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Gli anticamorristi che non fanno i nomi vanno per la maggiore
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di Pietro Nardiello

Gli anticamorristi che non fanno i nomi vanno per la maggiore

Incontriamo Bruno De Stefano giornalista ha lavorato per "Paese Sera", "Il Giornale di Napoli", "Corriere del Mezzogiorno" occupandosi di cronaca giudiziaria e autore, per Newton Compton Editori, di "101 storie di camorra che non ti hanno mai raccontato", un viaggio nella criminalità organizzata in Campania attraverso una carrellata di episodi che messi in fila rendono l'idea di quanto sia devastante la presenza sul territorio di centinaia di clan.

Un libro dove si narrano tante storie di camorra. Ma questa diffusione e, si spera, enorme conoscenza del fenomeno quali effetti sta producendo?
Contrariamente a quanto sostengono altri, forse solo per ragioni di marketing, io sono convinto che la conoscenza del fenomeno non produca grandi risultati. Mi spiego meglio: penso che uno, dieci o cento libri non siano in grado di dar vita a chissà quale svolta. Un grande intellettuale come Leonardo Sciascia ha scritto storie tragiche e meravigliose sulla mafia, eppure in Sicilia Cosa Nostra è ancora fortissima. Questo per dire che la conoscenza quasi mai si traduce in azioni concrete. Faccio un altro esempio: da anni di libri su Silvio Berlusconi in circolazione ce ne sono a decine, eppure il premier ad ogni elezione prende milioni e milioni di voti. Io mi auguro che la conoscenza del fenomeno faccia lievitare perlomeno il moto di indignazione di qualcuno che finora non ha compreso la gravità della situazione, ma non mi faccio illusioni. La camorra è dentro la nostra società in maniera trasversale, coinvolge fasce sociali molto ampie e non saranno certo le pagine dei libri a smantellarla. Chi sostiene il contrario è, a mio avviso, interessato solo a vendere la propria immagine.

In questi ultimi anni l'attenzione dei media è rivolta, particolarmente, alla probabile trattativa avvenuta tra lo Stato e la mafia all'indomani della stagione delle bombe che colpirono anche altre zone del Paese. In Campania, però, la trattativa Stato camorra è avvenuta molto tempo prima ma di questo se ne parla semplicemente come se fosse un avvenimento di storia molto lontano nel tempo. Come mai?
Più che di trattativa, io parlerei di convivenza. A Napoli e in Campania, la camorra non ha mai ammazzato magistrati e poliziotti perché non ne ha mai avuto bisogno; non c'è mai stato uno scontro frontale com'è accaduto in Sicilia e la reazione della cosiddetta società civile è stata sempre altalenante, per non dire completamente assente. La camorra è talmente dentro la società napoletana che non rappresenta un nemico da combattere ma un potenziale alleato. I camorristi si ammazzano tra di loro, ma all'esterno hanno sempre saputo intavolare rapporti con politici e imprenditori. Ecco perché la camorra non è un Antistato ma, piuttosto, un altro Stato.

Napoli e la Campania non hanno mai vissuto moti di indignazione contro il crimine organizzato come quella di Palermo. Rassegnazione, assuefazione o che cosa?
Mi riallaccio alla risposta precedente. A Napoli e in Campania non ci si indigna perché la camorra tutto sommato svolge un ruolo importante. E' vero che uccide, estorce denaro, pratica la violenza fisica e psicologica. Ma sarebbe sciocco non ammettere che è anche un ammortizzatore sociale, che consente a migliaia di persone di sopravvivere, che offre una serie di servizi che lo Stato non riesce ad offrire. Tornando alla domanda: probabilmente non è né rassegnazione né assuefazione, è convenienza.

Potrebbe, invece, il movimento antimafia, che anche in Campania sembra molto attivo, sostituirsi all'azione dei Partiti politici?
Non credo perché penso che ciascuno debba svolgere un ruolo preciso, senza invasioni di campo. Per quanto malandati e zeppi di personaggi decisamente discutibili, i partiti restano insostituibili. E poi penso che il movimento antimafia farà bene il suo lavoro fino a quando farà solo e semplicemente il movimento antimafia.

Nel tuo libro racconti tante storie, ben101, dedicate, spesso a vittime innocenti causate dalla camorra. Si potrebbe correre, però, il rischio così come sostiene il prof. Giovanni De Luna di incappare in un mercato delle vittime?
Il professor De Luna ha ragione, anch'io sono convinto che esista un mercato delle vittime. Tuttavia, penso che parlare delle vittime innocenti sia necessario per far capire alla gente che a Napoli e in Campania si può morire di camorra anche se stai facendo la spesa o portando tuo figlio a scuola. Secondo me manca ancora la consapevolezza del rischio che tutti noi corriamo ogni giorno.

Ci sono alcune storie sulle quali sollevi dubbi o aggiungi, a quanto già detto anche dai tribunali degli atti. Il caso di Giancarlo Siani il cui delitto lo consideri ancora un mistero e poi su don Peppe Diana per il quale citi, attraverso documenti inediti, le sue frequentazioni con alcune donne.
Il caso del giornalista Giancarlo Siani resta un mistero perché movente e dinamica del delitto non hanno mai convinto pienamente. E di recente un ex camorrista, Giacomo Cavalcanti, ha riferito di aver saputo in carcere che Siani era stato assassinato per ragioni diverse da quelle ufficiali. Anche gli stessi familiari del giornalista sono convinti che la verità non sia venuta a galla del tutto. Ho il timore che dopo una serie di indagini finite nel nulla, si sia imboccata una scorciatoia: alla fine sono stati condannati diversi camorristi, quindi nessuno può lamentarsi. Io, invece, sono convinto che la vicenda sia ancora tutta da scoprire. Secondo me Siani è stato ammazzato per quel che avrebbe potuto scrivere e non per ciò che aveva già scritto. Del resto, è sufficiente leggere i suoi articoli per rendersi conto che non scriveva verità sconvolgenti ma semplici corrispondenze, seppur da un comune ad alta densità camorristica come Torre Annunziata. Nel libro riporto la testimonianza dell'ex consigliere regionale del Pci, Alfonso De Maio, secondo il quale Siani stava lavorando ad un'inchiesta sulla ricostruzione post-terremoto da proporre ad un settimanale nazionale. Quanto a don Peppe Diana, riporto le dichiarazioni di due signore che alla polizia hanno raccontato di aver avuto delle storie con il parroco di Casal di Principe. Le voci sulle relazioni sentimentali di don Diana, dunque, non erano il frutto di una campagna diffamatoria della camorra, ma rispondevano al vero. Piaccia o no, è così.

Poni anche l'accento su vittime di camorra considerate più o meno importanti dall'opinione pubblica, perché?
Perché l'atteggiamento dell'opinione pubblica è ondivago ed è fortemente condizionato dai media. Di fronte ad episodi ugualmente gravi, la reazione è completamente diversa. Tutti sanno chi è Silvia Ruotolo, la donna assassinata per errore all'Arenella nel 1997; ma nessuno conosce la storia di Giuseppina Guerriero, ammazzata l'anno dopo a Marigliano in circostanze analoghe. Fino a quando l'agenda dell'indignazione sarà a corrente alternata, avremo vittime di serie A e di serie B: un'ennesima dimostrazione di come la coscienza civile non è né attenta né matura per lasciare sperare nel cambiamento.

Altra attenzione la dedichi a quei giornalisti sotto il mirino dei clan. Sembra essere questo un periodo dove il lavoro del giornalista ha un valore, esclusivamente, se lo stesso riceve delle minacce?
Purtroppo è così. E' un altro dei devastanti effetti collaterali della spettacolarizzazione dell'antimafia. Alle presentazioni dei libri o anche nelle conversazioni private, una delle prime domande, se non la prima, è: "Ti hanno mai minacciato?". E se dici di no, sul volto dell'interlocutore puoi leggere una smorfia di delusione. Conosco moltissimi colleghi che hanno scritto delle cose molto importanti, ma che non sono mai stati minacciati, se non in maniera velata. E quindi non sono diventati dei "personaggi". Personalmente, poi, penso che la camorra, come le altre mafie, minacciano una sola volta, poi passano all'azione. Per cui mi riesce difficile pensare che ci siano giornalisti o scrittori perseguitati dalle minacce per mesi o per anni. A questo proposito mi piace ricordare quanto ha scritto Aldo Cazzullo, giornalista del Corriere della Sera: "Il sistema richiede non cronisti, non reporter, non scrittori, ma personaggi. E il confine tra il personaggio e l'impostore è labile, e in un Paese emotivo, credulone e superficiale come il nostro il confine è stato più volte superato".  Ecco, in quel che ha scritto Cazzullo c'è una riposta alla tua domanda.

Anticamorra ma senza fare nomi. Anche quest'aspetto appare come una peculiarità degli ultimi tempi?
Certo. Infatti gli anticamorristi che vanno per la maggiore sono proprio quelli che non fanno mai i nomi. E sono spesso in tv o sui giornali proprio perché non fanno nomi.

Concludi il libro raccontando la richiesta degli operatori dei consorzi di bacino che, con una lettera, chiedono alla camorra di essere pagati. Una provocazione o una cartina di tornasole che indica il pantano nel quale è immobilizzata questa Regione?
In quella richiesta c'è sicuramente una provocazione. Ma forse c'è molto di più. Ovvero che, alla fin fine, la camorra è considerata uno Stato a tutti gli effetti, uno Stato da invocare nei momenti di difficoltà. Ed è la conferma del pantano nel quale galleggiano Napoli e la Campania.

 

 

 


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