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Articolo 21 - Editoriali
Perché siamo caduti in trappola?
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di Federico Orlando*

Per le persone della mia generazione, Marco Pannella ha questo di bello: che quando parla di politica contemporanea ne parla sempre o evocando lâ??adolescenza (Altiero Spinelli, Ernesto Rossi) o riandando allâ??età matura (Amintore Fanfani, Giorgio Almirante).
Lâ??dea che questi nomi, fatti da un politico coi capelli bianchi, non dicano niente né ai nostri figli (età matura) né ai nostri nipoti (adolescenza) non gli passa per la mente. Così, come fosse Pirandello, trasferisce nei protagonisti del referendum sullâ??embrione i protagonisti del referendum sul divorzio, e il loro tempo: che era il 1974, a mezza strada tra la rivoluzione giovanile e operaia del 1968-69 e il terrorismo brigatista sostenuto dalle masse del Movimento 1977. A noi coi capelli bianchi può anche far piacere essere rituffati ogni giorno nellâ??adolescenza e nellâ??età matura: e perciò, anche se il referendum sullâ??embrione ci trova inizialmente perplessi, per non dire increduli, finiamo col firmarne la richiesta, poi facciamo anche comizi, dibattiti e articoli, e infine sottoscriviamo lâ??impegno a firmare in mille un appello per il prossimo week end, in cui dovremmo discutere â??che fareâ? dopo la vittoria o la scon- fitta. Sconfitta colossale, altisonante, capace di conseguenze devastanti non tanto nella destra vandeana, già devastata di suo da opportunismo silenzioso o militante, ma nel centrosinistra: dove potrebbe rendere più ardua la riunificazione Prodi- Rutelli (conditio sine qua non per vincere le elezioni politiche lâ??anno prossimo) e più forte la tendenza storica dei postcomunisti al connubio o al cedimento ai clericali («Lâ??Italia è clericale e dunque prendiamone atto»: si tratti di votare lâ??articolo 7 della Costituzione, di esitare nei referendum su divorzio e aborto, di non perdere lâ??autobus di Craxi per un concordato che rinverdisca quello di Mussolini).
Il risultato di ieri conferma che non si fa politica coi sentimenti e con le nostalgie. Ã? stato un errore aver subìto la pressione di Pannella per la raccolta delle firme referendarie: senza lâ??aiuto del centrosinistra (ripagato dai radicali con ingiurie e dichiarazioni dâ??amore a Berlusconi), non ci sarebbe stato alcun quesito abrogativo, alcun referendum.
Così come era stato un errore sentimentale di molti di noi, nel corso della legislatura ulivista, commuoversi ai piagnistei di Tremaglia e approvare la legge sul voto degli italiani allâ??estero: che non sanno un cavolo di quel che accade in Italia, non vanno a votare, ma avranno dieci collegi intercontinentali alle elezioni e fanno alzare il quorum nei referendum. Noi non radicali â?? diessini, liberali, cattolici laici, democratici vari, socialisti â?? sapevamo, nel momento in cui firmavamo la richiesta referendaria e sostenevamo il referendum sotto il pungolo del vecchio radicale, che non câ??erano le condizioni storiche e politiche per vincere.
Sapevamo cioè che lâ??Italia del 2005 non è lâ??Italia del 1974.
Il cardinale Ruini non câ??entra. Questo vicario â?? che ha solo i caratteri estrinseci di don Fabrizio Ruffo, appunto il condottiero calabrese di â??Santa Fedeâ? che distrusse la Repubblica Partenopea del 1799 e riconsegnò a Ferdinando I il trono di Napoli e al suo boia le teste dei liberali â?? vive in un tempo, il nostro, di totale «perdita del sacro». I giovani, a cominciare da quelli delle nostre famiglie, non hanno partecipato al referendum non perché suggestionati dalle prediche del cardinale, ma proprio perché indifferenti a quelle prediche come a quelle di Pannella e alle nostre: tutte estranee alla loro vita, tutte rivolte con la testa allâ??indietro come i dannati di non so più quale girone dantesco. Certo, sul risultato il cosiddetto â??voto cattolicoâ? ha inciso: ma non perché sia cresciuto grazie al lungo pontificato Wojtyla-Ratzinger, ma perché andava (lecitamente) a sommarsi a unâ??astensione cronica dei non votanti, che da sola altera le regole del gioco e rende il referendum un gioco da bari. Sicché un risultato positivo questa vicenda lâ??ha avuto, eccome: ha seppellito per sempre lâ??istituto referendario, così come costruito controvoglia e dunque furbescamente dai padri costituenti. Se resterà scritto nella Costituzione, questo istituto che gli elettori ignorano da 15 anni dovrà essere ricostruito: limitandone la praticabilità, raddoppiando le firme dei richiedenti, ammettendolo solo per un sì o per un no al complesso della legge, abolendo il quorum.
Ma tornando al 12-13 giugno, bisogna che noi fautori (antemarcia o della sesta giornata non importa) del referendum dichiariamo francamente di esserci dimenticati che chi siede al tavolo coi bari rischia di barare anche lui. Con 35 mila parrocchie impegnate quanto meno a controllare il voto, togliendogli spesso il suo carattere di segretezza; con sette televisioni schierate a sostegno dellâ??astensione (sabato sera Rai2 ha trasmesso il film Istinto criminale, un medico che aiuta le donne con la fecondazione assistita e poi le uccide: a questo è arrivato il terrorismo di Stato in Italia); con una magistratura ridotta dopo anni di berlusconismo a un unico porto delle nebbie, e perciò a non vedere i reati e a insabbiare le denunce; con tutto questo a difesa della legge 40, affrontare il referendum è stato follia (e, per qualcuno come Fassino, generosità).
Noi lo diciamo oggi, a posteriori, e quindi non vale.
Ma ci sono stati anche quelli che lâ??hanno detto prima, come scriviamo nella rubrica delle â??Lettereâ?. Essi proponevano una strada non emotiva: e cioè aspettare che i tribunali impugnino la 40 davanti alla Corte costituzionale, che questa la smembri per violazione della Carta, vincere le elezioni politiche del 2006, riscrivere la legge anche in base ai vuoti aperti in essa dalla Consulta, cercando lâ??intesa dei laici non estremisti dellâ??uno e dellâ??altro polo; nonché dei cattolici non clericali dellâ??uno e dellâ??altro polo.
Che Pannella sapesse tutte queste cose; che prevedesse nellâ??ipotesi migliore un 40 per cento di votanti; e che tuttavia insistesse fino allâ??ultimo nella scelta referendaria, si capisce.
A parte la coerenza con la propria icona e con la sua storia, così facendo il suo partito e lui avrebbero occupato la scena per qualche mese: sempre offrendosi a destra e a manca come possibili guru da compensare salatamente. Che i clericali e la destra â??manganello ed aspersorioâ? cogliessero al volo la palla pannelliana (per gli stessi motivi di riaffermazione ideologica e di presidio sociale), si capisce altrettanto. Che i cattolici più legati alla gerarchia si astenessero, era il meno che potessero fare. Lâ??unica cosa che non si capisce è perché nella trappola referendaria ci siamo caduti noi, pur sapendo che câ??era una strada maestra per cancellare gli eccessi della legge 40 (su cui la Fabbrica del Programma dovrà ora pronunciarsi); e pur sapendo che il referendum veniva a esplodere come una bomba a orologeria nelle nostre file, per colpire non le nostre aspettative referendarie, ma le nostre possibilità di vincere le elezioni del 2006: che è la condizione per smantellare il cartello delle sette sorelle televisive, per ridare autonomia alla politica e prestigio allo Stato, per risanare un paese dove genitori e figli, se hanno da pensare al 27, non possono studiare lâ??eterologa. Gli basta praticarla. 

* da "Europa" 14-6-2005

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