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Come si scrive da Tripoli
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di Redazione

Come si scrive da Tripoli

da Il mondo di Annibale

Abbiamo sollevato ieri un problema: come si lavora a Tripoli? Pubblichiamo da Tripoli questo allarmante e allarmato articolo di un collega che conosciamo e stimiamo da moltissimi anni, Maurizio Matteuzzi, dell’Agenzia TMNEWS. Si tratta di una testimonianza di estrema importanza.

Libia/A Tripoli costretti a lavorare da giornalisti “embedded” La difficoltà di raccogliere informazioni attendibili Di Maurizio Matteuzzi Tripoli, 26 feb. (TMNews) – E’ finita? O siamo solo all’inizio e il peggio deve ancora venire, ‘l’inferno’, come lo ha definito il colonnello Gheddafi nella sua inattesa e inquietante apparizione sulla Piazza verde di Tripoli, ieri pomeriggio? Da fuori tutto sembra chiaro e definito.

Almeno stando alle notizie diffuse e rilanciate, spesso senza curarsi di verificarne la veridicità, dalle tv arabe – specialmente le mitizzate o deprecate Al Jazeera e Al Arabiya, che peraltro qui a Tripoli non hanno uffici di corrispondenza -, dal tam-tam dei social network – ormai uno dei fattori decisivi di qualsiasi ‘rivoluzione’ in ogni parte del mondo -, da testimonianze dirette e indirette – non sempre attendibili per via di una partecipazione emotiva troppo immediata -, dai racconti dei pochi giornalisti – finora – presenti sul posto. Da dentro la prospettiva cambia e tuttavia, per un paradosso solo apparente, è proprio Tripoli, nel cuore della crisi da cui è sconvolta (anche) la Libia, il posto peggiore per cercare di capire l’evolversi del dramma nel suo insieme.

Nella prima settimana di guerra, quella della sollevazione della Cirenaica – la regione orientale del paese da sempre indocile al gheddafismo e sensibile al richiamo islamista -, le autorità libiche hanno blindato i confini alla stampa internazionale. Forse nell’ingenua convinzione di poter fermare il contagio che veniva da ovest e da est, dalla Tunisia e dall’Egitto. In questo modo hanno lasciato che fossero le tv arabe con le loro corrispondenze, il social network di Facebook e Twitter, le testimonianze personali a leggere gli avvenimenti. Poi all’inizio di questa settimana il cambio secco di linea: visti e inviti per media e giornalisti stranieri, perché potessero venire (almeno a Tripoli) e vedere con i loro occhi che la situazione è ‘tranquilla’, che le cose sono ‘sotto controllo’, che la tenuta del regime è ‘solida’, che fatto salvo ‘qualche problema’ la situazione è ‘normale’ (anche se basta scendere dall’aereo e affacciarsi nell’aeroporto con le sue scene dantesche delle migliaia di persone che premono giorno e notte per partire, per rendersi conto che proprio normale non è), smentendo e sbugiardando la brutale campagna di menzogne e disinformazione in atto.

In effetti appena messo piedi in città ci si rende subito conto che alcune delle affermazioni ‘sparate’ sulle prime pagine dei giornali dei vari paesi del mondo (in genere quelli schematicamente definibili occidentali) erano inesatte, o esagerate, o false, o delle autentiche bufale, e tutte nello stesso senso. L’annuncio della morte di Gheddafi; il bombardamento aereo del quartiere tripolino di Fashilum; l’esistenza di fosse comuni a Tagiura, alle porte della capitale; la conquista dell’aeroporto militare di Mitiga, in piena Tripoli, da parte dei rivoltosi; i massacri e le cacce all’uomo con “centinaia” di morti di cui non c’è traccia…

Ma se si può smentire qualcosa con certezza – e questa è già una buona ragione per venire in un luogo al momento così inospitale e anche pericoloso -, allo stesso tempo con altrettanta certezza non si può affermare qualcosa. Perché lavorare per conto proprio a Tripoli in questa situazione è praticamente impossibile a meno di non essere dei kamikaze. Di sera la città si svuota e con l’oscurità meglio stare al chiuso in albergo (e attenti a quale albergo, questo più sicuro di quello…) per non fare brutti incontri (tipo i pick-up carichi dei ‘mercenari’ nero-africani born to kill di cui molto si è parlato). Ma anche di giorno andare in giro da soli, magari forniti di telecamera o telefono satellitare, è “sconsigliabile”, specie verso la Piazza verde, che i seguaci del Colonnello presidiano e i suoi nemici (i ‘pro-democrazia’?, i ‘pro-al Qaida’?) vorrebbero conquistare per dare il colpo di grazia.

Qui nella Tripoli (ancora) gheddafiana i giornalisti sono tutti inevitabilmente embedded. Vai e ti portano solo dove vogliono loro, vedi e ti fanno vedere solo quello che vogliono loro. Devi saperlo e devi stare al gioco. Con un ulteriore limite e un ultimo rischio. Che, se e quando le cose dovessero precipitare verso “l’inferno”, i giornalisti stranieri possano diventare il bersaglio della rabbia dei vinti o dei vincitori. Ma questo, in fin dei conti, è la ragione di un mestiere.


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