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Articolo 21 - Editoriali
La democrazia vince con le primarie
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di Fernando Cancedda

Limitarsi ancora a ripetere che l'attuale legge elettorale è una “porcata” a me pare piuttosto riduttivo. Di porcate ce ne sono tante nella politica italiana, che una in più non fa gran differenza. In realtà quella legge fa molto di peggio: colpisce al cuore la democrazia svuotando di significato il principio fondamentale per cui “la sovranità appartiene al popolo” (art. 1 della Costituzione) insieme all'altra norma costituzionale (art.49) per cui i partiti non sono organismi burocratici alle dipendenze di uno o più leaders, ma libere associazioni di cittadini che concorrono “con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.

In tal senso ha ragione Andrea Manzella a scrivere su Repubblica che siamo oggi all'assurdo di “una partitocrazia senza partiti. Della forma partito ha resistito cioè il duro guscio burocratico, una nomenclatura di vertice, il caucus di segretari alla testa di organizzazioni che hanno presenza quasi soltanto simbolica nella società. Ma leader che conservano tuttavia forza effettiva sui gruppi parlamentari, tenuti insieme dal potere di candidatura”.

Cambiare questa legge elettorale è davvero un obbligo morale come ha sottolineato giustamente D'Alema. E sarebbe obbligo morale anche riuscire a trovare un accordo al più presto possibile tra le diverse proposte. Che se poi l'accordo non si trovasse, obbligo morale diventa quello di restituire concretamente ai cittadini  il loro potere elettorale attraverso le primarie, di partito e/o di coalizione.
Tanto più che le primarie non sono soltanto lo strumento più democratico inventato sinora per la selezione dei candidati alle cariche istituzionali. Sono un'occasione da non perdere per rinnovare dalla base la democrazia interna ai partiti, costringendo le oligarchie attuali a fare i conti con le istanze che provengono dagli iscritti e dagli elettori; ricordando e imponendo ai leader il compito di rappresentare e non soltanto dirigere.

Certo, le primarie da sole non bastano. Perché possano essere riconosciute come il metodo democratico di cui parla l'articolo 49 della Costituzione occorre che, per le primarie e poi per le elezioni, a determinare la vittoria non sia la pressione della propaganda (e del denaro che la finanzia) ma la circolazione di informazioni e di idee la più larga possibile. Obbiettivo questo non facile se è vero che neppure gli Stati Uniti d'America, paese che ha dato il via alle primarie, sono riusciti a raggiungerlo.
Quanto contano in America i fondi raccolti per una campagna elettorale al fine della vittoria finale? Nel libro “La terza rivoluzione industriale” (Mondadori,2011), il grande economista Jeremy Rifkin cita un'analisi condotta dal Center for Responsive Politics sulle elezioni del 2008, secondo la quale “nel 94% delle corse per un seggio al Senato e nel 93% di quelle per un seggio alla Camera dei rappresentanti il cui risultato si è deciso nelle ultime ventiquattr'ore, ha vinto il candidato che aveva speso di più”.
In Italia, lo sappiamo, alla forza corruttrice deel denaro si aggiunge il peso ingombrante delle mafie e delle clientele. Ma ci sono anche buone ragioni per essere ottimisti. Le nuove opportunità offerte soprattutto ai giovani dall'informatica e dai social network dimostrano ogni giorno di più che è possibile cambiare le cose. Anche per questo è imperativo che i reiterati attacchi portati alla libertà della Rete vengano con determinazione respinti.

*www.nandocan.it
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