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Conversazione con Claudio Serughetti, autore di "E' tuo il mio ultimo respiro?"
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di Michele Cervo

Conversazione con Claudio Serughetti, autore di "E' tuo il mio ultimo respiro?"

Claudio Serughetti Lei domani presenterà al festival del cinema di Roma il documentario dal titolo “E’ tuo il mio ultimo respiro?” sulla pena di morte, in cui si spiegano  i fatti che hanno portato alla costituzione di un movimento globale per chiederne la moratoria. Oggi tra l’altro tutti i telegiornali si sono occupati della vicenda  Sakineh, pare che a breve sarà eseguita la sua esecuzione. Della questione pena di morte nel mondo cosa la colpisce in particolare?
“Sin dal titolo “E’ tuo il mio ultimo respiro”? mi pongo sempre questo atavico problema di come qualcuno possa essere responsabile dell’ultimo respiro di un altro essere umano. E’ una cosa sconvolgente come pensare alla questione Sakineh. Speravo fosse una cosa finita o comunque posticipata il più possibile evidentemente la macchina è partita e pare sia inarrestabile.  C’è una grandissima ipocrisia del mondo occidentale, perché proprio mentre esplodeva l’affare Sakineh in America veniva eseguita la condanna di Teresa Lewis, una donna tra l’altro con problemi mentali. Quindi trovo questa cosa doppiamente sconvolgente”. 

Come  spiega il fatto che negli Stati Uniti ci sono momenti di repulsione quando  giungono   immagini di esecuzioni effettuate da presunti tribunali islamici, mentre poi la maggioranza resta favorevole alla pena di morte al proprio interno.
“Per fortuna in parte non è più così, per fortuna molti Stati stanno diventando abolizionisti di fatto, siamo arrivati ormai a 43 paesi che mantengono tale istituto, siamo ad un picco altissimo. Credo che sia più comodo guardare fuori dal proprio giardino, quando poi invece, in America in particolare, ci sono Stati che la praticano alla grande e soprattutto con metodi che sono un’autentica tortura. Quando poi rileviamo che ci sono dei condannati che, attraverso le prove del Dna, vengono giudicati innocenti, la cosa è straziante”.

Secondo Lei gli organi d’informazione come trattano l’argomento?
“Potrebbero fare ancora di più perché questa è una battaglia civile, umana. Qui non ci sono bandiere politiche da portare avanti, questa è una questione prettamente di civiltà e lo trovo doveroso da parte di tutti, in particolare da chi può dare eco a questo fatto soprattutto gli organi di stampa”.

L’Italia come si sta muovendo dentro questo movimento globale che chiede una moratoria?
“L’Italia è alla base di questa moratoria. E’ una delle poche cose per cui possiamo essere fieri del nostro paese. Questa battaglia la conduce da anni “Nessuno tocchi caino”, Marco Pannella, al quale va tutta la mia solidarietà. E’ una battaglia che tutti i partiti politici di destra o di sinistra per fortuna hanno sempre condotto. Su questo all’Italia si può rimproverare poco. Si può fare sempre di più con l’Onu, attivare tutti i canali di diplomazia possibili e immaginabili e arrivare a immaginare la pena di morte una cosa vetusta come la schiavitù”.
 


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