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Articolo 21 - Editoriali
Fininvest e Mediaset ridono, la Rai continua a piangere
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di Vittorio Emiliani*

Fininvest e Mediaset continuano a ridere. La Rai continua a piangere e a soffrire. Martedì, abbiamo appreso che nel 2004 la holding di famiglia del presidente del Consiglio ha portato a casa un utile netto dei più grassi: 332 milioni di euro, con un incremento del 38,4 per cento sul 2003. Quanto a Mediaset, ha registrato utili in ottima salute segnando un 35 per cento in più. Per contro, il vertice della Rai rimane ancora senza testa, cioè senza presidente, e l'azienda non può darsi un vero programma di investimenti (difatti resta aggrappata al nuovo conduttore di â??Affari tuoiâ?). Nonostante che, come ha più volte sottolineato il consigliere anziano Sandro Curzi, sia imminente la presentazione agli inserzionisti dei palinsesti autunno-inverno. La Rai è acefala dal 4 maggio 2004, da quando Lucia Annunziata si dimise, e così è rimasta non avendo i sindaci Rai preteso (come invece pretesero nel febbraio 2002) la immediata elezione di un presidente a tutti gli effetti quale legale rappresentante dell'azienda. Perché, sarà bene ribadirlo, la Rai è tuttora un'azienda anche se la cattiva politica la sta sempre più trascinando nella palude.
La legge Gasparri, fra le tante colpe, ha quella di non aver identificato, e potenziato, un soggetto â??terzoâ? (presidenti delle Camere e presidente della Repubblica, alla francese) in grado di superare le beghe e le spartizioni partitiche, nominando a tempi rapidi un vertice di alto profilo professionale. Essa ha affidato alla commissione di Vigilanza, dunque ai partiti, la elezione diretta di 7 dei 9 consiglieri e assegnato al Tesoro (cioè al presidente del Consiglio) la designazione dell'ottavo consigliere e del futuro presidente il quale dovrà essere convalidato dai due terzi della stessa commissione di Vigilanza. Cosa che non è avvenuta per la nomina-blitz di Raffaele Monorchio (poi ritiratosi dignitosamente). E che minaccia di non avvenire, a tempi ravvicinati, per nessuno. Col rischio che non possa darsi piani e programmi aziendali, né a breve né a medio termine, una impresa come la Rai la quale fattura sui 2,6 miliardi di euro l'anno, dà lavoro a 10.000 persone e, malgrado tutto, risulta strategica nell'informazione, nella cultura, nel cinema, nell'intrattenimento, nello sport, ecc.
Del resto, il debole funzionamento della Autorità delle Comunicazioni doveva pur insegnare qualcosa circa l'inaffidabilità di un meccanismo di nomina per via partitica. E ancor più dovevano essere di lezione le tribolazioni parlamentari per la elezione (ma lì non c'è altra via) di due nuovi giudici costituzionali. Tribolazioni durate mesi e mesi, tempi assolutamente insostenibili per un'azienda industriale. Ma chi sta giocando sulla pelle della Rai questa partita melmosa che può persino risultare mortale? Il presidente del Consiglio, cioè il proprietario di Mediaset, cioè il fondatore di Fininvest. Il Tesoro - cui spetterebbe per legge - non si occupa granché del nuovo presidente. Al professor Vittorio Mathieu ha telefonato, per proporgli una frettolosa candidatura, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta. Col risultato di vederselo il giorno dopo â??protestatoâ? come un cantante inadeguato da Lega e An, alleati di governo. Un'altra pessima figura dopo il caso-Monorchio.
Siamo al â??disprezzo aziendaleâ?, ha commentato Roberto Natale segretario del sindacato Usigrai. Il monopolista televisivo privato - che con la Gasparri ha potuto già rastrellare quote di pubblicità extra-large - ha più che mai in mano le sorti del suo competitore pubblico. Siamo ad un conflitto di interessi clamoroso, gigantesco. Una montagna che può fare molto male alla Rai, lasciandola ancora a lungo a galleggiare, semi-affondata, senza un presidente nella pienezza dei poteri, senza un direttore generale condiviso, autorevole, quindi non di parte. Mentre di parte era e resta l'attuale, Flavio Cattaneo. Come sarebbe di parte un rientrante Agostino Saccà, del duo Baldassarre-Saccà.
Questo del direttore generale non è per nulla un discorso laterale. Cattaneo ha infatti concentrato in capo al direttore generale poteri assai più forti. Per cui, se prima del 2002 si poteva stimare sul 60 per cento la quota di potere del direttore generale e sul 40 quella del presidente (e del CdA), oggi lo sbilanciamento a favore del primo è vistoso. Quindi, per risultare davvero â??di garanziaâ?, il nuovo presidente della Rai dovrebbe essere un personaggio del più alto profilo culturale e professionale ed avere un direttore generale davvero al di sopra delle parti, oltre che di solida competenza e affidabilità. Giocare, come si sta facendo, allo sfinimento della emittente radiotelevisiva pubblica è pericolosissimo: per l'azienda Rai e per il Paese. L'associazione Articolo 21 ha lanciato un appello forte al presidente Ciampi perché cessi questo stato di soffocamento del pluralismo radiotelevisivo, di bavaglio alla informazione Rai, a cominciare dall'ostinata esclusione di Enzo Biagi. Ma dovrebbe essere l'Unione a compiere uno sforzo unitario, visibile e convinto, per porre con la necessaria drammaticità, in Italia e in Europa, la questione-Rai quale problema centrale della nostra democrazia.

*l'Unità - 15 giugno 2005

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