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Articolo 21 - Editoriali
L’Europa e l’Euro sull’orlo di una crisi di nervi e di…credibilità.
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di Gianni Rossi

 A quasi 10 anni dalla creazione della moneta unica e dell’Eurozona, tutta l’Unione europea è sull’orlo di una crisi di nervi, oltre che di credibilità internazionale. Una crisi in parte alimentata dal crollo dei mercati finanziari, a partire dalla recessione produttiva e dalla depressione occupazionale e dei consumi; e in parte preponderante, dal non voler affrontare il fallimento stesso del sistema capitalistico neoliberista che ha dominato gli ultimi 30 anni, portando i maggiori paesi più industrializzati a soffrire di ricorrenti crisi. Nello stesso tempo, assistiamo alla decadenza di una classe dirigente e politica europea, sia conservatrice più o meno moderata, sia socialdemocratica. Non ci si faccia ingannare dalle elezioni il più delle volte vinte dai conservatori, espressione dei movimenti cattolici, né tantomeno da quelle guadagnate da partiti di senso variamente laburista. Si tratta in tutti quei casi di semplici effetti fisiologici di “azione-reazione”: chi stava al governo e gestiva la crisi ha pagato pegno, lasciando il potere all’opposizione, che a sua volta si trova nelle stesse difficoltà operative.

La Francia e la Germania hanno potuto ritardare il loro appuntamento con l’esito delle urne, ma ancora per poco. E per questo si sono ritrovate insieme, come due debolezze a formare un “gigante d’argilla”, a dettare le condizioni amare per quei paesi “meno virtuosi”, entrati nella voragine dei conti pubblici, a partire dai cosiddetti PIIGS, Italia compresa. Ma sia la Francia, sia la Germania, guidati dai conservatori neoliberisti “compassionevoli” Sarkozy e Merkel, hanno in casa una situazione molto contraddittoria: le elezioni amministrative locali e quelle regionali sono state vinte dalle opposizioni di sinistra “rosso-verde”, i due rispettivi Senati (per i tedeschi il Bundesrat, la Camera dei Lander) sono ormai in mano alla sinistra (per la prima volta nella storia della repubblica, presidente di quello francese è un socialista). E il vento del cambiamento cresce sempre più in vista delle presidenziali francesi di aprile 2012 e delle legislative tedesche del 2013 (a meno che la Merkel non scelga di anticiparle, visti i sondaggi negativi).

Insomma, insieme alla debolezza cronica di un’Unione europea e di una BCE, acefale dal punto di vista della guida politica unitaria, coesiste anche una debolezza dei due maggiori “soci accomandatari” dell’Eurozona. Come se un transatlantico avesse due comandanti al timone che tentano di decidere la rotta migliore, nel bel mezzo di una tempesta tropicale, dando ordini ad un equipaggio che non conosce minimamente le loro lingue e che è talmente maltrattato da rasentare l’ammutinamento. Questa è oggi lo stato dell’Unione, mentre oltreoceano, negli Stati Uniti assistiamo ad un’amministrazione Obama alle prese con l’imminente campagna presidenziale, che vede l’attuale leader democratico sotto la soglia di galleggiamento dei consensi, con il rischio default del proprio debito pubblico davvero incombente e gli ottusi ed ostinati Repubblicani, in ascesa presso l’opinione pubblica, delusa dall’atteggiamento rinunciatario di Obama e colpita da una crisi economica e occupazionale senza vie d’uscita a breve. 

Se l’alta finanza irresponsabile detta le regole.

In questa assenza globalizzata della politica, sono proprio le grandi istituzioni bancarie e finanziarie a dettare i tempi e i modi della vita economica, politica e sociale: quelle stesse grandi “peccatrici” che dalla fine del 2007 ad oggi hanno appunto provocato la crisi mondiale e che gli Stati generosi hanno subito assolto e rifinanziato con i soldi dei contribuenti, dopo un primo momentaneo moto di ribellione e dopo averle moralmente additate come “il male del secolo”. Ora però sono loro a “menare la danza”, a decidere che l’Eurozona deve crollare o quantomeno ridursi ad una sponda arrendevole di “Sua Maestà” il Dollaro, per contrastare nel futuro prossimo l’ascesa di Cina, India, Brasile, Sudafrica, le nuove potenze economiche, dove guarda caso le teorie monetariste alla Friedman, alla Scuola di Chicago, non hanno fatto presa. E dove le casse statali hanno sempre diversificato l’accumulo in dollari ed euro, mentre accrescevano il loro potere finanziario acquistando i debiti sovrani degli Stati Uniti (la Cina ne detiene quasi il 30%).

Negli ultimi giorni, l’attacco ad alcuni paesi della sponda meridionale dell’Eurozona si è esteso al resto dei paesi “virtuosi”, facendo tremare Francia, Germania e Finlandia. Soprattutto, disvelando il piano poi non tanto segreto dei 10/12 grandi speculatori di voler “spacchettare” l’Eurozona, riducendo così la forza politica e ideale dell’Unione europea, oltre che dimezzando il potere monetario di “cuscinetto” giocato finora dall’Euro sui mercati, a cavallo tra l’area dollaro e l’area delle “Tigri asiatiche” e dei BRICS. 

Dalla “guerra finanziaria” alla guerra vera e propria?

Siamo sull’orlo di una crisi di nervi, dunque, che l’assenza di una guida politica continentale potrebbe far sfociare anche prima in una guerra commerciale-finanziaria e, poi, con l’impoverimento di larghi strati sociali e il fallimento degli stati democratici, potrebbe anche portare a rivolte e a vere e proprie guerre. Certo, la storia non si ripete, ma i fenomeni hanno una loro logica “matematica” e, quindi, i rischi che stiamo correndo sono enormi. Ma la storia del Novecento è lastricata di decine e decine di milioni di morti in Europa, vittime inconsapevoli di egoismi nazionalistici e di miopie finanziarie!

Guai ad abbassare la guardia e a farsi intimorire dalla propaganda catastrofistica sull’Euro, a cadere nella trappola dei messaggi mediatici dei grandi mezzi d’informazione internazionali. Occorre tenere sempre presente che le maggiori catene di agenzie giornalistiche, TV satellitari e WEB, magazine specialistici e quotidiani definiti storicamente “autorevoli” sono in mano a pochi imprenditori e a un ristrettissimo club di società finanziarie. Così come le 3 società di Rating (Moody’s, Standard & Poors, Ficht) sono di proprietà di alcuni oligopolisti che speculano a loro volta nelle Borse di tutto il mondo.Siamo arrivati al capolinea dell’epifenomeno del capitalismo ultramaturo, saturo, ormai incapace di autoregolamentarsi e di rigenerarsi sotto altre spoglie, come è invece avvenuto nel corso di un secolo e mezzo. Si è voluto accrescere mediaticamente il ruolo decisionale del “Direttorio” franco-tedesco, tenendo invece nascosto all’opinione pubblica mondiale la crisi politica interna dei rispettivi leader, Sarkozy e Merkel, occultando le posizioni alternative prese dalle rispettive opposizioni socialdemocratiche, che invece propendono per dare risposte alla crisi dell’Euro del tutto contrarie ai loro governi.  

Gli strumenti per uscire dalla crisi.

Da questa crisi, è chiaro a molti osservatori e commentatori internazionali (da Krugman a Fitoussi, a Stigliz, a Rikfin),  si esce con politiche che stimolino la crescita e lo sviluppo di nuovi settori industriali e occupazionali, oltre ad una più equa ripartizione dei carichi fiscali, riducendo aliquote e livelli di imposte e introducendo tassazioni speciali per i “troppo ricchi”. Certo, c’è anche bisogno di rimettere a posto i conti pubblici e, per quanto riguarda l’Italia, ben venga un periodo di “decantazione” con un governo tecnico che si sobbarchi questo ingrato compito. Ma appunto che sappia anche tenere presente che esistono molteplici strumenti del tutto complementari ed efficienti. Eccone alcuni.

Il caso più emblematico è quello della Tobin Tax di cui si cerca di non parlare mai. I deputati socialisti e democratici del Parlamento europeo hanno fatto approvare a grande maggioranza l’introduzione della Tobin Tax, ovvero la tassa sulle intermediazioni finanziarie nell’ordine dell’0,05% (Risoluzione del marzo 2011), inducendo poi il Collegio dei commissari Ue, il 27 settembre, a raggiungere un accordo politico sul lancio di una tassa sulle transazioni finanziarie, la TTF, a livello comunitario nel 2014. Si studiano ora i tassi da applicare per la Tobin Taxi commissari sembrano d'accordo su un tasso dello 0,10%  per le transazioni finanziarie che riguardino bond e azioni, e di un tasso dello 0,05% per le transazioni relative ai derivati (il presidente Commissione Barroso vorrebbe farla applicare dal 2014 allo 0,10%). Si prevedono introiti, secondo le stime di Bruxelles, sui 450 miliardi nell’Eurozona, che arriverebbero a 650 comprendendo la Gran Bretagna.

Ma, mentre il premier laburista Brown era d’accordo, l’attuale capo del governo, il conservatore Cameron è totalmente contrario, anche perché succube dei “poteri forti” della City londinese, che non vogliono perdere gli introiti derivanti dalla maggiore piazza di intermediazione di capitali e valute che è appunto Londra. E così il Consiglio europeo e l’ultimo Summit dei capi di stato e di governo ha derubricato l’argomento TTF, trovandosi contrari, oltre agli inglesi, Malta, Svezia Olanda. Ma quel che conta di più a livello mondiale è l’opposizione dell’establishment americano, forte anche dell’atteggiamento tiepido di Obama.

Stessa situazione di stallo si registra sugli Eurobond, sostenuti a gran forza dal movimento socialdemocratico-laburista europeo, ma osteggiato dalla Merkel e da altri paesi un tempo “marco-dipendenti”. Per non parlare poi della proposta caldeggiata dal presidente dei Socialisti e Democratici europei, il tedesco Schultz, e fatta propria dal gruppo, di creare un'Agenzia di rating europea indipendente e collegata alle istituzioni internazionali, che farebbe piazza pulita delle “Tre sorelle” Moody’s, S&P, Ficht. Vi sono poi altri strumenti in grado di aiutare i paesi più deboli dell’Eurozona ad uscire dalla crisi e di rilanciare il progetto unitario: come quello di armonizzare le politiche fiscali dei 17 paesi aderenti, di imporre alla BCE di stampare carta moneta e di ridurre ancora il tasso di sconto, anche correndo il rischio di alimentare l’inflazione, tuttora comunque piuttosto bassa.

Insomma, Tutti argomenti che vanno verso un’integrazione maggiore, verso un controllo più stretto delle politiche di bilancio degli stati dell’Unione, ma che il conservatorismo politico, le gelosie nazionalistiche e il neocapitalismo iperliberista vedono come il fumo negli occhi. In questo “stallo irrazionale”, sono i popoli, le masse di occupati, disoccupati, giovani, donne e pensionati, che pagano il fardello più pesante. L’unica alternativa per i movimenti riformisti della sinistra continentale e delle realtà nate dalla NetDemocracy è di riunirsi al più presto ed elaborare un progetto politico di fuoriuscita dalla crisi e dal neocapitalismo: poche tesi e tanta volontà di inglobare le diversità, piuttosto che rimarcare le proprie identità. L’Europa, tutta, non può più attendere!

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