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Napoli caput mundi
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di Francesco Peloso

Napoli caput mundi Nei giorni in cui i miasmi della spazzatura napoletano tracimano fino ad invadere una regione dopo l’altra del Paese, la politica nazionale misura tutta la propria inconcludenza di fronte all’emergenza eterna e frustrante della munnezza napoletana. E’ in questo giugno caldissimo che si svela impietosamente l’origine di incompetenze accumulate negli anni in nome del malaffare, delle clientele, delle cordate di potere, del dominio sotto forma di ricatto o di scambio di favori. E pensare che Napoli in modo impressionante è l’Italia nel mondo: è anche l’italianità nel luogo comune, nell’impossibilità di riconoscersi cittadini,  nella ricchezza di un popolo. E certo è  – era – anche un territorio di impressionante bellezza, perché oltre al golfo, ai segreti delle sue strade e dei suoi vicoli oscuri, si prolungava lungo un tratto di costa e di mare unico, aveva nelle isole – queste sì da cartolina – un’altra serie di fotogrammi che hanno segnato l’immaginario contemporaneo. E poi il parco del Vesuvio, gli scavi di Pompei, Ercolano: è l’elenco  - noto – che si ritrova nelle agenzie di viaggio di mezzo mondo. E però tutta questa bellezza, questo patrimonio ineguagliato e ammirato da tutti, è stato semplicemente distrutto da un fiume di cemento, dalle malversazioni delle classi dirigenti, dalle forme di sottocultura che si sono diffuse fra le stesse popolazioni, dall’ uso del territorio come discarica privilegiata dei veleni del resto del Paese, fino ad inquinare l’erba, i fiumi, la campagna, i terreni agricoli, e poi le mozzarelle, l’acqua, la vita. Solo ieri crollavano le case a Pompei: la memoria di una civiltà che si sgretola per l’incuria di burocrati e briganti. Pochi chilometri più in là, A Castellammare di Stabia, i cantieri chiudevano e lasciavano per strada centinaia di lavoratori.

Che il governo, oggi, non muova un dito, magari per isolare il sindaco “nemico”, è l’ennesimo scandalo civile cui ci tocca assistere: invece di una mobilitazione nazionale, il silenzio. E certo lo stesso De Magistris, un po’ c’è cascato, con quelle promesse sui cinque giorni per ripulire la città: credeva che gli avrebbero reso la vita facile? Per altro Napoli è un vero paradigma del caos italiano se è vero che nella sua storia recente si misura anche il fallimento del riformismo di sinistra, della possibilità, cioè, di rendere “normale” e vivibile nella quotidianità, la capitale del Sud. E se ora l’opposizione sta dicendo qualcosa sulla situazione napoletana, sembra, ancora una volta, che manchi il sentimento della gravità di quanto sta avvenendo, che non si riesca a capire che qui e ora si deve chiamare il vertice del governo del Paese al confronto diretto e implacabile con i problemi reali.

E poi certo la camorra come è stato scritto e detto fino alla nausea. Ma Napoli è stata anche la città che già negli anni ’70 chiedeva una svolta mandando per la prima volta il Pci al governo della città : non tutto, insomma, è stato sempre delinquenza, paesaggio sociale immutabile o rivolta disperata. E’ ora, però, che la politica si faccia carico dell’enormità di quello che sta avvenendo, che si avverta l’urgenza di un passaggio storico. Perdere Napoli è perdere il Paese, significa consegnarlo alla sconfitta civile dello Stato, della cosa pubblica, degli interessi collettivi, del bene comune, delle regole degne che ci consentono una vita degna da vivere insieme. Napoli, ancora, siamo noi nel mondo, in ogni Paese d’Occidente e d’Oriente, lì i cumuli di spazzatura che come un morbo assediano le strade, rappresentano il cuore stesso dell’Italia di oggi.


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