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Amianto, il killer silenzioso colpisce l'Emilia Romagna
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di Simona Silvestri

Amianto, il killer silenzioso colpisce l'Emilia Romagna Eternit, Fibronit, Italsider: quando si parla di amianto sono questi i nomi che saltano subito in mente. Eppure essi rappresentano soltanto la punta di diamante di un fenomeno preoccupante, che coinvolge l'Italia intera. Nella sola Emilia Romagna, ad esempio, il numero dei casi certi di mesotelioma maligno secondo il Registro Mesoteliomi regionale è di 1132 deceduti al 31 dicembre 2009. Un numero elevato, destinato tuttavia a salire, anche perché il bacino territoriale interessato è molto vasto, come precisa Gino Rubini, responsabile salute e sicurezza della Cgil dell’Emilia Romagna.
“C’è Reggio Emilia con tutta la presenza del cemento amianto, con un numero di aziende che occupavano sui sette - ottocento lavoratori in media, e un turn over molto più ampio, con un bacino di esposti di 2-3 mila soggetti”. Tra queste fabbriche c’era l’Icar di Rubiera, uno dei quattro stabilimenti italiani della Eternit sotto processo a Torino. “A Bologna invece c’era la Casaralta, chiusa ormai da anni, dove facevano i locomotori e i vagoni dei treni, che venivano coibentati d’amianto, e l’officina Grandi dove si riparavano e si ristrutturavano le carrozze. C’erano poi estensioni di piccole e medie aziende del settore chimico tipo Derbigum, scomparsa ormai da anni, dove si faceva il tessuto bitumato con l’amianto. Ricordo che allora accompagnai il servizio medicina del lavoro in una visita all’interno dove gli operai tagliavano praticamente i sacchi di amianto: quando lo vedemmo scappammo via e loro ci chiesero: ma perché?.. Qualcosa c’era nel settore della lavorazione del vetro, come la Vetrosilex, perché in quel campo c’erano i forni , e, in tutte le attività, dove c’era fuoco c’era l'amianto”
Non solo Reggio Emilia o Bologna. Il problema amianto riguarda, anche se in maniera diversa, tutta la regione: dalle fonderie di Modena e della stessa Reggio Emilia, a Rimini; da Parma con l’industria del vetro (e la Bormioli Rocco in particolare) a Ferrara, con tutta la parte riguardante gli zuccherifici e la manutenzione degli impianti chimici, fino a Ravenna, in relazione al carico scarico del porto. Nella cittadina sul mare arrivavano, infatti, tutte le navi che rifornivano d’amianto le aziende della regione.
Secondo l’indagine realizzata dal Servizio Sanitario regionale, l’esposizione all’amianto ha riguardato la totalità dei settori produttivi. In primo luogo quello delle costruzioni edili, della costruzione e riparazione di materiale rotabile ferroviario e degli zuccherifici, fino alla fabbricazione di macchine e apparecchi meccanici, per finire con la produzione di manufatti in cemento amianto.
“La trafila dell’amianto, se uno volesse ricostruirla, è ubiquitaria” continua Rubini.
Proprio per questo è molto difficile capire e conteggiare quante siano state le persone contaminate dall’amianto, direttamente o indirettamente: operai, lavoratori ma anche familiari. “Da qui al 2015 al 2020 c’è l’attesa di una catastrofe, non si sa quanti saranno quelli che oggi, probabilmente inconsapevoli, sono ammalati. Bisogna ricordare come l'esposizione all’amianto non riguarda soltanto chi lo maneggiava direttamente, ma anche tutti quelli che entravano a contatto con queste persone, come le mogli e i figli”. Rubini, ad esempio, ricorda il caso di un giovane ingegnere di 34 anni con mesotelioma, del quale non si riusciva a capire come si fosse potuto ammalare. Dopo aver ricostruito la sua storia lavorativa, il professore che lo aveva in cura scoprì che il padre lavorava in un’azienda in cui si maneggiava l’amianto e che tornava a casa con la tuta da lavoro, spargendo così la polvere bianca. Non va dimenticato che, nella stima delle vittime, dovrebbero essere inclusi anche tutti quegli operai “temporanei” che, pur essendo stati esposti all’amianto, non possono essere conteggiati perché hanno cambiato zona di residenza in altre regioni d'Italia o magari sono ritornati ai paesi d’origine, se stranieri.
“Per questo bisogna mettere sotto governo, trovare un assetto di gestione di questa tematica, per tutti gli esposti all'amianto e rispetto anche a quello che succederà nei prossimi anni, in modo tale che vi sia una risposta organizzata sia di tutela per le famiglie, sia dal punto di vista sanitario”. Di amianto, infatti, non si muore soltanto: moltissimi sono i casi di chi ha fibrosi polmonari, l’asbestosi o le placche, malattie molto dolorose e terribili. “Sono persone che hanno bisogni sanitari diversi dalle persone normali” precisa Rubini, il quale specifica che come CGIL “stiamo cercando di far passare un progetto di governo sulla questione amianto. Ci stiamo sforzando, almeno in Emilia Romagna, di mettere insieme i sindacati, i patronati e le istituzioni per trovare una linea condivisa in maniera tale da far fronte a tutta una serie di aspetti propri di questa situazione problematica, perché c’è una parte di popolazione che soffrirà, e soffrirà molto”.
Un passo in avanti, per il momento, potrebbe essere rappresentato dallo sblocco del Fondo Vittime Amianto, approvato dalle Camere ma ancora privo di decreto attuativo, che offrirebbe un primo sostegno alle famiglie degli esposti e alle vittime del killer silenzioso, che ogni anno in Italia uccide circa quattromila persone.
Evidentemente per alcuni non sono ancora abbastanza, poiché la strada verso un rapido sbloccamento del Fondo è ancora molto lunga.
Ma non c’è fretta: l’amianto sa aspettare. A lungo.

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