di Vittorio Emiliani
Il nuovo rinvio subìto dalla elezione del CdA della Rai (in base alla legge Gasparri) segnala il profondo malessere che circonda questa decisione. Essa riguarda in modo strategico la più grande azienda della comunicazione in Italia, riguarda un'azienda pubblica che è ancora di tutti i cittadini.
Eppure i criteri di nomina - in base alla Gasparri - non attengono tanto alla categoria "aziendale" quanto a quella "politica", anzi "partitica". Del resto, è il meccanismo stesso della legge Gasparri a portare verso questo esito che ben poco ha di aziendale,di imprenditoriale. Sette dei nove consiglieri vengono infatti nominati dalla Commissione di Vigilanza (quattro alla maggioranza e tre alla minoranza). Il presidente e un altro consigliere vengono designati dal proprietario della Rai che, grazie all'insipienza dell'Ulivo al governo dal '96 al 2001, è il Tesoro, cioè il governo, cioè Berlusconi.
Essi devono però ottenere la convalida anche dalla minoranza della commissione. Non c'è alcun organismo superiore, sovraordinato, di garanzia - alla maniera del CSA francese o della Fondazione all'anglosassone - a provvedere direttamente a tali nomine evitando la strada sbagliata, e per la Rai perniciosa, della trattativa fra i partiti. Siamo ad un ritorno di fiamma del consociativismo partitico in pieno maggioritario.
Perché, si argomenta, la Rai è troppo importante per lasciarla che sia la sola maggioranza a nominare presidente e direttore generale. In realtà , la soluzione che si profila è quella di un politico (sostanzialmente), cioè Petruccioli, non sgradito al Polo, quale presidente, e di un altro politico, ex deputato di Forza Italia, ex commissario dell'Authority per il Polo, Meocci, alla direzione generale. Non faccio questione di nomi, ovviamente, ma di criteri di scelta.
A me sembra che, in tal modo, l'Unione si lasci legare le mani. Come, in parte, è stato con la presidenza "di garanzia" Annunziata la quale però aveva il vantaggio di una sorta di scudo : l'essere stata prescelta dai presidenti delle Camere, i quali esprimevano in modo preciso fondamentali istituzioni di garanzia: In Francia ai presidenti di Camera e Senato si aggiunge infatti il presidente della Repubblica, ognuno di loro nomina 3 componenti del Conseil Superieur de l'Audiovisuel- organismo di governo dell'intero sistema radiotelevisivo- il quale, a sua volta, nomina il presidente-direttore (figura unica) e una parte del CdA di Télévision de France.
Questa era la strada giusta per dare precise garanzie anche alla Rai, tanto più in regime televisivo berlusconiano. Non la strada della Gasparri la quale ci riporta indietro nel tempo. L'ultimo presidente eletto (e non fu una gran presidenza, fu quella che lasciò in eredità quasi 500 miliardi di debiti) con criteri partitici fu Enrico Manca (craxiano) con Gianni Pasquarelli (dc) direttore generale. Nel '93 con la legge n.206 si svoltò affidando ai presidenti delle Camere la nomina di un CdA ristretto e "governante" di 5 membri e i presidenti furono l'economista Demattè coi "professori", l'imprenditrice Letizia Moratti, lo scrittore Enzo Siciliano, il giurista e gran conoscitore della Rai Roberto Zaccaria. Con direttori generali che si sono chiamati Gianni Locatelli, Raffaele Minicucci, Aldo Materia, Franco Iseppi, Pier Luigi Celli, Claudio Cappon.
Perché l'Unione, o lo stesso Prodi, i quali pure assicurano che, in caso di loro vittoria, abrogheranno subito (giustamente) la Gasparri, si vanno a ficcare in un meccanismo di nomine consociative e non si limitano invece a designare tre consiglieri di minoranza di alto profilo professionale?
I tre nomi che più girano, cioè Curzi, Rizzo Nervo e Rognoni corrispondono già a tale criterio. La Rai è ritenuta ancora una azienda o è una succursale di Mediaset e insieme dei partiti? Se davvero si pensa di mandare in archivio la Gasparri - compreso il metodo di nomina del Cda - se davvero ci si vuole rifare ai sistemi di garanzia anglosassoni o francesi (a questi ultimi c'eravamo vicini, in fondo), perchè andarsi a cacciare in un simile pasticcio che non è bipartisan, ma è ancora una volta consociativo?
Esso, fra l'altro, produrrà disastrosi effetti a cascata all'interno dell'azienda ridando fiato alla spartizione più capillare di cariche e incarichi assegnati non in base al merito bensì in base alla targatura politica. Cosa potrà capirne il cittadino, l'utente, l'elettore? Poco, temo. Molto poco.