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Articolo 21 - Editoriali
2012 e la “Profezia Maya”: è la Depressione la fine del mondo? E se Bankitalia vendesse il suo oro?
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di Gianni Rossi

Il 2012, anno bisestile, dopo il 2011 “annus horribilis”, farà paura non tanto per la “Profezia dei Maya” sulla fine del mondo, quanto per la Depressione in cui stiamo precipitosamente scivolando. L’Italia è già caduta in Recessione dal 2008, da quando è iniziato il massiccio ricorso alla Cassa integrazione, alla Mobilità e ai prepensionamenti, con l’aumento costante ed esponenziale di disoccupati e di giovani in cerca di primo lavoro o addirittura senza nessun ruolo (il 30%). E inoltre, con la forte contrazione dei consumi e l’erosione delle molteplici forme di risparmio. Ma nel frattempo, nonostante le Borse abbiano perduto anche un quarto del loro valore, molte delle società quotate hanno aumentato i dividendi; mentre la speculazione ha continuato ad acquistare i debiti sovrani italiani, fiutando l’affare di ricavarne golosi utili fra cinque/dieci anni, allo scadere dei Bond, proprio grazie all’elevato livello dello Spread con i Bund tedeschi.

Si tratta dunque di una Depressione vera e propria, peggiore di quella del 1929, che fu in parte debellata negli Stati Uniti con i piani Keynesiani avviati dall’illuminato presidente Franklin Roosevelt; ma che portò il mondo a scannarsi nel Secondo conflitto con 50 milioni di morti tra l’Asia, l’Africa e l’Europa. Per uscire realmente da quella Depressione ci vollero in realtà più di 20 anni. Solo agli inizi del 1950, i paesi europei passarono dalla ricostruzione postbellica alla fase di espansione produttiva e di lento, ma costante, arricchimento di massa. Da quella tragica ed eroica esperienza nacque il progetto di un‘Europa unita, grazie ad un gruppo di intellettuali e politici di diversi orientamenti. Oggi, ci troviamo alla vigilia di una crisi analoga. La guerra si combatte con la speculazione online sui mercati finanziari globalizzati. La Germania ancora una volta cerca di espandere il suo dominio mercantile su tutto il continente, dettando l’agenda del risanamento dei conti pubblici, del rigore “lacrime e sangue”, mettendo al riparo i suoi guadagni ottenuti con l’Euro e con la ripresa delle proprie esportazioni. Forse, in questo senso, potrebbe avverarsi la “Profezia dei Maya”: un conflitto commerciale e finanziario di livelli mai visti, con decine e decine di milioni di morti e nuovi poveri, massacrati non proprio dalle armi convenzionali?

La Depressione non risparmierà nessuno né i paesi più virtuosi del Nord Europa né quelli che si tormentano tra le manovre apocalittiche di risanamento. E questa volta, come  e più del passato, il termine acquisisce la doppia valenza economica e materiale, da una parte, e psicologica individuale e di massa, dall’altra. La Depressione è uno stato dell’essere, che un tempo si confondeva con la “Melanconia”, il sottile male dell’animo che toglieva energie e voglia di vivere e faceva “guardare all’indietro”, verso un ideale periodo romantico che non sarebbe più ritornato. Adesso, però, questo stato psicologico è certificato come una malattia che può portare, oltre all’isolamento, anche a gravi disturbi psicofisici, fino al suicidio. La Depressione è anche il fondo estremo della Recessione, quando ormai la moneta non ha più valore in sé; quando la gente delle classi meno agiate sopravvive giorno dopo giorno; quando un paese è sempre più oppresso da fame, miseria e desolazione. E solo la rabbia resta nel corpo straziato di un popolo colpito dalla Depressione, come il fantastico libro di John Steinbeck raccontò in “Furore”, poi adattato magistralmente per il cinema  da John Ford. La frase che raccoglie il senso della storia era: “E gli occhi dei poveri riflettono, con la tristezza della sconfitta, un crescente furore. Nei cuori degli umili maturano i frutti del furore e s’avvicina l’epoca della vendemmia”, la rivolta contro le ingiustizie, le sopraffazioni e la povertà dilagante. 

Il periodo è quindi foriero di nubi minacciose all’orizzonte, di stravolgimenti sociali e culturali, di rimescolamenti di posizioni politiche, di massiccio impoverimento delle classi produttive: dal proletariato alla piccola e media borghesia. Poche settimane fa, sulla base di analisi e statistiche realizzate dai suoi uffici, il Direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, l’ex-ministro delle Finanze francese Christine Lagarde (conservatrice neogollista e neoliberista) ha messo in guardia mercati e governanti sull’imminente ripetersi di una Grande Depressione nell’Unione Europea, come negli anni Trenta: “Se la comunità internazionale non comincerà a lavorare insieme il rischio di entrarci è reale, a causa della recessione, del crescente protezionismo e dell’isolazionismo”. E non basteranno le politiche di austerità, di risanamento drastico dei conti pubblici, delle sanzioni finanziarie che la Merkel ha strenuamente voluto nel nuovo “Patto per l’Europa”.

 

Stando anche agli ultimi dati statistici forniti da Eurostat, l’aumento della disoccupazione è in crescita costante dello 0,1% in media a trimestre nell’Unione a 27, ma in alcuni paesi come la Grecia e la Romania è notevolmente superiore: gli occupati sono scesi a 222,9 milioni nell’Europa a 27, mentre nell’Eurozona sono calati a 146,9 milioni. Gli stessi uffici di Bruxelles mettono in guardia dalla “strutturale debolezza, dovuta alle crescenti diseguaglianze e alla diminuzione dei lavori retribuiti con paghe medie, specialmente nei settori manifatturiero e nelle costruzioni”. Più disoccupati ed occupati pagati ancora di meno! Ed è stato inoltre calcolato che già nel 2010 sono entrati nella fascia “a rischio povertà o esclusione sociale” ben 115 milioni di europei, il 23 % della popolazione.

In Italia, a niente sembrano essere servite le recenti manovre finanziarie, dal governo Berlusconi/Tremonti/Bossi a quello della “Destra tecnocratica” di Monti/Passera/Fornero. Lo Spread, il differenziale tra i nostri titoli di stato e quelli tedeschi è rimasto invariato sopra i 500 punti. L’inflazione è sempre stabile tra il 3 e il 4%, i salari e gli stipendi stanno sempre 2,5 punti sotto l’inflazione e gli indici produttivi e per l’esportazione mostrano solo segnali negativi. L’imposizione fiscale ha superato per i dipendenti la soglia media del 45%, toccando per alcune categorie addirittura il 54%, mentre l’evasione e l’elusione fiscale apportano allo “stato parallelo” 160 miliardi di euro l’anno, senza che l’Agenzia dell’Entrate, nonostante qualche colpo mediatico alla “cinepanettone” dei film vacanzieri a Cortina, riesca  o voglia realmente colpire i contribuenti infedeli, pur avendone i mezzi e le strutture da una ventina d’anni!

E allora che fare? La proposta di vendere l’oro, le riserve auree della Banca d’Italia, o almeno legare speciali Bond al loro valore potrebbe essere un rimedio. Altrimenti l’altra strada è quella intrapresa agli inizi del Duemila dall’Argentina, ovvero il riscadenzamento dei titoli di stato, allungandone le date o riducendone drasticamente il valore nominale di riscatto; o ancora più drasticamente, seguire l’esempio dell’Islanda, che ha deciso di non ripagare per nulla i debiti pubblici contratti con le banche investitrici. Significherebbe mettere a repentaglio la coesistenza nell’Eurozona? Forse sì! Ma ora non è la stessa cosa? Se crolla il “sistema Italia”, sostengono analisti e capi di governo, governatori centrali e grandi investitori, crolla l’Euro e si dissolve anche l’idea stessa dell’Unione europea. Allora, a mali estremi, estremi rimedi. Perché impoverire ancora “la mucca da mungere” ovvero i circa 30,5 milioni di contribuenti italiani, sempre spremuti dal 1992 in poi e mai rimborsati? Ecco perché stiamo passando dalla Recessione alla Depressione vera e propria: alta inflazione, seppure relativa (il 4% è ancora ritenuto fisiologico), contrazione drastica dei consumi, significa Stagflazione; la mancanza di investimenti e di produzione, con i magazzini merce semivuoti, certifica la Recessione. Questa miscela porta alla Depressione totale, economica e psicologica. Fallire dunque per lo Spread e i mercati finanziari che speculano sulle debolezze istituzionali italiane o vendere parte delle riserve auree? E se non ora quando?

l'Italia è il terzo paese al mondo per consistenza di riserve auree (dopo Stati Uniti con 8.133,5 tonnellate e Germania con 3.401, prima della Francia e addirittura a 13 lunghezze dalla Gran Bretagna, diciassettesima, con 310,3) con 2.451,8 tonnellate di oro, per un contro valore di circa 110 miliardi di euro.
Un patrimonio enorme, quello di Via Nazionale, che aveva già suscitato nell’estate del 2007 l'interesse del governo Prodi con il defunto ministro delle Finanze Padoa Schioppa (suggeriva vendite per finanziare lo sviluppo e fu attaccato violentemente dal centrodestra), e poi dello stesso Tremonti, che nel 2009 tentò di tassare le plusvalenze sull'oro di Bankitalia, ma fu bloccato dalla Bce di Trichet.  Quest’anno si devono collocare circa 400 miliardi di titoli di Stato e una montagna di obbligazioni bancarie, pari a oltre 100 miliardi, che verranno a scadenza.
Le grandi banche italiane, da Intesa dell’ex-ad. Corrado Passera, ora superministro dell’Economia ( 44% per 46 miliardi di controvalore in oro) a Unicredit (oltre il 20% per 26 miliardi di controvalore), sono formalmente le azioniste della Banca d'Italia e dunque "proprietarie" anche delle riserve auree. In caso di necessità dunque la "controllata" Bankitalia potrebbe sottoscrivere direttamente le obbligazioni bancarie. Le stesse banche potrebbero emettere obbligazioni garantite dall'oro che rappresenterebbe così un "collaterale" affidabile. Ultimamente Bankitalia ha registrato enormi plusvalenze dall’oro, per cui gli azionisti-banche potrebbero beneficiarne per ricapitalizzarsi. C'è poi l’ipotesi più diretta quella legata al debito sovrano.

Se il Tesoro potesse emettere una serie speciale di BOT agganciata all'oro di Bankitalia supererebbe di slancio molti problemi di credibilità. Potrebbero andare sul mercato e chiedere con un’obbligazione Euro freschi. Ai potenziali sottoscrittori potrebbero vendere un bond con attaccata la garanzia dell’oro di Bankitalia. Se la banca dovesse fallire, l’investitore potrebbe rivalersi sui lingotti. Questo meccanismo permetterebbe ai nostri istituti di credito di finanziarsi a tassi molto competitivi e decisamente inferiori a quelli di mercato, vista la garanzia. Tuttavia l'operazione fa i conti senza l'oste. Ovvero la Banca d'Italia. Come è accaduto la Bundesbank ha posto un immediato "no" all'ipotesi di mettere nell'attivo del Fondo salva stati l'oro delle banche centrali e in particolare quello tedesco. Anche Via Nazionale potrebbe avanzare più di una riserva. Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio, nelle settimane scorse hanno proposto un Fondo finanziario europeo, con capitale costituito da riserve auree degli Stati membri, finalizzato ad abbattere il debito pubblico e rilevare 2,3 trilioni di titoli di Stato. L’ipotesi ultima è che il medesimo meccanismo, invece di lasciarlo usare alle nostre banche, si potrebbe attribuire al Tesoro. Un nuovo BTP d’oro: con tassi di interesse molto inferiori a quelli che il mercato oggi ci riconosce proprio in virtù del fatto che avrebbero come “collaterale” per un eventuale fallimento italiano, l’oro di Bankitalia. Non sarebbe la prima volta che Bankitalia utilizza le sue riserve per occasioni eccezionali: l'ultima volta fu nel1976: via Nazionale diede in garanzia 540 tonnellate d'oro per onorare un prestito a copertura del disavanzo verso la Germania.

Va ricordata la provocazione da “ultima spiaggia” nei nostri confronti del presidente della commissione parlamentare per l'Europa del parlamento tedesco Gunther Krichbaum  al quotidiano Rheinischen Post, sull'eventualità di usare le riserve auree per abbattere il debito pubblico: "Attraverso una vendita l'Italia potrebbe, considerato l'alto valore dell'oro, ridurre sensibilmente il suo debito pubblico", ha detto per rispondere all'ipotesi - avanzata nel corso del G20 di Cannes - di utilizzare i diritti speciali di prelievo per potenziare il Fondo salva-Stati europeo. In piena Depressione, con l’eventualità di una nuova manovra “lacrime e sangue”, ancora imposta “dall’algida Germania” della cancelli era Merkel, non è forse il momento di scegliere la strada dell’uso delle riserve auree? O è meglio gettarsi nel’incubo della “Profezia dei Maya”? Se non ora, quando?

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