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Articolo 21 - Editoriali
Noi il debito non lo paghiamo
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di Debora Aru

Il teatro Ambra Jovinelli colmo: un migliaio di persone riunite per il primo incontro nazionale del movimento "noi il debito non lo paghiamo". Un'imponente assemblea organizzativa con 25 interventi provenienti dalle più svariate associazioni, gruppi, movimenti, sindacati, comitati e intellettuali. Insomma una fucina di proposte (e propositi) per smettere di essere le vittime di questo debito che nessuno vuole pagare. Si è deliberato di iniziare concretamente i lavori a dicembre, ma prima è stata espressa la totale adesione alla manifestazione nazionale del 15 ottobre prossimo.  Introdotto da un ospite d'onore, Andrea Camilleri, che in video si è pronunciato contro la legittimità del debito e contro un mercato troppo liberista, ha aperto il dibattito Giorgio Cremaschi. Importante anche l'intervento di Padre Zanotelli, seppur letto da un esponente del movimento pacifista fondato dal missionario.
Cremaschi nella sua introduzione ha principalmente posto l'attenzione verso la lettera che la Banca Europea ha inviato al governo italiano in cui si chiedeva una durissima manovra finanziaria . "E' inaccettabile che due privati cittadini come Trichet e Draghi si siano rivolti al presidente del consiglio di una nazione con dei toni così arroganti ed è inaccettabile che ci sia stato il totale silenzio da parte delle istituzioni". Il leit motiv che è stato proprio scandito dal sindacalista infatti è quello di costruire un movimento sociale lontano dalle attuali dinamiche politiche che contrasti la pericolosità di Berlusconi e anche del diktat europeo. Cremaschi non ha usato mezzi termini neanche nei confronti del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e del suo appello alla coesione nazionale.
Al termine degli interventi la mozione finale costituita da 5 punti e che stabiliva il totale rifiuto al debito, la riduzione drastica delle spese militari, la parità dei diritti, la difesa dei beni comuni e la lotta contro la casta è stata votata all'unanimità. "Costruiamo un progetto politico non un cartello elettorale" ha chiarito Cremaschi.
Ecco i 5 punti fondamentali:

1.    Non pagare il debito. Bisogna colpire a fondo la speculazione finanziaria e il potere bancario. Occorre fermare la voragine degli interessi sul debito con una vera e propria moratoria. Vanno nazionalizzate le principali banche, senza costi per i cittadini, vanno imposte tassazioni sui grandi patrimoni e sulle transazioni finanziarie. La società va liberata dalla dittatura del mercato finanziario e delle sue leggi, per questo il patto di stabilità e l'accordo di Maastricht vanno messi in discussione ora. Bisogna lottare a fondo contro l'evasione fiscale, colpendo ogni tabù, a partire dall'eliminazione dei paradisi fiscali, da Montecarlo a San Marino. Rigorosi vincoli pubblici devono essere posti alle scelte e alle strategie delle multinazionali.

2.    Drastico taglio alle spese militari e cessazione di ogni missione di guerra. Dalla Libia all'Afghanistan. Tutta la spesa pubblica risparmiata nelle spese militari va rivolta a finanziare l'istruzione pubblica ai vari livelli. Politica di pace e di accoglienza, apertura a tutti i paesi del Mediterraneo, sostegno politico ed economico alle rivoluzioni del Nord Africa e alla lotta del popolo palestinese per l'indipendenza, contro l'occupazione. Una nuova politica estera che favorisca democrazia e sviluppo civile e sociale.

3.    Giustizia e diritti per tutto il mondo del lavoro. Abolizione di tutte le leggi sul precariato, riaffermazione al contratto a tempo indeterminato e della tutela universale garantita da un contratto nazionale inderogabile. Parità di diritti completa per il lavoro migrante, che dovrà ottenere il diritto di voto e alla cittadinanza. Blocco delle delocalizzazioni e dei licenziamenti, intervento pubblico nelle aziende in crisi, anche per favorire esperienze di autogestione dei lavoratori. Eguaglianza retributiva, diamo un drastico taglio ai superstipendi e ai bonus milionari dei manager, alle pensioni d'oro. I compensi dei manager non potranno essere più di dieci volte la retribuzione minima. Indicizzazione dei salari. Riduzione generalizzata dell'orario di lavoro, istituzione di un reddito sociale finanziato con una quota della tassa patrimoniale e con la lotta all'evasione fiscale. Ricostruzione di un sistema pensionistico pubblico che copra tutto il mondo del lavoro con pensioni adeguate.

4.    I beni comuni per un nuovo modello di sviluppo. Occorre partire dai beni comuni per costruire un diverso modello di sviluppo, ecologicamente compatibile. Occorre un piano per il lavoro basato su migliaia di piccole opere, in alternativa alle grandi opere, che dovranno essere, dalla Val di Susa al ponte sullo Stretto, cancellate. Le principali infrastrutture e i principali beni dovranno essere sottratti al mercato e tornare in mano pubblica. Non solo l'acqua, dunque, ma anche l'energia, la rete, i servizi e i beni essenziali. Piano straordinario di finanziamenti per lo stato sociale, per garantire a tutti i cittadini la casa, la sanità, la pensione, l'istruzione.

5.    Una rivoluzione per la democrazia. Bisogna partire dalla lotta a fondo alla corruzione e a tutti i privilegi di casta, per riconquistare il diritto a decidere e a partecipare affermando ed estendendo i diritti garantiti dalla Costituzione. Tutti i beni provenienti dalla corruzione e dalla malavita dovranno essere incamerati dallo Stato e gestiti socialmente. Dovranno essere abbattuti drasticamente i costi del sistema politico: dal finanziamento ai partiti, al funzionariato diffuso, agli stipendi dei parlamentari e degli alti burocrati. Tutti i soldi risparmiati dovranno essere devoluti al finanziamento della pubblica istruzione e della ricerca. Si dovrà tornare a un sistema democratico proporzionale per l'elezione delle rappresentanze con la riduzione del numero dei parlamentari. E' indispensabile una legge sulla democrazia sindacale, in alternativa al modello prefigurato dall'accordo del 28 giugno, che garantisca ai lavoratori il diritto a una libera rappresentanza nei luoghi di lavoro e al voto sui contratti e sugli accordi. Sviluppo dell'autorganizzazione democratica e popolare in ogni ambito della vita pubblica.
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