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“Le navi dei veleni”, un caso ancora aperto per un intrigo radioattivo, diventa un instant book
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di Giulia Fresca

“Le navi dei veleni”, un caso ancora aperto per un intrigo radioattivo, diventa un instant book

«Attorno al mare radioattivo calabrese girano pure alcune leggende, ad ulteriore testimonianza di come da queste parti di fusti e navi inabissate si è sempre parlato» . Scrivono così i giornalisti Massimo Clausi e Roberto Grandinetti presenti in libreria l’instant book “Le navi dei veleni” edito da Rubbettino. Ma ci tengono ad iniziare ricordando che «Questa non è una storia calabrese, non è una storia di ‘ndrangheta». È senza dubbio una storia che si trascina da anni tra ipotesi, ricostruzioni, inchieste e segnalazioni, ed è una storia nei confronti della quale nessun fascicolo può essere considerato “archiviato”. Il libro di Clausi e Grandinetti, presentato in anteprima nazionale alla manifestazione di Amantea, che lo scorso 24 ottobre ha richiamato l’attenzione sullo stato di salute da rifiuti pericolosi della terra calabrese, si focalizza sulle “navi”, quelle che giacciono silenti in fondo al Mediterraneo con il loro carico misterioso, ma forse solo volutamente tale. I due giornalisti analizzano da esperti cronisti la storia che ha caratterizzato, e continua a farlo, la vicenda dei rifiuti inabissati, non seguendo una pista definita, ma ricostruendo i percorsi che hanno seguito le varie indagini giudiziarie.
Un documento fondamentale che mette in luce tutta la vicenda, comprendendo una forte denuncia per ciò che non si è fatto nel nostro Paese partendo dal 1987 quando «fu “di fatto” sancito l’abbandono da parte dell’Italia al nucleare e, nonostante il referendum, non siamo una Nazione denuclearizzata». Non solo centrali, ma rifiuti radioattivi prodotti dagli ospedali e migliaia di metri cubi di scorie provenienti dalle centrali disattivate. Cosa si è fatto per Scanzano? Nulla. E ciò conferma che il problema è “disseminato” dappertutto e si complica ancor di più quando incontra nomi che ad esso hanno intrecciato la loro esistenza: l’ingegnere lombardo Giorgio Comerio, il pentito Francesco Fonti, Angelo Chimiento ma soprattutto tre eroi dei giorni nostri “ricercatori di verità”, Natale De Grazia, Miran Hrovatin ed Ilaria Alpi.
E poi ci sono loro, le navi: la Rigel, la Rosso battezzata poi Jolly Rosso, la Cunsky e tutte quelle di cui ancora non si conosce il nome e che giacciono con il loro carico sui fondali del Mediterraneo. È un caso tutto ancora da risolvere nei confronti del quale la popolazione chiede di sapere, chiede la verità. Eppure c’è ancora chi sostiene che i fusti a perdere e le navi a picco siano riconducibili a vecchi relitti bellici, divenuti tranquille dimore per flora e fauna marina.
Quasi una provocazione! Proprio questa è stata la risposta del ministro all’ambiente, Stefania Prestigiacomo, quando, nei giorni successivi alla manifestazione di Amantea ha “chiuso il caso” dopo aver ricevuto il rapporto dalla nave Mare Oceano inviata dal Ministero per fugare i dubbi sulla nave inabissata. «Non è la Cunsky» è stato detto dopo 43 giorni di silenzi dalla scoperta in mare della nave a seguito delle dichiarazioni del pentito Fonti e la riapertura del fascicolo da parte del Procuratore di Paola, Bruno Giordano. Ed infatti è qui che arrivano Clausi e Grandinetti con il loro istant-book. I giornalisti riportano dettagliatamente, ma in forma fluida, tutta la vicenda senza però entrare con commenti e trarre conclusioni. Un finale aperto che si aggiunge giorno dopo giorno di nuovi elementi come quelli forniti dai dubbi del giudice Francesco Neri, il primo che si occupò a suo tempo delle navi a perdere, il quale ha dichiarato che «Le foto-audio che il Ministero ha diffuso devono essere vagliate dalla magistratura. Non mi esprimerei con certezza sulla nave ritrovata, noi accertammo l’esistenza di 27 relitti, la Riegel però non fu mai trovata. La ricerca deve continuare, con tecnologie capaci di analizzare maggiormente in profondità». Ed è di questi giorni la richiesta del WWF di una «urgente» perizia pubblica comparata dei video «per fugare ogni dubbio e accertare appieno la verità sull'identità e il contenuto della nave affondata a Cetraro». Anche il Wwf “riapre” il caso della cosiddetta “nave dei veleni”, “chiuso” invece per il Ministero e per la Direzione nazionale antimafia, perché le coordinate di indagine sarebbero sbagliate di tre miglia e mezzo rispetto a quelle presso le quali sono stati girati i due video dal Rov della nave Coopernaut Franca della società Nautilus, che ha agito su incarico della Regione Calabria e dell’Arpacal e dal Rov della nave Mare Oceano della società Geolab incaricata dal ministero dell’Ambiente.
“Le navi dei veleni” di Massimo Clausi e Roberto Grandinetti, giornalisti de “il Quotidiano della Calabria” che hanno seguito, passo passo tutta l’intrigata vicenda, arriva in libreria, nel momento giusto, per offrire un valido ed indispensabile contributo affinché si chiarisca, senza equivoci, il capitolo storico e si apra, finalmente quello della verità che ormai si attende da troppi anni.


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