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Articolo 21 - Editoriali
La Rai tra Cattaneo e Bertoldo
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di Vittorio Emiliani

«A noi la qualità!». ? patetico e anche peggio il proclama del direttore generale della Rai, Flavio Cattaneo, all'indomani del ??ritiro? della sua azienda dai Mondiali di calcio 2006 e nel pieno di un anno televisivo dominato da giochi miliardari e da ??reality? spesso volgari in un'emittente che al 60 per cento e oltre è ancora pagata, malgrado tutto, dal canone. ? patetico e anche peggio nella paralisi istituzionale che ha colpito l'emittente di Stato.
La Rai non ha più l'esclusiva italiana dei Mondiali di calcio, ha rinunciato all'opzione esercitata nel 2001 e si limiterà a dare ??in chiaro? le partite che è obbligata (si badi bene) a trasmettere, e cioè quelle dell'Italia, le semifinali e la finale. ? la prima volta che succede, in cinquant'anni di Tv, ed è un rattrappimento che i nostri telespettatori non capiscono. Quelli che pagano il canone perché lo pagano e ritengono che seguire lo sport nazionale per eccellenza nei tornei internazionali faccia parte del servizio pubblico. Lo capiscono ancor meno poi quei telespettatori i quali hanno appreso dal direttore generale Flavio Cattaneo mirabilie su questi suoi ultimi bilanci (sui quali molto ci sarebbe da discutere): se i ricavi sono stati così copiosi perché, improvvisamente, tanta ??micragna?, proprio coi Mondiali di calcio? Oltre tutto la Rai rischia parecchio negli ascolti privandosi di tante partite in cui non è impegnata l'Italia, ma nelle quali saranno in campo Nazionali le quali fanno buoni ascolti. Paradossalmente, la Rai è ??costretta? a fare ascolti elevati dal livello bassissimo del suo canone di abbonamento. Essa infatti dipende per un 40 per cento dagli introiti pubblicitari il cui livello è strettamente legato ai punti di share in più, che le tre reti riescono a conquistare. E non v'è dubbio che fra i cosiddetti Grandi Eventi rientrino in pieno i Mondiali di calcio. I quali, oltre tutto, si svolgeranno nel 2006 in Germania, quindi ad orari nostrani, e saranno pertanto vendibilissimi. A proposito di Grandi Eventi, per il tennis lo sono certamente gli Internazionali di Roma che la Rai, in passato, seguiva attentamente. Che malinconia vederne le fasi finali su Rete 4 (che non ha canone).
L'impassibile Cattaneo si giustifica dicendo che la Rai ??farà qualità?. Siamo al tragicomico. Se c'è una Rai che ha raccolto ascolti con una Tv marcatamente commerciale, coi giochi a premi di Bonolis e coi ??reality?, questa è la Rai di Cattaneo. Il resto - fatta salva Raitre (che però la grande musica l'ha spedita a notte fonda insieme alla bella Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, messa così a rischio) - è sovente televisione tipicamente commerciale. Con l'aggravante di aver cancellato dal video gran parte del pluralismo politico-culturale che, anche negli anni più grigi, l'emittente pubblica aveva mantenuto: via Biagi, via Santoro, via tutta la satira, i Guzzanti, Luttazzi, anche l'ironia di Gene Gnocchi e Maurizio Crozza al lunedì, fuori Beha dalla Tv e dalla Radio, e con lui Massimo Fini, rigorosamente esclusi da ogni possibile intervento schiere di giornalisti e di opinionisti ??sgraditi?, fuori dalla rassegne stampa giornali come ??l'Unità?, il Tg1 che nasconde, omette e alla fine ??castiga? persino Giorgino, il Tg2 che mette da parte, e non è la prima, una brava professionista come Stefania Conti, e Televideo che non fa capire nulla appena c'è una notizia spiacevole per Berlusconi. Ogni giorno, in pratica.
Questa Rai, da oltre un anno, è governata, si fa per dire, da un Consiglio a quattro, senza presidente (fatto inaudito nella pluridecennale storia dell'ente). CdA che ha consegnato al direttore generale un potere enorme e che non si riesce a mandare a casa, neppure attuando la pessima legge Gasparri. Quest'ultima prevede che sette dei nove consiglieri vengano eletti dalla Commissione parlamentare di Vigilanza e che gli altri due, fra cui il presidente, siano nominati dal proprietario attuale della Rai, cioè dal Tesoro, cioè dal governo, cioè da Berlusconi. Con una convalida da parte della Vigilanza. Paradossale, grottesco, ma vero. Quindi si parla continuamente di consiglio e di presidente (e magari di direttore generale) ??di garanzia?. Perché ? Perché l'Italia è l'unico Paese europeo nel quale non esiste alcun organismo sovraordinato ??di garanzia?, come la Fondazione Bbc, con dodici ??governors? del più alto livello, la quale nomina essa CdA, presidente e direttore generale della radiotelevisione di Stato, o come il Consiglio Superiore dell'Audiovisivo francese - nominato dal presidente della Repubblica e dai presidenti delle Camere - il quale a sua volta elegge il presidente-direttore generale della Tv pubblica e una parte determinante del suo CdA. Da noi, nulla di tutto ciò. Nessun organismo, né statuto di garanzia. Fanno tutto il governo e la sua maggioranza. Con la minoranza chiamata a convalidare la nomina del presidente. Risultato : la paralisi gestionale.
Un pasticcio orrendo. Una mancanza di ??terzietà? clamorosa. Nessuna certezza di neutralità rispetto all'esecutivo, rispetto alla politica in generale. Tanto più grave - per un organismo pubblico così delicato - in tempi di maggioritario. Con un esasperato ??o con me o contro di me?, secondo l'Editto bulgaro (in tutti i sensi) di Berlusconi. In questa situazione, la maggioranza di centrodestra non sa che fare e diserta i lavori della Vigilanza. Il centrosinistra chiede, per l'appunto, un presidente e un direttore generale i quali tornino ad assicurare il perduto pluralismo. Credo però che tale richiesta non debba portare l'Unione a fare dei nomi (se non quelli di Curzi, Rizzo Nervo e Rognoni per il CdA), né a condurre trattative che si risolverebbero in un pasticcio consociativo dei più compromettenti, del tipo ??li avete voluti e votati anche voi?. Una esperienza di presidente di garanzia c'è stata e venne concordata con Lucia Annunziata al vertice di un consiglio tutto di centrodestra. Al di là della persona e del suo operato in quelle impervie condizioni, l'esperimento non mi pare da ripetere. E non ricominci, a sinistra, il balletto fra privatizzatori e non. Venerdì scorso Franco Bassanini ha riproposto una soluzione che non ha nessun fondamento: privatizzare Rai1 e Rai2, lasciando il canone a Rai3. Carlo Rognoni l'ha subito bocciato ed ha fatto bene: non c'è emittente importante che possa sopravvivere (se non al 5 per cento di share) con una sola rete. Possibile che Bassanini non lo sappia? Se non lo sa, s'informi, l'Europa è vicina.
Il direttore dell'Unità, Antonio Padellaro, sostenuto dall'Associazione Articolo 21 e, credo, da un ampio favore di opinione nel centrosinistra, ha proposto che le garanzie richieste non siano ancorate ai nomi né alle solite vaghe promesse di pluralismo politico-culturale, bensì ad alcuni fatti: prima di tutto, cancellare gli ostracismi seguiti al citato Editto di Sofia e quindi far rientrare in radio e in tv gli ??espulsi?. Oltre tutto, l'Unione giura che, in caso di vittoria alle politiche, abrogherà la legge Gasparri. Compreso, mi auguro, questo vecchio arnese della nomina del CdA della Rai da parte del governo e dei partiti. E allora, perché sporgersi tanto per trattare questo o quel nome? Fra l'altro ne gira qualcuno che rimanda un profumo antico, gente che s'è ??smarcata? già più di una volta, con Craxi e poi da Craxi (quando è caduto in disgrazia), con la Moratti e poi dalla medesima (magari dopo aver avuto il premio di prestigiose presidenze di Accademie Nazionali), e via riciclando. Capisco che Romano Prodi sia preoccupato dell'anno di campagna elettorale che attende il centrosinistra con questa Rai per tre quarti ??occupata? militarmente dal centrodestra. Stia però ai fatti. Non si lasci attirare nel pantano delle corresponsabilità e delle cogestioni. C'è un proverbio di Bertoldo, sceso dal nostro Appennino, che saggiamente dice: ??Molte parole e pochi fatti ingannano i savi e i matti?. Mi pare perfetto.

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