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Carceri: è ora di aprire un riflessione seria
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di Daniela de Robert

Carceri: è ora di aprire un riflessione seria

In carcere si vive. Lo sanno bene gli oltre 61 mila uomini e donne che abitano le nostre sovraffollate galere. E in carcere si muore. Le due vicende molto diverse tra loro di Stefano Cucchi e di Diana Blefari Melazzi ce lo hanno messo sotto gli occhi. Anche se non ci piace guardare questo aspetto della vita prigioniera. Nella notte in cui si è uccisa Diana Blefari, un altro detenuto si è tolto la vita e il drammatico conteggio dei suicidi dietro le sbarre tenuto da Ristretti è salito a sessantuno. Sessantuno vite spezzate, appese alle sbarre, soffocate dal gas dei fornelletti, finite per sempre. Poi ci sono i morti per malattia, per “cause da accertare”, per overdose. Centoquarantasei detenuti morti in carcere in dieci mesi. Della maggior parte di loro si sa poco o nulla. Non meritano neanche qualche riga sul giornale. E poi è meglio non parlare di questi cittadini che affidati alla giustizia tornano cadaveri. Ricordo le parole di una madre al funerale del figlio trovato morto qualche anno fa nella sua cella di Rebibbia: “ho consegnato mio figlio alla giustizia giovane e sano. Lo ritrovo oggi tossicodipendente, malato di aids e morto”.
La morte tutta da chiarire di Stefano Cucchi e il suicidio annunciato di Diana Blefari Melazzi alzano il coperchio su questo dramma, sull’omertà che vige non solo nella Napoli del video dell’uccisione a volto scoperto ma anche nei luoghi della Giustizia, con la G maiuscola, sulle carenze della tutela della salute di chi è rinchiuso in carcere.
Speriamo che tutto ciò serva a riaprire la discussione sulle carceri che non può essere liquidata con un progetto edilizio e che serva migliorare la condizione di vita di decine di migliaia di persone condannate alla privazione della libertà ma non alla morte, alla malattia, alla disperazione e alla perdita della dignità. Perché il carcere deve “tendere alla rieducazione del condannato” come sancisce la Costituzione italiana e non alla sua distruzione fisica o mentale.


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