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Articolo 21 - Editoriali
Mahmoud il proletario e il populismo religioso
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di Stefano Marcelli

Il nuovo primo ministro iraniano, il sindaco di Teheran Mahmoud Ahmadinejad, è un  proletario di provincia che ha battuto a sorpresa il ricco e raffinato  ex presidente Rafsanjani. Fisico minuto e volto affilato definito da una barba nera e cortissima e animato da uno sguardo penetrante, Ahmadinejad ha 46 anni ed è figlio di un maniscalco del  Semman, una provincia del nord. Laureato in ingegneria e  specializzato nel ramo dei trasporti, ha partecipato alla guerra con l'Irak nei gruppi commandos, prima di entrare tra le fila dei Pasdaran. Dopo la guerra si è dedicato formalmente all 'insegnamento. Nel corso della Rivoluzione Coranica le cronache lo ricordano come leader del movimento integralista degli studenti dai ranghi del quale si è distinto non solo per il sostegno alla neortodossia  rivoluzionaria, sia nell' aggressione a giornalisti e intellettuali dissidenti come Abbas Abdi (imprigionato) o Haghem Aghajari bollato come " apostata" e condannato a morte (poi liberato, ma sotto minaccia di incarcerarlo).
Negli anni successive l'ingegnere pasdaran lavora sottotraccia, compiendo alcune esperienze amministrative in centri minori. Sale alle cronache politiche iraniane nel 2003 quando si candida al posto di sindaco di Teheran e vince un turno elettorale dominato dall'astensionismo. Come sindaco si è distinto subito per la chiusura dei centri culturali aperti dai suoi predecessori riformisti e la proposta di seppellire in ogni piazza cittadina un martire della guerra irakena (proposta respinta a furor di popolo).
" Sono un uomo del popolo". Ã? stato il suo slogan elettorale per queste presidenziali,  che chiamava a raccolta nelle piazze di Teheran un popolo fatto di disoccupati, dipendenti pubblici, donne velate e reduci della guerra e della Rivoluzione . Contro le promesse riformiste di un Rafsanjani, raffigurato come ricco e corrotto, Ahmadinejad ha messo in campo un richiamo forte alla moralizzazione, al rilancio dei valori della Rivoluzione e dell'Islam e una riposta forte e orgogliosamente patriottica ai tentativi di pressione e ingerenza degli USA.
" Io sono il candidato del popolo- diceva Mahmoud - perché nei miei centri elettorali lavora il popolo e non si spendono bilioni ".
Il cartello di opposizione che ha promosso il boicottaggio alle presidenziali ha chiamato a una battaglia " contro il fascismo" per arginare l'avanzata del sindaco-pasdaran.
Appena eletto, il nuovo presidente-operaio ha fatto un appello all'unità nazionale e ha promesso di costruire in Iran un modello di società " moderna, avanzata e islamica" per il mondo. L'Ayatollah Ali Khamenei dichiara che " gli iraniani hanno profondamente umiliato gli Stati Uniti per la trasparenza della loro democrazia manifestata nel corso delle presidenziali".
Le denunce di brogli già lanciate dal candidato riformista Karrubi ( censurate con la chiusura di quattro giornali) e ribadite ieri anche dal Ministero degli Interni per quanto riguarda il ballottaggio, gettano qualche oscura ombra sulla 
 " trasparenza " della democrazia iraniana . L'orario di chiusura dei seggi è stato rinviato di ben cinque volte, mentre venivano segnalate irregolarità attuate soprattutto da parte dei basui, i volontari delle milizie islamiche . Il nuovo presidente ha conquistato la vittoria dal posto di sindaco di Teheran, esercitando un controllo diretto su settemilioni e mezzo di elettori.
Ma sarebbe un errore attribuire tutta la vittoria dell'ultraconservatore alle sole manovre elettorali. Mahmoud incarna un cliché di politico populista di stampo nazionalista-religioso che sarebbe un errore leggere come una sorta di ritorno al passato. Si tratta,invece, purtroppo di un cliché estremamente moderno se anche il premier inglese Tony Blair lo additato come rischio di destra e di sinistra per la politica attuale. Di brogli e di populismo nazionalista e religioso abbiamo sentito parlare anche per le presidenziali Usa. E chissà cosa si sta preparando per il futuro della democrazia italiana con la Chiesa che rivendica il diritto di ispirare le leggi della Repubblica anche di fronte al suo  Presidente che ne difende la piena laicità.
Definire la democrazia solo in base al ricorso alle urne è troppo poco in un'epoca dove tutte le regole e i principi costruiti dalla Comunità Internazionale dopo la Seconda Guerra Mondiale sono sottoposti a un relativismo sempre più protervo.
L'Europa, per bocca di Londra, chiede al nuovo presidente iraniano di dare immediate garanzie sulla politica nucleare e il rapporto con il terrorismo . Sa benissimo, il ministro Straw, che non le avrà. Non avrà nemmeno quelle formali che avrebbe dato un Rafsanjani. Ma ci chiediamo se sia possibile avere un atteggiamento così intransigente verso Teheran continuando a consentire a Tel Aviv di gestire il suo nucleare al di fuori di qualunque accordo e  spacciandolo per  una fabbrica tessile.
Ci vuole una politica europea ( o occidentale) per il Medio Oriente che sia costruita sulla politica e sull'affermazione di principi chiari. La medicina dei calci e dei pugni avviata con l'Irak rischia di produrre mostri incontrollabili e favorire l'indebolimento dell'ala progressista e riformista del mondo orientale.
La vittoria del " candidato del popolo" a Teheran è figlia di una logica della contrapposizione che, come la vecchia Guerra Fredda, rischia di favorire le dittature a scapito dei popoli. Queste elezioni con tanto di censure ai giornali , candidati esclusi e denunce di brogli inascoltate, non hanno certo umiliato i falchi dell'Amministrazione Bush che le utilizzeranno ora per rilanciare una politica di scontro con il regime di Teheran. Di certo hanno " umiliato" proprio il popolo iraniano che, partiti gli inviati dei media occidentali, pagherà ora il conto di queste settimane di " show democratico" allestito dal regime. I giornalisti liberati torneranno in carcere, i giornali torneranno a essere chiusi, gli intellettuali a essere messi a tacere. Le ragazze che avevano cominciato a portare il velo su metà dei capelli lo dovranno ricalare sugli occhi.
Si può fare qualcosa ? Si può non abbandonare il popolo iraniano a se stesso e al suo destino di ostaggio tra l'incudine dei pasdaran e il martello americano. Politici, intellettuali, giornalisti, associazioni per i diritti umani possono dare voce e sostegno a chi viene minacciato e censurato in Iran, denunciare incarcerazioni, aggressioni e censure. Spingere per una nuova cultura politica che proponga prospettive comuni e non pensi di risolvere tutto con la legge del più forte.
La democrazia è la ricetta più difficile di tutte e anche la più lunga negli effetti, ma è la meno amara che abbiamo a disposizione.
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