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Le popolane che fecero l'Italia. Appunti per un film inedito
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di Women in the city*

Le popolane che fecero l'Italia. Appunti per un film inedito

Le donne presero parte all’Unità d’Italia. La cosa è nota; dei salotti mondani in cui nobili dame intellettuali alimentavano la cospirazione, profittando del censo per trasmettere ai patrioti informazioni carpite all’elite governativa, denari per sostenere rivolte e guerre d’indipendenza,  si sa quasi tutto. Meno conosciuta è invece la partecipazione all’avanzata garibaldina delle donne dei quartieri popolari delle città e dei villaggi, da nord a sud della Penisola; delle patriote che negli opifici, nelle campagne, nei mercati, sulle assi di legno dei palcoscenici ambulanti, - persino nei conventi di clausura dove, nascosto tra un breviario e una messa cantata, fremeva più di un  tricolore - , si fecero conquistare dalle idee carbonare di rivoluzione.
Documentare la partecipazione all’Unità d’Italia delle popolane ignorate dai cippi e dai monumenti, - le fornaie, le lavandaie, le maestre, le attrici ambulanti, le piccole commesse, le verduraie, le servette… -, significa raccogliere finalmente tutti gli indizi qua e là sparsi per fare un affresco completo e, a tutt’oggi inedito, del Risorgimento italiano.
Come dire, nel suo 150esimo anniversario, che l’Unità d’Italia fu affare di tutte e per tutte le donne che cedettero nei suoi ideali di libertà. Come avrebbe recitato la Costituzione repubblicana quasi cento anni più tardi: senza differenza di ceto, di istruzione, di appartenenza geografica...
 
La partecipazione femminile alla questione “Unità” diventa concreta già a partire dal 1848. Gli avvenimenti politici di quell’anno – i moti carbonari, le insurrezioni con obiettivi sociali, liberali e indipendentistici -, spingono le donne fuori di casa. Signore e signorine diventano patriote, si dichiarano, partecipano agli eventi. 
Il “salotto”, luogo di aggregazione sociale per eccellenza del ceto aristocratico e borghese è destinato a  diventare il nido segreto della cospirazione clandestina. Vi regnano le donne, dame che posseggono tutte le qualità loro richieste per gestire un circolo mondano di palazzo: sono colte, conoscono le lingue, si interessano alla questione dell’indipendenza nazionale. Riescono a trasformare il rito del the e del rosolio, il pranzo e la cena, la sonata al pianoforte e il ballo, in altrettanti momenti propugnatori dell’indipendenza nazionale.   
Abilissima nell’organizzare ricevimenti in onore di autorità locali, principi, sovrani, possidenti, artisti di grido…, la “salonnière” sa come sostenere la conversazione con una parola, un gesto, un’occhiata, mentre copre l’attività cospiratrice di amici e familiari.
E’ qui, nel salotto di casa con il divano lungo, le consolles dorate con gli specchi, le sedie imbottite, il camino con il parafuoco di seta, il lampadario con la cascata di prismi, che la dama patriota intrattiene gli uomini di potere possibili alleati della nazione sognata. E’ qui che passano avventurieri e patrioti in fuga. E’ sempre qui, tra poeti, scienziati e pittori, mentre segue la lettura di un romanzo, mentre intreccia relazioni nella sala da ballo, o vicino ad un tavolino da gioco, che lei raccoglie i soldi necessari alla rivolta chiedendoli all’ignara beneficienza dei suoi ospiti maschi. O tra le dame di rango che la beneficenza la fanno come dovere sociale.

Fuori da queste sale, nei quartieri del ceto popolare dove l'indigenza  strappa le donne alle case, conducendole alla fatica del lavoro nei campi e negli opifici, la partecipazione femminile alle insurrezioni è soprattutto presenza fisica, e armata, nella lotta d’insurrezione. Nel quartiere operaio di Catania, dove fumano le ciminiere della raffinazione dello zolfo e girano i telai della seta e del cotone, si accalca una folla stanca di donne e bambini operai che lavorano 14 ore al giorno per pochi centesimi.  Per i vicoli di Palermo e di Napoli, dove a metà Ottocento l’età media è di ventiquattro anni, vagano frotte di senza lavoro fisso che si industriano come possono: c’è chi sbarca il lunario vendendo ninnoli, frattaglie e caldarroste, chi è disposto a tutto per lavorare a giornata nella spianatura delle piazze e nella pavimentazione delle strade. Con le prime ferrovie, l’orizzonte del sogno è la linea ferrata.
E’ questo popolo minuto di donne e di uomini, che mangia pane, frattaglie, carne avanzata ai ricchi e spesso putrefatta, pesce salato, e beve vino adulterato e acqua inquinata, cercando di scansare vaiolo e colera mentre, nelle taverne e nei mercati , presta l’orecchio all’utopia di libertà e di riscatto dei patrioti, il protagonista occulto del nostro Risorgimento.
Interprete principale, non comparsa, di episodi fondamentali per la riuscita dell’impresa unitaria, rimasti invisibili nella grande storia, come quello che a Catania, il 31 maggio 1860 giorno dell’insurrezione cittadina, vede una lavandaia, Peppa - passata alla memoria del suo quartiere come Peppa la Cannoniera -, strappare un cannone ai soldati borbonici e con quello metterli in fuga, spianando l’ingresso ai garibaldini…
Nel 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, in omaggio alle popolane che lottarono per l’unificazione nazionale rimanendo invisibili, la redazione di womeninthecity ricostruisce sei brevi ritratti di popolane patriote, biografie fuori dal comune.
Appunti per un film inedito sul Risorgimento italiano, dopo il 17 marzo.

*ha collaborato Rossella Rapisarda

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