di Prof. Roberto Mastroianni
Con l'intervento odierno sul Corriere della Sera il Ministro Gasparri si sforza di ricordare al prof. Cassese alcuni dati che dimostrerebbero che le disposizioni della legge che porta il suo nome, nella parte in cui concernono le risorse pubblicitarie e la loro distribuzione tra televisione e stampa, rispetterebbero le regole europee.
Il Ministro dovrebbe invece riflettere su alcuni elementi che vanno in direzione contraria, ed in particolare sui seguenti dati:
- la distribuzione delle risorse pubblicitarie tra televisione e stampa vede uno strapotere della prima, non riscontrabile in nessun altro Paese europeo, ma il Ministro minimizza il dato, ben rilevato dal Presidente Ciampi, squalificandolo come "antica preoccupazione";
- la legge che porta il suo nome abolisce tutti i limiti alla raccolta pubblicitaria specifici per il settore televisivo, mentre mantiene in vigore quelli per la stampa, mantenendo ed aggravando un sistema che la Corte costituzionale ha già ritenuto non conforme all'art. 21 della Costituzione; e ciò nonostante il Parlamento europeo da tempo richieda una legge anticoncentrazioni efficace a tutela del pluralismo, che impedisca la formazione di posizioni dominanti nel settore radiotelevisivo; è di pochi giorni fa l'adozione, da parte della Commissione parlamentare sui diritti dei cittadini, di un documento particolarmente impietoso nei confronti della situazione in Italia, ma ciò non appare scalfire le granitiche convinzioni del Ministro;
- la disciplina comunitaria sulle interruzioni pubblicitarie (dei film, delle trasmissioni sportive), risalente al 1989, è stata ignorata per molti anni, con le conseguenze facilmente immaginabili rispetto alla distribuzione delle risorse; un intervento riparatore si è avuto solo con la legge n. 122 del 1998;
- nonostante ciò, a parere della Commissione europea le regole europee sulle interruzioni degli eventi sportivi sono tuttora violate per quel che concerne le partite di calcio, e su questo è in corso un procedimento di infrazione nei confronti dello Stato italiano; la legge che porta il nome del Ministro non interviene per evitare una sanzione pecuniaria nei confronti del nostro Paese;
- in materia di telepromozioni le regole nazionali, come interpretate dal Consiglio di Stato e nel rispetto di quelle europee, impongono di calcolarle nei "tetti" orari di pubblicità insieme ai tradizionali spot, mentre la prassi va in direzione opposta; gli interventi sanzionatori dell'Autorità delle comunicazioni non producono alcun risultato concreto, in quanto la legge 223 del 1990 limita l'ammontare delle sanzioni in maniera da annullare ogni effetto deterrente e repressivo; anche in questo caso, nonostante le sollecitazioni dell'Autorità , la legge Gasparri non modifica in alcun modo la normativa vigente .
A tutto ciò deve aggiungersi che la legge di riforma appare in conflitto con il diritto comunitario anche per altre questioni, tra cui, in estrema sintesi: la disciplina della distribuzione delle frequenze, non compatibile con le direttive comunitarie del 2002 nella parte in cui richiedono una distribuzione equa, trasparente e non discriminatoria delle "autostrade" necessarie per la diffusione dei programmi; gli incentivi all'acquisto di decoder, che integrano probabilmente un aiuto di Stato; le regole sui vertici della concessionaria pubblica, che nella parte in cui prevedono un legame diretto tra Consiglio d'Amministrazione e Governo non garantiscono l'indipendenza richiesta dall'art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Se è ingenuo aspettarsi un ripensamento della maggioranza e del Governo su questi elementi, è ovvio che tutti i nodi verranno a breve al pettine sia dinanzi alla Corte costituzionale, sia dinanzi alle autorità comunitarie.