di Beppe Lopez
Non c’è bisogno di essere strenui difensori delle statali “provvidenze per l’editoria” o almeno sostenitori della necessità di una loro radicale bonifica per non sentirsi indignati e arrabbiati a causa dell’ultima scorreria governativa in materia. Centinaia di testate giornalistiche non sanno ancora se potranno sopravvivere. Il governo, com’è noto, ha introdotto nella Finanziaria l’abolizione del loro “diritto soggettivo” al contributo annuale del Dipartimento Editoria di Palazzo Chigi, vale a dire della certezza di poter contare su una cifra prefissata, indispensabile per una sana e programmata gestione aziendale e ai fini dell’ottenimento di prestiti da parte delle banche. Ora si parla di una possibile correzione di rotta, a gennaio, in occasione del “Milleproroghe” o di un “decreto sviluppo” che ripristini il contributo – non si capisce ancora bene come e con quali parametri – per i giornali “di partito” e per le testate “storiche”. Due espressioni che significano, in tutta evidenza, assai poco e si prestano a far da copertura a manipolazioni e a maligne selezioni (certo Padania e Liberazione sono inequivocabilmente di partito, e il Manifesto è testata storica: ma tutte le altre?).
Si poteva dare corso all’abolizione dell’attuale sistema di intervento – che premia i grandi gruppi editoriali, clientele, truffatori e rendite parassitarie – per sostituirlo con un sistema più moderno e democratico basato sulla promozione delle nuove iniziative, specie se regionali e indipendenti, e comunque sul carattere “no profit”. (Persino negli Usa, patria del liberismo e del mercato selvaggio, si tende oggi a definire questo nuovo orizzonte: il sostegno pubblico al giornalismo di qualità e indipendente che pratichi l’informazione come valore irrinunciabile per la società e per la democrazia).
Si potevano, più modestamente, tagliare testate notoriamente inesistenti se non nell’elenco del Dipartimento e in qualche rassegna stampa di palazzo (L’opinione, Campanile, Il Socialista Lab, Democrazia Cristiana, Notizie Verdi, ecc.), “cooperative” che di cooperativo non hanno assolutamente nulla (Il Foglio, il Riformista, ecc.), improbabili “cooperative” trasformatesi in fantomatiche “fondazioni” (Avvenire, Italia Oggi, Libero, ecc.).
Si poteva, ancora più opportunamente se possibile, rivedere la pratica dei “contributi indiretti”, prima fra tutte le costosissime “compensazioni postali”, che si riversano in particolare nelle casse dei grandi gruppi editoriali, provviste di numerose testate ad alta tiratura.
Invece, ancora una volta, il ministro dell’Economia se l’è voluta prendere con i “piccoli”, con i “giornali politici”, operando un taglio indiscriminato che, come tale, avvantaggia coloro che meno avrebbero diritto di attingere alle risorse pubbliche.
E che ci si poteva aspettare da questo governo? Di più: cosa ci si può aspettare di diverso, in linea di massima, dal Potere? Finché le norme resteranno quelle che sono, anche per inadeguatezza di capacità e di continuità di critica da parte del movimento sindacale e cooperativo e della sinistra, periodicamente ci sarà qualcuno che minaccerà, intimidirà, ricatterà, indurrà alla cautela e alla subalternità. Certo, altrettanto periodicamente, si metteranno in moto – come anche questa volta – le diverse lobbies delle categorie colpite o sotto mira, e magari si riuscirà a ripristinare, a mediare, a rimetterci solo un po’… Ma la questione si riproporrà e, nel frattempo, i rapporti fra il Potere e testate che dovrebbero fargli il contropelo o comportarsi da “mastini della democrazia” (per chi crede a queste formule) saranno diventati certamente più morbidi, comunque ragionevoli, quando non amicali.
Questo significa che soggetti come la Fnsi, il Manifesto e Mediacoop, dopo questa ennesima amara esperienza, che speriamo non produca danni devastanti, debbono farsi carico – sin dal giorno dopo dello scampato pericolo o di quello che comunque sarà l’esito delle trattative in corso – di una battaglia e di una denuncia quotidiana delle degenerazioni e delle illegalità che qualificano un sistema di provvidenze fra i più scandalosi nella pur scandalosissima pratica italiana delle provvidenze pubbliche in genere, e soprattutto di una proposta organica e coraggiosa di riforma.
Testate che prendono contributi in quanto organi di partito con un gruppo parlamentare, mentre sono di proprietà privata, quei partiti non esistono più e comunque non hanno più un gruppo… Contributi dati per legge a “cooperative editoriali” che non sono cooperative di giornalisti o lavoratori editoriali… Soldi pubblici dati, con grande generosità, a fiori di editori e di capitalisti notoriamente truccati da “movimenti politici” o “cooperative” o “fondazioni”: Libero 7 milioni e 800 mila euro, Italia Oggi 5 milioni e 200, Il Foglio 3 milioni e 700, il Riformista 2 milioni e 500… Finanziamento del quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana e della Cisl: Avvenire 6 milioni e 100, Conquiste del Lavoro 3 milioni e 300… E quei 2 milioni e 500 al Roma di Italo Bocchino? E quei 2 milioni e 400 al quotidiano economico napolitano “di movimento” Il Denaro?...
Fnsi, il Manifesto e Mediacoop – per ciò che rappresentano nel mondo dell’informazione – hanno la titolarità di diritti incontestabili, il prestigio e la forza per opporsi finalmente a tutto questo. Ma stavolta dovranno farlo con continuità e coerenza. Perché dovrebbe essere ormai chiaro: se non si interviene, sottraendosi finalmente al doppio ricatto dell’occupazione e della “regale concessione” del Principe, la prossima volta potrebbe andare molto, ma molto peggio.