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"Ju tarramutu". Viaggio in una città terremotata due volte
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di Michele Carpani

"Ju tarramutu". Viaggio in una città terremotata due volte 6 aprile 2009, la terra trema in Abruzzo e sfigura il volto della città de L'Aquila e delle realtà circostanti.  Poi "alla violenza naturale del terremoto si è sovrapposta la voracità degli interessi, la velocità delle urbanizzazioni, l'impatto violento del Progetto C.A.S.E. che ha sconvolto senza pianificazione un territorio bellissimo, ancora di impianto medioevale. E’ come se gli abitanti avessero dovuto subire due terremoti, ma il secondo, causato dagli uomini, è stato sicuramente più devastante: a volte la “critica politica” coincide con la semplice constatazione di ciò che è avvenuto." Denuncia il regista Paolo Pisanelli.
“Ju tarramutu”, il suo nuovo film, è il terremoto raccontato da chi lo ha vissuto. “Ho filmato a lungo il territorio aquilano – racconta Pisanelli - il mio interesse è rivolto alle radicali trasformazioni che sta subendo, alla “sparizione” dei centri storici, tra abbandoni e demolizioni, all’idea di casa che ha dentro di sè ogni persona che ho incontrato.”

Da dove nasce l’idea del film?
Ho una formazione da architetto ma non ero mai stato a L’Aquila, desideravo visitarla da anni, finalmente dovevo andarci pochi giorni prima del terremoto, ma poi ho dovuto rimandare… Ho sentito di avere una sorta di impegno personale, anche perché nel 2009 ho iniziato a insegnare in Abruzzo come docente a contratto presso l’Università di Teramo.
Ho deciso di fare il film sul terremoto anche perché L’Aquila è uno specchio dell’Italia e
del “teatrino” di una politica dell’apparenza, che si vuole mostrare efficiente e veloce ma poi non riesce a mascherare l’incompetenza e la corruzione affaristica che ne determina le scelte.
Filmare è un modo di conoscere ma è anche il modo per curare i luoghi e le persone, non solo come esercizio della memoria, ma come contatto con l’altro, condivisione di esperienze, qui e ora. In ogni paese dove sono stato ho incontrato persone che mi hanno raccontato storie, esperienze, emozioni.
La conoscenza delle storie degli Aquilani  mi ha convinto a  difendere il  loro diritto di tornare ad abitare la loro città, nonostante le scelte politiche  siano andate in tutt’altra direzione.

Si può dire che il suo film faccia da spazio pubblico, di partecipazione, dove si dà voce a chi fin’ora non ne ha avuta?
Ogni film che ho realizzato è sempre nato da un’esperienza di partecipazione e di condivisione: nel filmare il territorio aquilano ho scelto di “adottare” dei luoghi, in genere le piazze dei centri storici dei paesi dove si poteva accedere senza troppe difficoltà. Io iniziavo a filmare, qualcuno si avvicinava e mi veniva a raccontare. Dare spazio ai racconti delle persone che ho incontrato è stato un modo per reagire alla propaganda mediatica televisiva che ha paralizzato e stordito per lunghi mesi i “terremotati”.
Lo spazio del film è diventato una sorta di spazio pubblico, un'agorà, nella quale e dalla quale, far risuonare le voci della gente de L'Aquila, che dopo le bugie e le mistificazioni del governo, ha deciso di prendere nelle proprie mani la gestione dei problemi della ricostruzione. Una sorta di solidarietà fattiva che, di fronte all'impossibilità di tornare ad abitare le proprie case, ha permesso di abitare un film.

Cosa rappresentano per lei i luoghi?
I luoghi sono la nostra storia, il nostro habitat. Per me guardare un luogo, quindi filmarlo, significa anche curare quel luogo.
Penso che sia molto importante filmare quei territori destinati a subire molte trasformazioni. Così ho cominciato a vagare e a filmare intorno all’Aquila, senza sapere dove andavo, mi sono messo a esplorare questi territori e a scavare con gli occhi. Questo è stato il mio modo di ricostruire l’immagine di alcuni luoghi, nel mezzo di continue trasformazioni. Una sfida rispetto a ciò che si è perso o si sta per perdere.

Sfruttamento politico, immobiliare, mediatico, che idea si è fatto di tutto questo?

Chi governa un paese dovrebbe rendere conto di quello che fa, forse dovrebbe rendere conto anche della gestione dell’emergenza terremoto di fronte allo stato attuale delle cose.
Sappiamo quanto hanno lavorato i Vigili del Fuoco e i volontari di tutta Italia per aiutare la popolazione, nel film si sente questa attività febbrile. Ma sappiamo anche come ha lavorato la “cricca” di affaristi sciacalli che si è arricchita sugli appalti gestiti dalla Protezione Civile.
Nel film Berlusconi è sempre presente in proclami televisivi o radiofonici, appare in ogni televisore piazzato nelle tende o nelle villette di Onna appena costruite: è il segno di una conquista mediatica dei territori terremotati, divenuti il teatro di una scenografia di grande effetto drammatico per propagandare l’efficienza politica e organizzativa del suo governo, deciso persino a spostare il G8 pur di puntare i riflettori internazionali sul terremoto dell’Aquila.
Senza alcuna progettazione urbanistica adeguata il territorio è stato bombardato di nuovi insediamenti abitativi provvisori ma dal costo enorme.
Questa politica-spettacolo ha di fatto militarizzato il territorio e privato i cittadini della possibilità di riunirsi e decidere del proprio futuro.

Esiste ancora la possibilità e la speranza che gli aquilani si riapproprino della loro città?  
Una parte ha continuato sempre a lottare contro l’abbandono, ma purtroppo devono pensare anche ad umanizzare i quartieri dormitorio dove vivono: è una situazione schizofrenica che porta ad un grande spreco di energie.
Sembra che gli abitanti siano ricaduti in una sorta di stato di depressione e spero che possano riconquistare energie e voglia di riprendere in mano le sorti della loro città.
Ci vorrebbero grandi risorse, volontà politica e grande determinazione da parte degli abitanti: attualmente gli aquilani hanno portato in Parlamento una legge di iniziativa popolare per la ricostruzione… la speranza è che dia un segno di riscossa e che da lì si possa ripartire con forza.

L’Aquila due anni dopo, come vede la situazione adesso a riflettori spenti?
A L’Aquila ci sono molti cantieri in attività, gli edifici del centro storico sono tutti transennati e messi in sicurezza, ma non ci abita nessuno. Ha riaperto qualche locale sul corso principale ma la sensazione che si ha è quella di una città vuota. Paradossalmente hanno dato la precedenza alla ricostruzione delle chiese anziché alle fabbriche e alle case.
La situazione più drammatica, però, è quella dei paesi intorno: pochi giorni fa ho ripercorso tutti i luoghi dove ho girato il film e ho constatato che tutto è fermo e abbandonato, tranne qualche ulteriore crollo.
Sembra azzerata anche la memoria, forse era meglio l’abbandono.

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