di Riccardo Orioles
(stralcio dalla Catena di San Libero)
Ovviamente, Catania non sta in Italia - o vi sta fin troppo - perciò tutto questo colore, questo paternalismo "continentale", in fondo è giustificato. I gattopardi, qua, non sono feroci gentiluomi palermitani ma placidi compradores pronti a qualsiasi ribaltone.
Non ci sono classi sociali contrapposte o anche semplicemente individuate, non c'è una borghesia (e che mai si produce?), non c'è una classe intellettuale indipendente. Per intellettuale, qui, s'intende un uomo alfabetizzato, che a una certa età ottiene una cattedra all'università o una
consulenza al comune o tutt'e due, che settimanalmente esprime profondi concetti sul giornale di Ciancio, e che ha successo se riesce abbastanza spesso a produrre delle battute ciniche e possibilmente eleganti sul "non c'è niente da fare". Certo, ci sono state eccezioni - notevoli -, ma individuali: Giuseppe Fava, Scidà , D'Urso, Mignemi, Recupero, Compagnino, Cazzola, Catanzaro,
Resca, e pochissimi altri.
Ciò che accomuna queste eccezioni è da un lato il livello professionale e civile, rare volte riscontrabile altrove; dall'altro la sostanziale non catanesità e dunque l'isolamento, lo scherno, la più o meno violenta emarginazione. Dalla politica ufficiale, comunque, vengono accuratamente enucleati. Fanno politica, quando la fanno, coi movimenti dei giovani di cui questa strana città , così misera nei palazzi, non e' affatto avara.
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