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Libia, una ricostruzione
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di Riccardo Cristiano

Libia, una ricostruzione

Più di quarant’ anni di potere, ininterrotti, sono tanti per tutti. Così non poteva che essere questa la prima domanda da rivolgere alla professoressa Anna Bozzo, una delle più apprezzate studiose di Maghreb. Aiutarci a capire che tipo di regime è, o è stato, quello di Gheddafi. Cercando di sintetizzare, e forse brutalizzare, la sua risposta possiamo dire che il tratto caratterizzante a suo avviso è stato quello della gestione privatistica della rendita petrolifera, insieme al carattere autoritario del suo regime.

Gheddafi, ricorda la professoressa Bozzo, ha preso in mano un paese estremamente debole, fragile, guidato da una monarchia che si era legittimata guidando la prestigiosa confraternita libica che aveva combattuto tutte le colonizzazioni straniere, da quella turca a quella italiana, e ricevendo così, dopo la II guerra mondiale e la resistenza contro gli inglesi, il governo del Paese dopo la breve parentesi di amministrazione Onu.

La scoperta dei pozzi petroliferi  rovinò la giovane monarchia di re Idriss I, incapace di evitare che il paese finisse sotto il controllo delle compagnie petrolifere, dei potentati economici stranieri.  E’ cominciata così, sul finire degli Sessanta, l’avventura gheddafiana, che ha subito restituito peso alle tribù, ai loro “fiduciari”. Un quarantennio durante il quale la Libia non ha conosciuto né partiti politici né diritti individuali.

Ora, osserva Anna Bozzo,la Libia è entrata con qualche peculiarità nel grande processo di cambiamento in corso in tutto il mondo arabo.  Si tratta infatti di un paese con una popolazione limitata, nulla a che vedere con l’Egitto, e con un reddito pro capite medio elevato, di 22mila dollari Usa annui, sebbene la diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza sia enorme, tanto che molti libici vivono  con meno di 2 dollari al giorno.

Ma neanche quella libica è stata una rivolta determinata dalla “fame”. Facilitata anch’essa dai social network, anche la rivolta libica è stata principalmente una “rivolta popolare”. Se si fosse trattato di una rivolta tribale, come qualcuno ha sostenuto, non avremmo visto questa marcia su Tripoli: gli insorti si sarebbero fermati, avremmo assistito a un tentativo di secessione.

La rivolta popolare, sostiene Anna Bozzo, ha viaggiato attraverso i confini grazie ai social network, che hanno reso il mondo, e gli esuli libici, protagonisti degli accadimenti.

Chi parla di rivolta popolare non può parlare di Islam, visto che l’Islam è parte costitutiva dell’identità libica.  La storia parla e ha parlato sempre di  un Islam caratterizzato dalla grande “confraternita sufi”, l’opposto dei famosi “fondamentalisti”, sebbene dei gruppi qaedisti ci siano stati: negli anni novanta sfidarono Gheddafi, poi lui, dopo averli sconfitti,   cominciò a usarli. Ma nessuno si sorprenderà di questo, è l’amara osservazione finale, ormai lo sappiamo che proprio i regimi sono la principale fabbrica dei terroristi.

 

 


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