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Il ritorno delle istituzioni
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di Federico Orlando

Il ritorno delle istituzioni

La rivolta degli studenti, che hanno voluto riconoscersi nelle istituzioni soltanto al Quirinale. Il discorso del presidente della repubblica alle alte cariche dello stato sui poteri suoi (scioglimento delle camere in testa) e quelli di governo, parlamento e magistratura. Le minacce di Berlusconi contro i giudici della Corte costituzionale  se non gli daranno il salvacondotto. Il tentativo leghista di trasformare il senato in una cantina appulo-padana e il successivo ripristino della dignità, se non delle regole, da parte del presidente Schifani. Il messaggio del capo dello stato (e capo delle forze armate) ai soldati impegnati nel mondo e invitati a non deprimersi per le miserie della politica. La rabbiosa reazione del governo contro l'informazione, cui vengono sottratti mezzi per ripristinare quelli già sottratti al volontariato. L'offensiva del partito razzista e secessionista, che pubblica sulla Padania un invito all'eurodeputato del Pd, J.Leonard Touadì, a tornarsene in Congo; e chiede alla conferenza dei capigruppo dell'11 gennaio di mettere “sul tavolo le dimissioni di Fini”, “pur nella consapevolezza di non poterle pretendere”. Le pressioni del capo del partito razzista-secessionista  perché Berlusconi superi i suoi timori di perdere le elezioni e promuova il ritorno alle urne. Queste ed altre vicende, che riportano al centro della vita e dei problemi italiani le alte istituzioni,  promettono un inverno caldo.

Fra le “altre vicende” potrebbe esserci l'iniziativa di alcuni cittadini – di cui si parla, nell'oceano delle parole in libertà – di presentare alla procura della repubblica un esposto contro i leader leghisti, a cominciare dai tre ministri “padani” nel governo Berlusconi, che esercitano fondamentali funzioni di stato sotto giuramento di fedeltà alla repubblica e alla sua costituzione. Che definisce la repubblica “una e indivisibile”. Questi ministri - secondo i boatos sui presunti esposti alla magistratura – hanno giurato in assoluta malafede, perché non hanno mai rinnegato il loro impegno, definito nell'articolo1 del loro statuto: la secessione delle regioni del nord, per costituire la repubblica indipendente federativa della Padania. “Federativa”, immagino, come la Jugoslavia di Tito, che federava serbi, croati, sloveni, cui corrisponderebbero, nel progetto leghista, piemontesi, lombardi, veneti e altre “nazionalità” minori.
Abbiamo scritto “presunti ricorrenti”, e non potremmo dire in altro modo. Ma ricordiamo che un anno fa, su Europa e alcuni grandi quotidiani (Repubblica, Corriere, Stampa, Messaggero) fu pubblicato a pagamento un appello alle autorità della repubblica (soprattutto ai presidenti delle due camere) perché sollevassero in aula un dibattito sull'equivoco leghista. Si tratta di presunto reato di fellonia, alto tradimento? O di macchiettismo lombardo-veneto, solo un po' più pericoloso delle innocue macchiette napoletane di un tempo? Se davvero c'è o ci sarà questo esposto alla magistratura, “sul tavolo” potrebbero trovarsi non le dimissioni di Fini (da sostituire con Maroni?) ma quelle di esponenti della secessione.

Accenniamo a tale scenario non perché lo pensiamo verosimile, ma perché ci sembra  abbia titolo a entrare nella sceneggiatura dell'Italia malridotta dalla destra. Fini non è amovibile dal suo incarico istituzionale (lo sa anche Reguzzoni) e lo ha spiegato ancora ieri l'ex presidente della Corte e del Csm Capotosti: “perché il rapporto che unisce il presidente dell' assemblea all'assemblea stessa non è di 'fiducia politica' ”, cioè di consonanza tra presidente e maggioranza di governo. Tant'è che nella repubblica democristiana e di centrosinistra i presidenti di Montecitorio erano spesso leader di primissimo piano del Partito comunista: Ingrao, Iotti, Napolitano; e tra i presidenti del senato non mancarono leader della destra moderata, da Merzagora a Malagodi, tutt'altro che ben disposti verso le politiche di centrosinistra. Insomma, i secessionisti-razzisti che agitano il “caso Fini” non possono appigliarsi né alla costituzione né ai regolamenti parlamentari per sfiduciare un'alta carica della repubblica,  non soggetta a valutazioni politiche nel corso del suo mandato. Solo un'autonoma valutazione di opportunità potrebbe indurre ad autodimissioni, come fecero Leone e Cossiga al Quirinale e lo stesso Merzagora al Senato.

Le vicende degli ultimi mesi, o quelle prossime, o quelle soltanto ipotizzate nei boatos, hanno comunque riproposto il punto centrale della crisi: l'incompatibilità tra la costituzione repubblicana, legale, scritta, e la pseudocostituzione di comodo inventa da Berlusconi e dai suoi sodali per conquistare un  potere assoluto, che la costituzione legale e unica non consente. Alla necessità di  una riforma delle costituzione legale e unica per adeguarne qualche istituto non a quella falsa ma alla sensibilità degli italiani d'oggi, s'è richiamato la seconda carica dello stato, il presidente Schifani. Siamo tutti d'accordo. Infatti  ci chiediamo perché la maggioranza dica di volere la riforma  costituzionale e non la proponga. Forse perché ricorda che una riforma in chiave  ultraberlusconiana è stata già tentata nel 2005 e  bocciata nel referendum popolare di quattro anni fa? Forse perché pensa che a rimuovere i principi della Carta potrebbero entrare in ballo i Trattati lateranensi e il concordato, proprio ora che tanto bisogno ha la destra del soccorrevole bastone di Bertone e Bagnasco? O forse perché sarebbe imbarazzante per il capo del Pdl confermare la definizione di “repubblica una e indivisibile”; e altrettanto imbarazzante per il capo della Lega  provare a rimuoverla? Tutte cosucce da chiarire. Speriamo nella Befana. 

SARÀ ASSEGNATO ALLA DELEGAZIONE DEI 12 STUDENTI E RICERCATORI CHE SI SONO RECATI AL QUIRINALE IL PROSSIMO PREMIO ARTICOLO21 PER LA LIBERTÀ DI INFORMAZIONE  / Protesta universitaria: lezione di stile degli studenti a Gasparri, lezione di democrazia di Napolitano alla Gelmini - di Giorgio Paterna* / Il pensiero liberamente manifestato cerca ascolto - di Vincenzo Vita / Una lettera ai giovani - di Nicola Tranfaglia / Bravi  ragazzi - di Gianfranco Mascia


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