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Articolo 21 - Editoriali
Due righe di Nessuno sulla Rai che si dice di Tutti
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di Oliviero Beha*

Caro Direttore,
chiariamo subito che non sono Oliviero Beha. Nessuna crisi di identità sub-shakespeariana (anche se a volte giovano). Più semplicemente, intendendo scrivere da abitante della polis due cose in croce sulla Rai non vorrei che il pregiudizio nei confronti di chi le scrive stingesse parole e concetti senza un minimo di riflessione. Ancor più esplicitamente: quel tale scrive così perché è stato epurato, emarginato, sottoutilizzato ecc. ? una vecchia storia (cfr. Paul Valery, ??Quando non si può attaccare il ragionamento si attacca il ragionatore?).
Quindi queste righe sono di Nessuno. Ma la Rai, si dice, è di tutti, almeno la Rai di ieri e di oggi, non si sa quella di domani. E intanto una pioggia di polemiche inzuppa il nuovo Consiglio di Amministrazione e i suoi primi sette membri, imputati di lottizzazione diretta per distinguerli dalle ultime stagioni di sedicente lottizzazione indiretta. E intanto i casi dati in pasto all'opinione pubblica sono quelli di Bonolis e dei diritti sui Mondiali di calcio, collegati tra loro in superficie dal rischio (eufemismo!) che così la Rai si indebolisca vieppiù nei confronti dell'altro soggetto sul mercato, nell'ormai metabolizzato duopolio.
Ma i due casi eclatanti, peraltro senza alcun distinguo e approfondimento (modello ??come programmare una sorta di vivaio per conduttori tv? oppure ??come occuparsi del fenomeno sociale del calcio, diritti a parte?), vengono spacciati grossolanamente per la malattia, e non considerati ??solo? i sintomi gravi del male. Come se essere malati fosse ormai una condizione infelice ma accettata, che non prevede o non prevede più la voglia di guarire. Siamo al ??far finta di essere sani?, e Gaber è morto.
Per evitare di andar giù per una china che tutti conoscono ma che rimuovono continuamente, sono costretto ad affermare senza dettagliare troppo. ? come pungere per far sentire il dolore,e tentare di essere con il dolore ancora vivi. ? un elenco sintetico, insomma, domande più che risposte anche perché le risposte le conosciamo, le conoscete, pur se di solito vengono taciute persino a se stessi, oppure dagli addetti ai lavori, dico politici, televisivi, mediatico-culturali, vengono confezionate in un linguaggio poco comprensibile ai più. Formule di ingegneria interpartitica, allusioni costituzionali, ribaltoni legislativi, innovazioni tecnologiche, libro mastro dei conti economici:q uesto e altro ancora sembra essere la Rai, lontana dal paese se non quando si parla di Bonolis e di calcio. Peccato che ??sia? il paese.
La Rai è semplicemente la principale azienda di comunicazione culturale che ci sia in Italia, ancora oggi che è in queste condizioni. E la domanda ridotta all'osso non è poi così difficile, se scremata da tutte le sovrastrutture appena citate e dal linguaggio che le gonfia come bolle: la Rai comunica cultura? E quale cultura? E se non comunica cultura, che altro comunica?
Non vi fate fregare dall'obiezione che ??la cultura è seriosa, è noiosa, non fa ascolti?. Balle, e ignoranza gramsciana totale. Perché se è noiosa, vuol dire che non comunica, che non arriva. E allora è sbagliata nella sua specificità di comunicazione, non rispetta le caratteristiche del mezzo televisivo e radiofonico.
Ma se comunica tutt'altro, allora è sbagliata fin dalla sua dizione di ??principale azienda di comunicazione culturale?. Se serve a vendere pubblico agli inserzionisti pubblicitari, allora è un'altra cosa. E si apre il buco: chi fa comunicazione culturale in questo paese? O ancora meglio: chi fa decente comunicazione culturale in questo paese? E da che dipende, allargando la visuale, se il paese è in una recessione culturale anche maggiore di quella economica che riempie i media e svuota le tasche delle famiglie? Dalla scuola, dalla università, certo. Ma non si è detto da un pezzo che per varie ragioni la tv esercita una supplenza nei confronti di una scuola e una università degradate?
Lo so, volete esempi. Bene: che c'è oltre Bonolis? E Bonolis ha sentito nominare e forse letto Pasolini, i suoi fans no. Anche solo prendendo in esame i due anni di Bonolis alla Rai, che altro c'è stato di interessante in termini di comunicazione culturale? Che cosa ha qualificato l'azienda in relazione alla sua ragione sociale, se si escludono fiction di ricostruzione storica comunque quasi mai elevate al rango di discussione e formazione nazionale (mentre sul delitto di Cogne?)? Che cosa c'è stato oltre il mercato (lasciando da parte le valutazioni sull'Auditel, i periodi di garanzia, gli ammortamenti di magazzino ecc. comunque interne solo al mercato)? Quali responsabilità si è assunta la Rai nei confronti dell'opinione pubblica? Quali idee ha fatto circolare? A che cosa pensa o di che cosa parla il paese che guarda o ascolta la Rai? Che immagine dell'Italia ha un italiano davanti a una tv sintonizzata su una rete Rai? E che cosa ne sa?
Ed è migliore o peggiore del servizio/prodotto che gli veniva offerto cinque anni fa, dieci anni fa, venti anni fa? Basta fare confronti. Ma non sui giornali, con un editoriale o un'inchiestina, bensì in tv, con la dignità(!) e la cassa di risonanza della prima serata. Le teche ci sono apposta.
Ma, si obietta, ci fanno vedere ed ascoltare quello che decidono i dirigenti/direttori aziendali nominati in strettissima filiera politico/partitica: e si torna ai lai odierni sulla lottizzazione ??chirurgica? del nuovo Consiglio.
Ma perché, c'è in questo paese qualcosa che non sia lottizzato fino alle viscere? Davvero oggi in Italia si può vivere, lavorare, tentare di dare il meglio di sé senza pagare dazio in varie dosi e forme a qualche referente politico, individuo, partito o area che sia? Certo, poi tonnellate di ipocrisia stendono una cortina fumogena su tutto ciò. Ma che sia così lo sanno ahimè proprio tutti, e casomai il gioco è distinguere tra lottizzazione buona e cattiva, tra persone di valore, persone accettabili e persone indecenti. E di qui a scalare, in chi fa televisione e radio esattamente con le stesse stimmate. Il punto è che ormai, dopo strati geologici di lottizzazione e servitù parapolitica, ormai riesce difficile persino ipotizzare che ??non siamo sani?, che non sarebbe/è giusto, logico, persino utile che nulla dipenda più da come sai svolgere il tuo lavoro, bensì esclusivamente dal padrinato di turno e dal quoziente di fedeltà/affidabilità/ricattabilità. Siamo alla normalizzazione della dipendenza mentre si sbraita in pubblico di autonomia e indipendenza, dai giornalisti di grido all'ultima velina, uscieri e donne delle pulizie inclusi.
Ma c'è di peggio, sì. Perché il modo in cui dall'esterno opinionisti e cronisti si esercitano sul corpo metastatizzato della Rai, dalle grandi questioni al gossip infinitesimale, ha qualcosa di stordente ed ossianico insieme: vivisezionano la salma tendenziale come se fosse solo ??una? salma, sia pure importante, visibile, vistosa, discutibile o esecrabile a colpi di Bonolis e di Mondiali di calcio, e non piuttosto il bacino della principale azienda di comunicazione culturale del paese, cioè il paese stesso, cioè loro che ne scrivono, e i loro figli. Sono dentro a un bieco ??reality? che li prevede, e pensano di stare davanti al televisore, discutendo di manuale Cencelli qua e di pettegolezzi tardoaziendali là. Almeno, quelli degli ??ultimi giorni di Pompei? non erano stati avvertiti.

*l'Unita' - 23 maggio 2005

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