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In Thailandia non si tratta di scontro "politico". Anchè lì un "Berlusconi" asiatico
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di Mauro Mauri

In Thailandia non si tratta di scontro "politico". Anchè lì un "Berlusconi" asiatico

Quello che sta accadendo in Tailandia non è minimamente una contrapposizione dovuta a visioni politiche diverse: rossi e gialli non sono su posizioni paragonabili al classico dualismo destra e sinistra, seppur in contesti sociali differenti.  Le magliette gialle –o meglio i loro vertici- rappresentano il “potere tradizionale” legato alla Corte Reale, sostenuto dagli abitanti della capitale, dalla classe media, dalla maggioranza dell’intellighenzia tailandese e -soprattutto- dall’esercito, per tradizione schierato a sostegno della Corona.

Sul fronte opposto il “nuovo potere” dell’ex premier Taksin Shinawatra, magnate delle telecomunicazioni, soprannominato il Berlusconi dell’Asia anche per la passione per il calcio, che si muove principalmente per assecondare i propri interessi economici, con una linea politica marcatamente populista, indispensabile per ottenere il consenso elettorale delle aree rurali, sopratutto quelle del Nord del Paese, sua terra nativa.

A dividere la nazione è questo scontro tra vecchio e nuovo potere, che Taksin ha innestato sui malumori delle popolazioni delle campagne, irritate per le condizioni di arretratezza in cui vivono, in stridente contrasto con i privilegi di Bangkok, sostanzialmente l’unica città dell’ex Siam a poter esser definita tale.

TAKSIN HA STRUMENTALIZZATO I MALUMORI DELLE CLASSI SOCIALI MENO AGIATE
Superfluo precisarlo, il regista delle proteste è l’ex premier, abilissimo nello strumentalizzare le comunque motivate istanze delle classi sociali meno abbienti, con molti rossi che lo vedono come un benefattore, un idolo, mentre –all’inverso- per i gialli è solo uno scaltro opportunista che, una volta salito al potere si è ulteriormente arricchito sfruttando senza alcun pudore il proprio status.

Le due fazioni ormai si fronteggiano dal 2006, quando un colpo di stato bianco depose Taksin: fu un blitz in sostanza sollecitato dalla stragrande maggioranza della popolazione della capitale, che per evidenziare la propria contrarietà al premier, e la contestuale ammirazione per il Re, aveva iniziato ad indossare le magliette gialle.

Infatti a Bangkok il colpo di stato fu vissuto con modalità davvero paradossali: pic-nic nelle aree verdi antistanti il Parlamento, accomodati all’ombra dei carri armati intervenuti  per presidiarlo ed utilizzati come improbabili porte per incontri di calcio nonché come palchi per surreali esibizioni canore.

In un intricato contesto politico, dopo esser tornato in patria ed aver fatto vincere le elezioni al suo partito che trionfò nelle campagne ma prese pochi voti a Bangkok, fece nascere un governo fantoccio che era saldamente nelle sue mani. Nell’estate 2008 Taksin sentì il tintinnar delle manette, così con la scusa di rispondere ad un invito ufficiale rivoltogli per assistere all’inaugurazione dei Giochi Olimpici usci dalla Tailandia, dopodiché ottenne passaporto nicaraguense per poi auto esiliarsi negli Emirati Arabi, da dove via web segue e coordina le proteste con video apparizioni sui canali televisivi di sua proprietà. 

Nel 2006 i militari lo deposero reputandolo colpevole di utilizzare la propria posizione per avvantaggiare la società di famiglia, accusa che ha avuto conferma nell’epilogo giudiziario dell’undici Marzo, definito dai media tailandesi “Il giorno del Giudizio”, con la Corte Suprema che rigettò l’istanza tramite cui chiedeva di vedersi restituire i beni di famiglia, circa 76 miliardi di bhat, quasi 1.7 miliardi d’euro, sequestrati in conseguenza di una serie di pesanti reati commessi a discapito delle casse erariali, limitandosi a rendere nemmeno la metà.

Quest’ondata di proteste ebbe inizio proprio in quei giorni, in attesa dell’inappellabile verdetto sui beni dell’uomo che ha monopolizzato l’ultimo decennio di politica tailandese e che ora, attraverso le sue truppe, carne da macello, sta tentando il gioco di forza per tornare in sella.

Si pensava che le proteste terminassero il 17 aprile, in occasione del Songkran, il capodanno tailandese, quando le magliette rosse levarono l’assedio per tornarsene a casa, ma non andò così, ed a festività conclusa –le persone morti per incidenti stradali dovuti all’alcol furono in gran lunga maggiori rispetto a quelli caduti negli scontri- tornarono a paralizzare il cuore della capitale occupando notte giorno una vasta area nel cuore di Bangkok, protetta da palizzate di bambù costruite appositamente.   

LA POPOLAZIONE DI BANGKOK APPROVA L’AZIONE DI FORZA DEL GOVERNO
La Bangkok del business, spazientita per gli enormi danni economici causati dalla paralisi, di fatto ha sollecitato esercito e governo ad intervenire per spazzar via la cittadella dei rossi, il loro quartier generale, inaccessibile alle forze dell’ordine

All’inizio delle manifestazioni i rossi intendevano effettuare proteste pacifiche, evocando il nome del Mahatma Ghandi: ma l’intento venne subito abbandonato, quando delle granata vennero lanciate dove c’era l’accampamento dell’esercito colpendo diversi soldati.

Il via all’azione di forza per togliere l’assedio è stato dato dal cecchino che ha colpito mortalmente Khattiya Sawasdipol, ex generale del’esercito, noto come Seh Daeng (Comandante rosso) responsabile di logistica e difesa della cittadella rossa.

In precedenza le aveva provate proprio tutte il Premier Abhisit Vejjajivia per non ricorrere all’attacco frontale, partendo dall’offrire ricompense per i familiari dei primi manifestanti morti durante gli scontri nonché –a livello politico- prospettando di andare a nuove elezioni entro sei mesi, proposta però rigettata dai leader dei rossi.

L’unica persona che potrebbe porre fine alla ostilità è l’anziano Re, trasversalmente amato da tutta la popolazione, ma le sue precarie condizioni di salute –è ricoverato da Settembre- proprio non gli consentono di presentarsi in pubblico.

Una profezia sostiene che la dinastia Chakri avrà solo nove reggenti: e Bhumibol Adulyadej, anche detto Rama IX, è proprio il nono sovrano.  


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