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Articolo 21 - Editoriali
Il Sarcasmo di Bruxelles e la “Svolta Keynesiana” del Vaticano.
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di Gianni Rossi

A volte bastano pochi istanti per definire un periodo storico. A Bruxelles domenica scorsa tutto il mondo ha potuto vedere come l’Italia sia ritenuta ormai un “paese da barzelletta”. La cancelliera tedesca Merkel e il presidente francese Sarkozy hanno risposto con un sorriso sarcastico alle domande sull’affidabilità del nostro governo. Da quell’espressione ironica e beffarda abbiamo capito che il nostro paese non fa più parte del ristretto club dei Fondatori dell’Unione europea e dell’Eurozona. Siamo come i maltrattati e reietti greci. Con l’aggravante che il capo del governo Papandreu gode ancora della stima dei suoi colleghi, mentre “basta la parola” per nominare Berlusconi, che tutti si fanno beffe di uno stato spinto dalla destra “all’amatriciana” verso il baratro del fallimento dei conti pubblici e della recessione più nera.

Come risollevarsi e cosa fare per riprendersi il giusto posto tra i “Grandi” d’Europa e del mondo, come ai tempi di Amato, Ciampi e Prodi? Forse seguendo il diktat franco-tedesco di ammazzare il welfare nostrano, aumentando l’età pensionabile, abolendo le pensioni di anzianità anche per i lavori usuranti, mettendo nuove tasse e liberalizzando sfrenatamente quel poco che ancora rimane dei beni pubblici? Probabilmente il governo Berlusconi-Bossi-Tremonti-Scilipoti si adeguerà “ob torto collo” alle richieste depressive europee, oppure dilaniato da interessi elettoralistici farà precipitare il paese nella crisi politica verso elezioni anticipate dall’oscuro esito. Ma l’Italia  e gli strati sociali che dal 1993 stanno pagando per gli errori della classe politica e per ridurre il mitico debito pubblicane uscirà stremata. Avremo nuova disoccupazione, meno tutele assistenziali, ulteriori tensioni sociali, difficilmente gestibili dai sindacati e dai partiti d’opposizione. Non saremo come in Grecia, dove un giorno sì e l’altro pure, si susseguono manifestazioni di piazza e scioperi generali, senza per altro ottenere nessun cambiamento di rotta; ma l’ingovernabilità di vasti strati sociali e l’impoverimento progressivo di larghe fasce della popolazione potrebbero portare alla diffidenza, se non al disprezzo per tutta la classe politica in Parlamento, da destra a sinistra.

Ricette neoliberiste non servono per rimettere a posto i conti e far ripartire la macchina dello sviluppo e dell’occupazione. Dal 2008 ad oggi, né gli Stati Uniti né l’Europa e ora neppure i paesi del BRICS, con la Cina in testa, sono riusciti a cambiare la rotta burrascosa del capitalismo neoliberista in crisi, e si cominciano a intravvedere i primi segnali della recessione ovunque. Nel frattempo, le oligarchie finanziarie di tutto il mondo, dopo il primo crack, si sono riprese e hanno macinato nuovi profitti, anche grazie ai finanziamenti degli stati, messi in ginocchio proprio dalla “finanza allegra” e dalle ricette monetariste, che da decenni stanno impoverendo il mondo. Nessuna istituzione sovranazionale, dal Fondo Monetario, alla Banca Mondiale, alla BCE, all’OCSE, all’ONU, al WTO, è intervenuta per controllare, sanzionare, indirizzare, modificare lo stato delle cose. Il potere di indirizzo sull’economia e la finanza è rimasto saldamente nelle mani di alcune consorterie private, che controllano a loro volta anche i vertici delle istituzioni internazionali e dei singoli governi: basta scorrere i curriculum di alcuni governatori delle banche centrali, di diversi ministri del Tesoro del G20, dei supermanager del FMI, Banca Mondiale, BCE, per trovarci uomini con passati professionali trascorsi nei “regni” dell’alta finanza. Il conflitto d’interessi, purtroppo, fa parte dell’essenza stessa di questo capitalismo globalizzato.

Ecco allora che ci viene in soccorso da San Pietro la buona parola del grande Samaritano, sotto le vesti del Pontificio Collegio per la Giustizia e la Pace. Addirittura più “Keynesiani” di alcuni autorevoli commentatori come i Nobel per l’economia, Paul Krugman e Joseph Stiglitz, gli esperti messi insieme da Papa Benedetto XVI hanno indicato una strada che si riallaccia alle tesi “rivoluzionarie” della “Pacem in terris”, l’enciclica del pontefice Giovanni XXIII, che fece da corollario alle aperture del Concilio Ecumenico e che per gran parte della comunità cattolica (sacerdoti, vescovi e laici) significò l’apertura a forme di ribellione e di pratiche politiche antidittatoriali, contro qualsiasi tipo di sfruttamento. Da lì nacque la “teologia della rivoluzione”, specie nell’America Latina; ma da quelle parole trassero spunto anche gli intellettuali e i movimenti di base che poi sfociarono come tanti affluenti nel grande fiume della “contestazione” anticonsumistica del ‘68/’69.

Certo, oggi le indicazioni di Giustizia e Pace sono meno “barricadiere”, ma rispecchiano fedelmente le idee progressiste che da alcuni anni molti di noi, insieme ad osservatori ed esperti di economica, vanno proponendo. Basta con l’iperliberismo, occorre una svolta nell’economia globalizzata che metta l’uomo al centro del progetto di sviluppo; c’è bisogno di un governo mondiale della finanza e dell’economia, basata su una sorta di ONU bancaria, oltre a misure di tassazione speciale, come la Tobin Tax sulle transazioni finanziarie (votata dal Parlamento europeo e accettata dalla Commissione europea, ma ancora lettera morta!), per aiutare quei paesi e quelle società a rischio default, e controlli severi e immediati sulle speculazioni al ribasso che danneggiano i mercati azionari e mobiliari dei paesi in difficoltà. Siamo, dunque, ad una “Svolta Keynesiana” del Vaticano, che è stata salutata con stupore dai media internazionali, per poi metterla subito in soffitta, proprio perché i grandi media, specie quelli economici, sono la più forte espressione dei conflitti d’interesse tra le proprietà editoriali e i grandi gruppi industriali e finanziari.

Relegare le indicazioni del Vaticano nel novero della sua vocazione apostolica e di testimonianza della fede cattolica è pura cecità culturale e insipienza politica. Mentre andrebbero lette con attenzione le ricette formulate, alcune delle quali sembrano provenire dagli scritti del Nobel Stiglitz (tra l’altro membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali dal 2003), quando si riprendono le sue analisi sugli errori delle istituzioni mondiale, specie del Fondo Monetario “nella gestione delle crisi finanziarie che si sono susseguite negli anni Novanta". Stiglitz ha sempre criticato le indicazioni del FMI a queste situazioni di crisi, basate sulla riduzione delle spese dello Stato, una politica monetaria deflazionista e l'apertura dei mercati locali agli investimenti esteri. Scelte politiche neoliberiste che sono state imposte ai paesi in crisi (vedi il caso Grecia e prima ancora l’Argentina), ma che non corrispondevano alle esigenze delle singole economie, rivelavandosi inefficaci o addirittura di ostacolo per il superamento delle crisi.

Stiglitz afferma inoltre che”il Fondo Monetario Internazionale, perseguendo il cosiddetto "Washington consensus", non protegge le economie più deboli né garantisce la stabilità del sistema economico globale, ma fa in realtà gli interessi del suo "maggiore azionista", gli Stati Uniti, a discapito di quelli delle nazioni più povere. Ecco quindi perchè è necessaria una sorta di Banca mondiale alla stregua dell'ONU. Forse Stiglitz potrà essere annoverato tra gli “Indignados” del movimento americano come "Occupy Wall Street", insieme agli alti prelati del Vaticano, del Papa e dei milioni di “diseredati” che stanno pagando la crisi attuale!

Certo è che non saranno le ricette stantie del “Direttorio” Merkel-Sarkozy a salavare la Grecia, l’Italia né tantomeno l’Eurozona. 

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