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Articolo 21 - Editoriali
Iran: la sconfitta riformista e la responsabilità europea
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di Ahmad Rafat

In queste ore, molti amici e colleghi giornalisti mi chiedono cosa succederà domani, in Iran, dopo la vittoria schiacciante del candidato radicale alle elezioni presidenziali. Rispondere a questa domanda, per chi come me in qualche modo è coinvolto in prima persona nelle vicende iraniane, non è facile. Il sottile confine che divide la realtà dai sogni, spesso non permette guardare con obiettività. Un fatto é certo, la metà degli iraniani ha scelto il ritorno al passato, agli albori della rivoluzione, quando l'Ayatollah Khomeini,  il fondatore della Repubblica Islamica era in vita. A questo tentativo di portare indietro le lancette della storia hanno contribuito alcuni fattori. Le promesse non mantenute di quei riformisti che avevano depositato tutte le loro speranze nelle mani di un religioso, certamente moderato ma, sicuramente non contrario alla separazione dello Stato dalla Moschea, hanno contribuito notevolmente all'elezione del sindaco di Teheran, Mahmoud Ahmadinejad. I riformisti rimasti fedeli alla Repubblica Islamica avevano già incassato due sconfitte eclatanti negli anni precedenti. Avevano perso nel 2003 le amministrative, non riuscendo ad eleggere nemmeno un consigliere in alcune città come Teheran, ed erano state esclusi dalle politiche l'anno successivo. I riformisti pro Khatami, quando occuparono un anno fa i giardini del Majlis, il Parlamento, per protesta contro l'esclusione dei loro candidati, non riuscirono a ottenere nemmeno il sostegno dei passanti. La debolezza che ha caratterizzato gli 8 anni del governo di Mohammad Khatami, ha deluso a tal punto, che molti iraniani hanno preferito un candidato che promette lotta alla corruzione, a coloro che a vario titolo promettevano riforme e libertà. La corruzione che ha caratterizzato gli ultimi 16 anni, sotto le presidenze di Ali Akbar Hashemi Rafsanjani e Mohammad Khatami, è l'altra ragione per cui molti iraniani hanno scelto il rozzo ma onesto Mahmoud Ahmadinejad.  "L'altra volta ho votato Khatami sognando la libert'a, questa volta ho scelto Ahmadinejad per arrivare a fine mese", cosi commentava un impiegato sabato mattina i risultati elettorali.
Mahmoud Ahmadinejad non è però il vero vincitore di queste elezioni. Il responso delle urne, ha decretato la vittoria dell'Ayatollah Seyyed Ali Khamenei, il leader spirituale della Rivoluzione Islamica, l'uomo che fu scelto per sostituire l'Ayatollah Khomeini. Doveva essere un fantoccio manovrato dal furbo e pragmatico Rafsanjani, ma in questi anni ironia della storia è diventato il principale antagonista dell'ex presidente. Khamenei che gode del pieno appoggio dei Pasdaran e dei radicali islamici, nonché del clero integralista, con la vittoria di Ahmadinejad, è riuscito a chiudere il cerchio del potere, divenendo il monarca assoluto del paese. Se prima controllava solo i Pasdaran, i pretoriani del regime, negli ultimi 8 anni è riuscito a impadronitisi, uno dopo l'altro degli altri poteri del paese, dalla magistratura al Majlis, passando per la radio e la televisione di Stato. A Khamenei mancava solo il potere esecutivo, conquistato in queste elezioni. Ora non si potrà più parlare di dualismo in Iran. Il dualismo, che aveva i due massimi rappresentanti nelle persone di Khamenei e Rafsanjasni, , con la sconfitta schiacciante di quest'ultimo dovrebbe giungere alla fine, se nei prossimi giorni non interverranno elementi nuovi. E' stato archiviato per il momento anche il dualismo istituzionale che negli ultimi otto anni ha visto i poteri non eletti scontrarsi con le istituzioni elette più o meno democraticamente.
La vittoria dell'Ayatollah Khamenei, perché parlare di Ahmadinejad come vincitore delle elezioni significa non aver capito le contraddizioni iraniane, è una sconfitta anche per l'Occidente, e soprattutto per l'Europa. La politica europea ha contribuito non in modo indifferente alla sconfitta del riformismo e la vittoria del radicalismo nella Repubblica Islamica. Avere  scelto il dialogo con una simile democrazia, o semi dittatura, perchè è questa l'esatta definizione del governo di Mohammad Khatami, non ha fatto che rafforzare i settori radicali, non essendo possibile un dialogo costruttivo tra le democrazie e le dittature. La scelta della questione nucleare come l'arma di pressione sulla Repubblica Islamica, quando l'80 per cento degli iraniani, sostenitori di questo regime e dissidenti, rivendicano il diritto del loro paese a possedere non solo la tecnologia atomica ma anche la bomba nucleare, è stato l'altro grande errore dell'Occidente. Nessun, salvo rare eccezioni, dentro e fuori del paese si è schierato in questa campagna sul nucleare a lato dell'occidente. Il discorso sarebbe stato del tutto diverso, se l'Europa  avesse scelto il rispetto dei Diritti Umani come arma di pressione sul governo di Teheran. Dal Premio Nobel, Shirin Ebadi, alle organizzazioni dei giornalisti iraniani dentro e fuori dell'Iran, tutti avevano avvertito i paesi europei sul rischio di fare del dossier nucleare iraniano una bandiera. Il diritto di possedere tecnologia nucleare, pacifica o non, ha unito gli iraniani favorevoli e contrari al regime. Quando i paesi vicini o addirittura confinanti con l'Iran possiedono armi atomiche, non è facile convincere gli iraniani che loro devono essere privati di questo stesso diritto. Il rischio che domani l'Europa commetta un altro errore nei rapporti con il regime teocratico di Teheran, non è minore. Il nuovo Presidente, Mahmoud Ahmadinejad è sospettato dalle autorità giudiziarie austriache di aver partecipato in prima persona all'attentato che costò la vita ad alcuni leader curdi iraniani. Basta una stretta di mano di un leader europeo con il successore di Khatami, perché l'Europa perda per sempre, quel poco e scarso credibilità che gode ancora nella società civile iraniana e tra i democratici di questa antica civiltà.

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