche negli anni immediatamente successivi al Concilio Vaticano II, che lo ebbero tra i più seguiti cronisti in quella stagione di rinnovamento come di durissimi scontri all'interno del mondo cattolico.
In questa triste occasione, è la “schiena dritta” di Giancarlo che vorrei brevemente ricordare ai tanti colleghi che seguono il sito. Non so quanti rammenteranno nelle  note biografiche di questi giorni, il suo licenziamento dal “Messaggero”, avvenuto il 26 aprile del 1968. Quell'episodio importante della sua vita, che per fortuna non riuscì a fermare la sua lunga e brillante carriera, fu in un certo senso all'origine del Movimento dei giornalisti democratici e coinvolse indirettamente anche me, che per aver solidarizzato con lui con una raccolta di firme fui richiamato all'ordine dal direttore generale della RAI.
Di come andò  è lui stesso a riferire nel suo libro “La santità e il potere”, edito due anni fa da Sperling & Kuper (pag. 110). Racconta Giancarlo Zizola che quel 26 aprile, alle cinque della sera, Alessandro Perrone, padrone – è il caso di dirlo – del giornale romano, lo fece chiamare nel suo ufficio e gli disse:.
“Signor Zizola, lei è licenziato”.
“E perché? risposi candidamente.
Il direttore cominciò a sfogliare con lentezza studiata Il Messaggero del giorno, spaginato sulla scrivania, finché non ebbe trovato il foglio e l'articolo che cercava, il mio: “Ecco”, disse puntando il dito e curvandosi sul mio pezzo. “Lei scrive che anche i teologi della morte di Dio possono contribuire alla purificazione dell'idea di Dio. Questo è avallare tesi comuniste inaccettabili in questo giornale”. “Direttore”, risposi, “vede bene come questo articolo io non lo ho firmato, ma solo siglato con le mie iniziali”.
“E' vero”, ammise, “ma questo non cambia le cose. E' sempre suo”.
“L'articolo è mio, di certo”, dissi, “ma non quella frase che lei mi contesta”.
“E la frase di chi sarebbe?” rise Perrone, pregustando il trionfo.
“La frase è di Paolo VI”, spiegai.
Non riuscivo a spaventarmi, malgrado tutto. La cosa che più mi emozionava, in quel momento, era il fatto che il famoso Presagio della sedia precaria si compiva.
Il direttore si inforcò di nuovo gli occhialini e guardò meglio il corpo del reato.
“Come può constatare, direttore, quella frase è tra virgolette. Non sono parole mie. E' una citazione del discorso tenuto ieri dal Santo Padre all'udienza generale”.
“Ma questo non cambia affatto la situazione”, riprese il direttore, richiudendo il giornale: “Comunque lei è licenziato e da questo momento non fa più parte di questo giornale. Riceverà la liquidazione che le spetta”.
“Grazie, direttore”, conclusi salutandolo. “Ma deve essere chiara una cosa: se è per questo che lei mi licenzia, sarà consapevole, spero, che lei non licenzia me. Licenzia il papa”.
Naturalmente, dopo quella battuta retorica, fui colto da un'ondata di panico e andai a sfogarmi, prima di lasciare il giornale, col più anziano dei redattori della Cultura, per la catastrofe della mia carriera giornalistica stroncata, ma anche per la caduta repentina dell'illusione di una pista percorribile della libera informazione in un giornale laico”.

L'Ordine nazionale dei Giornalisti, al quale Zizola inviò “un ricorso con una descrizione dettagliata del caso”, “non mosse un dito”, racconta Zizola.”L'Unione Cattolica della Stampa Italiana nemmeno”, anche se dopo decenni lo eleggerà suo presidente. Ma era il '68, l'anno della grande contestazione, e decine di giornalisti si riunivano spontaneamente nei locali della libreria Paesi Nuovi di via Aurora, a Roma. Fra loro Furio Colombo, Enzo Forcella, Andrea Barbato, Ettore Masina, Piero Pratesi, Lucio Manisco. All'inerzia dei vertici della categoria di fronte ad un grave attentato alla libertà di informazione, reagirono dando vita ad una corrente che si costituirà ufficialmente dopo qualche mese come “Movimento dei giornalisti democratici”.

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