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Articolo 21 - Editoriali
Golpe elettorale in Iran
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di Ahmad Rafat

Un conservatore pragmatico e un estremista radicale, hanno superato il primo turno delle elezioni presidenziale della Repubblica Islamica, contendendosi in uno scontro diretto, previsto per il prossimo venerdì 24 giugno, il posto che negli ultimi otto anni era stato occupato dal riformista Mohammad Khatami. Gli iraniani sono chiamati a votare per la seconda volta in una settimana e a scegliere tra Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, già presidente per due mandati e uno degli uomini più influenti dell'ultimo quarto di secolo in Iran, e Mahmoud Ahmadinejad, il sindaco integralista e radicale di Teheran. "Non ho vinto perché ho condotto una campagna elettorale efficiente, ma perché dalle urne è uscita la volontà di Dio". Il Dio di qui parla Ahmadinejad, in Iran indossa l'uniforme dei Pasdaran, i pretoriani degli Ayatollah conservatori. E' un Dio, che poche ore dopo la chiusura dei seggi, per bocca del portavoce del potentissimo Consiglio dei Guardiani, l'organo non eletto che sceglie i candidati che possono partecipare alle elezioni, oltre che operare come una Corte Costituzionale, aveva già annunciato i nomi dei due candidati che avrebbero passato il primo turno. Un Dio, che nelle ultime ore delle votazioni, ha mandato migliaia di militari e poliziotti in divisa nei seggi elettorali, non si sa per quale ragione. Si sa solo che Ahmadinejad, che tutti sondaggi collocavano al quarto o il quinto posto, ha fatto un salto enorme, smentendo tutte le previsioni. In Iran non è la prima volta che l'Onnipotente e i santi partecipano alle elezioni. In occasione delle ultime elezioni politiche, un membro del Consiglio dei Guardiani, a chi gli chiedeva quali fossero i criteri secondo i quali avevano impedito la partecipazione a oltre duemila candidati riformisti che erano stati bocciati, con tono ingenuo aveva detto "a cancellare i nomi dei candidati non idonei era stato il dodicesimo Imam degli sciiti, che aveva comunicato attraverso gli angeli le sue decisioni ai componenti del Consiglio dei Guardiani".
Interventi celesti a parte, dalle recenti elezioni iraniane si posso trarre alcune conclusioni, la prima delle quali è l'incapacità del 'riformismo islamico non solo di convincere i cittadini, ma di portare avanti le riforme. Quel Islam di cui parlano il Presidente uscente Mohammad Khatami o il Premio Nobel Shirin Ebadi, uno a favore del processo elettorale e l'altra per il boicottaggio delle elezioni,non convincono la parte riformista e soprattutto laica della società iraniana. Una società piena di contraddizioni, ed estremamente giovane e attiva. Per capire cos'è oggi la società iraniana basta fare attenzione a due dati statistici. Il primo riguarda la composizione demografica. Circa il 70 per cento degli iraniani hanno meno di trent'anni, 50 per cento dei quali sotto i 15 anni. L'altro dato impressionante riguarda il numero dei weblog, o diari personali informatici. Con 38.000 diari weblog realizzati in Iran, il paese si trova al terzo posto nell'universo informatico. Alla maggioranza di questa società, non interessa chi governa il paese, ma come il paese viene governato e quali diritti vengano loro riconosciuti. Ai giovani iraniani interessa liberarsi dai lacci con i quali un gruppo di Ayatollah li ha legati alle tradizioni di 14 secoli fa. La via irachena, quella afgana o georgiana, non hanno negli ambienti giovanili iraniana partigiani o contestatori. I giovani iraniani due strade escludono a priori : il riformismo islamico e la rivoluzione violenta. Per il resto sono aperti a tutte le possibili soluzioni, anche quelle impraticabili, o forse inesistenti. Non è un caso che molti giovani in Iran hanno dichiarato di votare per uno dei cinque candidati provenienti dalle file dei Pasdaran. La loro non era una scelta integralista e radicale, ma seguiva la strada già sperimentata, e fallita, del peggio che apre la strada al meglio.
Ed oggi il peggio è alle porte. Ambedue i candidati alla presidenza, sono sospettati di terrorismo. Una sentenza di un tribunale di Berlino, getta ombra su Rafsanjani, mentre in una inchiesta della polizia di Vienna, appare il nome di Ahmadinejad. Rafsanjani  è una specie di Belzebù della politica iraniana. Costruttore benestante prima della rivoluzione, Rafsanjani negli ultimi 25 anni è divenuto uno degli uomini più ricchi del mondo. Almeno questo scrivono i settimanali prestigiosi come Business Week o Forbes. Durante gli otto anni della presidenza Rafsanjani, diversi dissidenti sono stati uccisi dentro e fuori del paese. Allora Ahmadinejad, l'altro candidato, prestava servizio presso i reparti speciali dei Pasdaran, la famigerata Unità Al Quds, che opera fuori dai confini della Repubblica Islamica, e in questa veste sembra abbia partecipato ad operazioni terroristiche anche in Europa occidentale. Il prossimo venerdì uno di questi due uomini verrà eletto per rappresentare il paese sulla scena internazionale. La domanda che molti iraniani si pongono in queste ore è la seguente: come si comporteranno i rappresentanti dei paesi democratici, soprattutto i governanti europei, quando dovranno dialogare faccia a faccia con un Rafsanjani, che giudici di un paese europeo, quelli di Berlino, indicano come mandante del barbaro assassinio di cinque dissidenti iraniani nel ristorante Mikonos nella capitale tedesca? E cosa succederà quando un Presidente o un capo di governo democraticamente eletto di un paese dell'Europa democratica si troverà a pranzare con Mahmoud Ahmadinejad, iscritto nell'elenco degli indagati della magistratura austriaca per l'assassinio di due leader curdi nella periferia di Vienna?
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