Clicca qui per il nuovo sito di Articolo 21 »
Ricerca con Google
Web articolo21.info
 
 
Articolo 21 - INFORMAZIONE
Caso Gasponi: il prezzo da pagare per la libertà di critica
Condividi su Facebook Condividi su OKNOtizie Condividi su Del.icio.us.

di Vittorio Emiliani

Caso Gasponi: il prezzo da pagare per la libertà di critica Storie di ordinaria anomalia italiana: per aver riportato la critica, molto sobria, di un grande direttore, il tedesco Wolfgang Sawallisch, sui troppi “aggiunti” presenti, nel ’96, nell’orchestra di S.Cecilia, uno dei critici musicali più seri ed equilibrati, Alfredo Gasponi del “Messaggero”, rischia di dover pagare ai professori dell’orchestra quasi 500.000 euro di tasca propria. Molti di più se l’esecutività della sentenza d’appello non verrà sospesa e con essa fermata la corsa degli interessi in pendenza del suo ricorso in Cassazione. Un uomo rovinato, con la casa e il conto bancario pignorato. Un diritto primario – quello di informare e di criticare – sostanzialmente negato.
Se ne è discusso ieri mattina all’Associazione Stampa Romana. Coordinava il presidente dell’ASR, Fabio Morabito, presenti i presidenti della FNSI, Roberto Natale, dell’Ordine regionale, Bruno Tucci, Paolo Butturini segretario dell’ASR, Sandro Cappelletto per l’associazione nazionale dei critici musicali (oltre a Gisella Belgeri, Pietro Acquafredda e Luca Del Fra), l’avv. Chiocci. Tutti solidali in sala. Tutti d’accordo sul fatto che l’incredibile vicenda investe non il solo Gasponi, non i soli giornalisti, ma lo stesso diritto/dovere di informare e il diritto “primordiale” dei cittadini di essere informati. Come di continuo ribadisce l’Alta Corte europea di Strasburgo.
Riepiloghiamo la storia davvero allarmante. Il 9 marzo ‘96 negli Spettacoli del “Messaggero” compare un’ampia intervista firmata dal critico Alfredo Gasponi al M° Wolfgang Sawallisch. Il quale sta provando musiche poco frequenti, e quindi poco conosciute, di Schumann e Hindemith, e confessa: “Ci sono problemi” provocati dai troppi giovani “aggiunti”. “Io spero”, sdrammatizza, “che durante i prossimi concorsi per i posti fissi in orchestra, si possano trovare dei nuovi elementi veramente all’altezza” e aggiunge, sempre garbato: credo “sia meglio lanciare un piccolo allarme” (attenzione, un piccolo allarme), ora, per il bene di un’orchestra che “amo molto”. Titolo, vivace: “Sawallisch, allegro non troppo”. Sommario più severo: “L’orchestra di S. Cecilia non è all’altezza del suo ruolo”. Nessuno dei due redatto, peraltro, da Gasponi, collaboratore fisso (articolo 2) e non redattore del giornale. Da notare: nella stessa pagina, egli fa parlare anche il presidente Bruno Cagli, che non nega il problema: “Aspettiamo però il risultato finale”, l’oboista Augusto Loppi (sono “ragazzi in gamba, ma che non hanno ancora una grande esperienza”) e il violinista Riccardo Piccirilli più risentito, il quale racconta che anche il M° Chung era scontento, alle prime prove, del complesso ceciliano, poi, alla fine, si mostrò soddisfatto.
In prima pagina però esce un titolo molto forzato rispetto alle parole di Sawallisch: “A Santa Cecilia non sanno suonare”. Tranciante e scorretto. Alfredo Gasponi tuttavia non c’entra e non ne sa nulla. Il giorno dopo il giornale rettifica prontamente quella titolazione, e  Gasponi, sempre obiettivo, intervista tre direttori come Carlo Maria Giulini, Giuseppe Sinopoli e Myun-Wun-Chung, i quali confermano i limiti delle orchestre italiane, e il direttore stabile ceciliano, Daniele Gatti, che difende la propria orchestra. Il 9 giugno 1996 Sawallisch scrive di suo pugno a Gasponi: lei “non ha travisato il mio pensiero e ha scritto la verità”.
I giudici però non vorranno mai ascoltarlo. Partono querele al giornale, al direttore e a Gasponi motivate essenzialmente sul titolo di prima pagina (di cui il critico era ignaro e incolpevole). Il giudice civile di primo grado, a fine 2002, li condanna tutti e fissa in oltre 36.000 euro il risarcimento dovuto ad ognuno degli 80 professori. Una botta da quasi 3 milioni di euro. Ma è in appello che avviene il peggio. L’azienda intanto si divide da Gasponi e le condanne vengono confermate. La società editoriale ne approfitterà poi per mettere fra i passivi la somma di 2 milioni di euro andando così “in rosso” di un pugno di euro ed ottenendo così quello stato di crisi che le consentirà di “alleggerirsi” di 38 fra redattori e inviati…Nella sentenza, davvero stupefacente, il critico viene accusato di aver “distorto il pensiero dell’illustre maestro” (cosa che lui, Sawallisch, inascoltato, nega), “confezionando un articolo volutamente scandalistico” (ma quale, se Gasponi non ha fatto che interviste?). La sentenza del dicembre 2008 si fonda sullo sciagurato titolo di prima. “O il giornalista ha deliberatamente falsato il contenuto dell’intervista” (ma il Maestro lo nega). Ovvero, non capendone bene le parole, ”non si è fatto scrupolo di “confezionare” un articolo esplosivo”. Due volte colpevole dunque il critico per quei giudici che non hanno voluto ascoltare Sawallisch (la sentenza ne storpia costantemente il cognome in Sawallich), né un tecnico che spiegasse la differenza, nota a tutti nei giornali, fra redattori e collaboratori, fra testi e titolazioni. Fra l’altro, la Corte di Cassazione, nel 2001, ha chiarito che, qualora la persona intervistata si esprima con parole molto forti, l’intervistatore non ne sia responsabile. Tutto il contrario di questa sentenza di appello che nega al giornalista la possibilità di riportare espressioni critiche peraltro molto equilibrate.
Stando ad essa, di qui in avanti, non soltanto il critico (musicale, teatrale, letterario, cinematografico, ecc.), ma qualunque giornalista, non potrà più criticare e nemmeno riportare critiche, ma soltanto applaudire e riportare affermazioni asettiche. Infine, c’è una cosa che onestamente non riesco a spiegarmi: perché tanto accanimento contro Alfredo Gasponi? Se c’è stato un critico sempre in prima fila nelle battaglie per S. Cecilia, per la musica a Roma e per il nuovo Auditorium, è proprio lui. Come gli aveva insegnato quell’autentico maestro della critica musicale e del giornalismo che è stato il grande Teodoro Celli. Non lasciamolo solo, Alfredo. Il suo caso angoscioso riguarda tutti. Proprio tutti. Non ci avevano insegnato che l’informazione è “il cane da guardia della democrazia”?

Letto 8703 volte
Dalla rete di Articolo 21