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Articolo 21 - Editoriali
Senza partecipazione il rischio è il ribellismo
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di Ottavio Olita

E’ strano e fa nascere qualche sospetto il modo in cui alcuni Tg - pubblici e privati – mostrano attenzione per forme di protesta legittime da parte di cittadini che non ne possono più d’essere tartassati. Ignorate per lunghi periodi, se non per anni, improvvisamente ritornano protagoniste. Parlo nello specifico, in questi giorni, delle manifestazioni organizzate in Sicilia contro il caro-gasolio che sta condizionando tutto il mondo produttivo e dei consumi di quell’isola. Giusto, finalmente, parlarne; ma perché nei mesi scorsi sono stati ignorati i pastori e gli artigiani sardi che per tante, diverse giornate hanno occupato le piazze cagliaritane, gli accessi agli aeroporti, la principale arteria stradale isolana e in qualche caso anche le vie di Roma? Legittimo il sospetto che regnante Berlusconi al Paese venissero nascoste realtà che oggi, con il governo Monti, vogliono invece essere in qualche modo sottolineate? E il sospetto non è rivolto contro questo o quel direttore, contro questo o quel corpo redazionale. Il sospetto è rivolto a quel guinzaglio che i partiti continuano ad imporre all’informazione televisiva e del quale non solo i dipendenti, ma soprattutto gli utenti che pagano il canone vogliono liberarsi.
E’ una questione di democrazia, di partecipazione, di maturità. Così come un serio problema di rispetto dei cittadini è non falsificare la realtà utilizzando i democraticissimi canali della rete. La democrazia è fatica, ragionamento, anche, a volte, senso del limite. Ma deve essere soprattutto rispetto della verità. La rabbia dei pastori e degli artigiani sardi, che è sopita, non è pronta a riesplodere come si vagheggia da qualche parte. Né si può immaginare di operare, nel nome del ribellismo, saldature di lotta tra realtà completamente diverse fra loro, con interessi diversificati e distanti. Chi pensa, o spera, che la rete in Italia possa svolgere lo straordinario ruolo avuto nella Primavera Araba non tiene conto di un dato di partenza completamente diverso. Qui la frustrazione dei cittadini nei confronti dei partiti politici è data dalla loro incapacità o impotenza a rappresentare e tutelare i più deboli. In questo Paese non ci sono dittature di fatto, né formalmente viene negata la tutela dei diritti. Sarebbe invece necessaria ben altra coscienza e forza di partecipazione democratica. La deriva di progressivo indebolimento delle istituzioni rappresentative causata dal berlusconismo non sufficientemente combattuto o – chissà – capito, ci ha condizionati tutti, chi più chi meno, nell’impegno a tutela delle garanzie costituzionali. Siamo un po’ seduti, così come stiamo aspettando che Monti e il suo governo ci tolgano le castagne dal fuoco. Ma cosa ci sarà, dopo? Manca la riflessione, la capacità progettuale, mancano le sedi dove incontrarci per organizzarci, i partiti si limitano a celebrare se stessi con riti vecchi, non mostrano disponibilità o anche coraggio ad ascoltare esterni che vorrebbero dare contributi senza porre condizioni e neppure mettendo in campo ambizioni di carriera. E’ difficile e faticoso ricostruire il tessuto democratico diffuso che abbiamo conosciuto e praticato nei tanto deprecati anni della prima repubblica. La scorciatoia del leaderismo ha mostrato e continua a mostrare tutta la sua inconsistenza; l’alternativa a tutto questo non può e non deve essere un ribellismo arrabbiato e improduttivo. Ma non si può continuare a far finta di niente. Quelle stesse istituzioni democratiche che hanno resistito in quest’ultimo, difficile ventennio, devono ora ristrutturarsi per ridarsi linfa vitale. E l’unico strumento è una vera partecipazione popolare. Prima di tutto restituendo ai cittadini il diritto-dovere di scegliere da chi farsi rappresentare in tutte le sedi elettive, quindi con una legge elettorale che cancelli il ‘porcellum’ causa prima di tante vergogne parlamentari alle quali abbiamo assistito. Poi con una riorganizzazione di quelle forze politiche che si richiamano seriamente alla Costituzione e che non possono continuare a privilegiare i “cerchi magici” di qualunque colore e formazione piuttosto che una rapporto diretto, proficuo, continuo con i tanti democratici costretti in un angolo in questi utlimi due decenni.

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