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Ferragosto in carcere
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di Daniela de Robert

Ferragosto in carcere

Ferragosto in carcere. Per il secondo anno i radicali invitano i deputati a visitare gli istituti penitenziari italiani, al di là degli schieramenti e dei diversi approcci al problema. L’anno scorso avevano aderito in centosessantacinque, visitando in tre giorni quasi tutte le oltre duecento strutture. Hanno varcato il portone blindato, hanno superato i cancelli che separano la società libera da quella prigioniera, hanno visto le celle dove si vive in spazi insufficienti e spesso indecenti e dove si muore appesi alle sbarre delle finestre, le docce comuni spesso senza acqua calda, i cortili di cemento armato dove si trascorrono le cosiddette ore d’aria, hanno sentito i rumori e gli odori, hanno percorso i lunghi corridoi. Qualcuno sarà anche entrato nelle sezione nido dove vivono reclusi con le loro madri decine di bambini dagli zero ai tre anni, detenuti anche loro. Bambini che non hanno mai visto una casa, un albero, un negozio, un cane, un parco, una cucina. E poi hanno ascoltato le parole, i silenzi, le richieste, gli appelli delle donne e degli uomini detenuti. Li hanno guardati negli occhi.
Certamente i centosessantacinque deputati che hanno trascorso qualche ora del loro ferragosto dietro le sbarre difficilmente potranno parlare di carceri a cinque stelle. Le stelle in carcere non si vedono, neanche quelle del cielo notturno almeno per chi – come tanti – ha ancora le finestre a bocca di lupo per limitare anche la libertà dello sguardo. Forse qualcosa sarà cambiato nella loro percezione della realtà del mondo prigioniero e forse questo inciderà anche nelle scelte politiche.
Forse. Finora quel che è certo è che i cambiamenti nel mondo penitenziario sono stati solo in peggio. Ci stiamo avvicinando alla soglia dei settantamila detenuti, ma gli spazi restano gli stessi, quelli costruiti e pensati per quarantaduemila persone. Il piano carcere sembra ormai un battuta di cattivo gusto. La galera è diventata la risposta – spesso l’unica – ai problemi sociali: tossicodipendenza, immigrazione, povertà, disagio psichico. Le misure alternative vengono date con il contagocce. Il personale è insufficiente, non solo la polizia penitenziaria, ma anche gli educatori che dovrebbero costruire insieme al detenuto percorsi di reinserimento, gli psicologi, gli assistenti sociali. Mancano gli spazi per le attività comuni, trasformate in cameroni dove si convive in nove o quindici persone.
Il 2010 è stato già segnato da un’altra visita di parlamentari negli istituti di pena, quella dei senatori della Commissione di inchiesta sulla sanità presieduta da Ignazio Marino. A sorpresa sono andati nei sei Ospedali psichiatrici giudiziari della penisola. “Un viaggio tra gli ultimi degli ultimi”  ha detto Marino. Un viaggio nell’inferno in cui vivono millecinquecento persone in strutture che niente hanno da invidiare ai vecchi manicomi, chiusi ormai da decenni grazie alla legge Basaglia: letti di contenzione, umidità, vetri rotti, persone nude in mezzo alla sporcizia. Tutte tranne una, quella di Castiglione delle Stiviere. E poi c’è l’ergastolo bianco, quel meccanismo micidiale delle misure di sicurezza che, di proroga in proroga, trasforma condanne brevi in pene a vita, come è successo a  un uomo di Secondigliano entrato nell’OPG per essersi vestito da donna davanti a una scuola elementare venticinque anni fa che ancora adesso è lì rinchiuso. Un destino che lo accomuna al quaranta per cento delle persone internate.
Non sappiamo quanti parlamentari aderiranno all’iniziativa. Sappiamo quanti sono i detenuti e sappiamo anche che continueranno ad aumentare. Qualcuno di loro a Ferragosto potrà parlare con i senatori e gli onorevoli, qualcuno no. È morto prima: centocinque persone nel 2010: per malattia, per “cause da accertare”, per suicidio. Anche loro andrebbero ascoltati, la loro morte dice più di tante parole.


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