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Berlusconi e il "brigatismo" delle Procure. Quali soluzioni alla crisi?
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di Nicola Tranfaglia

Berlusconi e il "brigatismo" delle Procure. Quali soluzioni alla crisi?

Le parole chiare di netta condanna che il presidente della repubblica Giorgio Napolitano ha pronunciato ieri dopo l’affissione a Milano di un manifesto del PDL, (di tale Lassini candidato di quel partito al consiglio comunale milanese) in cui si afferma che le Brigate Rosse sono all’interno delle procure della repubblica, sono quelle che pensa la maggioranza degli italiani.
Questa grande maggioranza indignata anche se purtroppo non riguarda tutti gli italiani.
Se tutta la popolazione italiana fosse davvero disgustata dai comportamenti dell’on. Silvio Berlusconi questi non sarebbe tuttora presidente del consiglio.
E non avremmo ai vertici del governo personaggi come Frattini, Caldaroli, Maroni che o sono penalmente pregiudicati o hanno abbandonato il centro-sinistra per raggiungere improvvisamente il Cavaliere.
Ma anche in una situazione come quella italiana non dovrebbe esser consentito a chi guida il governo in carica parlare di “brigatismo” nelle procure come ha fatto l’onorevole Berlusconi nei giorni scorsi provocando la denuncia per calunnia da parte dell’associazione sindacale dei magistrati.
Occorre insomma concludere anzitutto che siamo a un livello pericoloso di degrado della politica, di contrasto tra i poteri dello Stato, di crisi politica e morale che non era mai stata raggiunta in settanta anni di storia dell’Italia repubblicana.
Che fare in questa situazione ?
Le soluzioni alla crisi non sono più di due, comunque si ragioni.
La prima è quella di sciogliere le Camere e andare ad elezioni politiche anticipate. Ma non è una soluzione facile come sa chi conosce la costituzione.
Il professor Gaetano Azzariti ha sottolineato sul Manifesto  l’estrema problematicità di quell’articolo che richiede in ogni caso la controfirma del presidente del Consiglio. Azzariti afferma a ragione, ed io sono d’accordo con lui, che si tratta di un atto essenzialmente del Capo dello Stato ma chi conosce Berlusconi, per ragioni di studio come me o per frequentazioni come molti altri, sa che il leader populista avrebbe molta difficoltà a controfirmare un atto che porta direttamente alle elezioni anticipate a meno che non lo abbia deciso lui in base ai propri calcoli elettorali.
In questo senso la seconda soluzione affacciata è forse più praticabile.
Negli ultimi giorni esponenti del cosidetto terzo polo cioè dell’UDC o dell’API come Casini e Rutelli hanno parlato di un governo di tregua o di decantazione che affronti i problemi più urgenti del lavoro, dell’occupazione e dell’economia e conduca il paese alle elezioni entro un anno.
Ma gli ostacoli a questa soluzione sono di almeno due ordini.
Il primo è che sembra difficile staccare da Berlusconi molti esponenti del PDL di fronte ad elezioni in ogni caso vicine. Potrebbe farlo soltanto chi è fuori della politica o non aspira a ritornare in parlamento. Cioè quasi nessuno tra i politici che conosco.
Inoltre pare a chi, come me soprattutto osserva la politica,
che le attuali opposizioni, centro-sinistra e terzo polo, sono ancora divise tra loro e incerte sulla linea complessiva da tenere per il
futuro immediato.
In effetti la soluzione più ragionevole sarebbe quella del governo di transizione ma chi conosce Berlusconi sa che l’attuale presidente del Consiglio preferirà andare alle elezioni che potrebbe ancora vincere (questa è la vera anomalia italiana!) piuttosto che arrendersi al governo di cui parlano Casini, Rutelli e Fioroni.
La soluzione quindi è quella di votare. E gli italiani si aspetta che gli organi costituzionali dello Stato facciano quel che possono per renderla possibile. 


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