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Caserta, sotto assedio l’antimafia sociale
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di Aldo Cimmino*

Caserta, sotto assedio l’antimafia sociale

Questo il nome dell’iniziativa realizzata da Libera Campania, d’intesa con il coordinamento di Libera Caserta. Con un gioco di parole, l’iniziativa è stata l’occasione per invitare cittadini, ma soprattutto, istituzioni a prendere posizione su alcuni fatti molto gravi. Fatti che hanno rappresentato, nel casertano, veri e propri attacchi all’antimafia sociale verificatisi in questi ultimi tempi. L’iniziativa si è svolta proprio nei pressi di un terreno confiscato a Casal di Principe, che oggi, grazie all’impegno della cooperativa Eureka, è stato convertito in coltura biologica.

Si è partiti da questo terreno, intitolato ad Antonio Di Bona, agricoltore e vittima innocente della criminalità organizzata, che da ultimo, solo per ordine temporale, è stato oggetto “dell’attenzione dei soliti ignoti”. Tagliati i tubi dell’irrigazione e riempiti di colla i lucchetti di recinzione del cancello di ingresso. Atti che non possono essere definiti semplicisticamente vandalici ma che il procuratore aggiunto della Direzione Distruttale Antimafia, De Raho, non esita a definire «atti di gravità senza pari».

«Il fatto che fossero state tagliate le tubazioni d’irrigazione di un fondo confiscato e riutilizzato – ha sottolineato De Raho – è stato forse, da alcuni sottovalutato, perché queste erano modalità che si usava trent’anni fa, dalla mafia, per costringere, coloro che coltivavano i terreni ad abbandonarli, a fuggire e a lasciare il campo aperto alla dominazione mafiosa». Sul piccolo palco, allestito nei pressi del campo confiscato, il procuratore De Raho richiama ancora le istituzioni a guardare questi fatti sotto la luce di un attacco all’antimafia sociale. Ma da quello stesso palco i rappresentati delle associazioni e della società civile hanno chiesto la vicinanza delle istituzioni, in special modo delle amministrazioni comunali, a tutti coloro che, quotidianamente, tentano di ripristinare il senso di legalità in quelle stesse terre che oggi non sono più definite di “Gomorra”.

Sono infatti le “Terre di Don Peppe Diana”, quelle in provincia di Caserta, sulle quali si cerca di impiantare il seme della giustizia attraverso l’impegno e la corresponsabilità. «Ma le istituzioni devono fare la loro parte – ha detto Mirella Letizia che gestisce il bene attraverso l’opera della coop. Eureka – perché quando abbiamo accettato la sfida di riutilizzare un bene confiscato alla camorra, prevedemmo la possibilità di lottare contro i clan, ma mai quella di dover lottare contro le istituzioni». Parole durissime che sottolineano, quanto meno, un’azione non facilitatrice delle locali amministrazioni comunali. Si perché gli attacchi al “modello Caserta”, che prevede un circolo virtuoso di riutilizzo e gestione dei beni confiscati, attraverso le cooperative sociali di inserimento lavorativo, a favore di persone con disabilità e non solo, risalgono già allo scorso maggio.

Prime avvisaglie di intolleranza. L’attacco alla “Casa dei Felicioni”

Il bene confiscato, situato nel comune di Trentola Ducenta, fu confiscato a Dario De Simone, killer del clan dei casalesi, e fu assegnato alla Comunità di Capodarco di Teverola. A livello nazionale la Comunità di Capodarco nacque nel 1966 per volontà di tredici persone disabili e un giovane sacerdote, e oggi presente in 14 città e 11 regioni. In quel bene, sede di un pericoloso killer della camorra casalese, era nata la “Casa dei Felicioni”. Le stanze di quella villa erano state adibite per accogliere i minori a rischio. Insomma quella casa da killer era divenuta la casa dell’accoglienza. La casa famiglia di Teverola.  Ma il sindaco, Miche Griffo, ha ritenuto di porre fine a tutto questo. Cosi con atto del Comune del 19 maggio 2011, sottoscritto dallo stesso primo cittadino, Griffo e il “Responsabile dell’Area”, Angela Mare, e indirizzata alla Comunità di Capodarco di Fermo, di Teverola e Trentola Ducenta, revoca non solo la proroga del comodato d’uso, precedentemente concessa dal Commissario Straordinario, ma disdice inoltre il contratto di comodato d’uso gratuito per l’utilizzo sociale del bene.

Un atto decisamente grave che sottolinea, quanto meno, un forte disinteresse, dell’amministrazione comunale, a garantire la continuità di quelle progettualità che, meglio di altre, fungono da argine alla deriva sociale verso i modelli diseducativi della camorra. L’attività svolta dalla Comunità dei Felicioni, inoltre, è qualificata e qualificante visto che i progetti di recupero dei minori a rischio erano concordati e sottoscritti congiuntamente alle competenti autorità giudiziarie. A questo punto ci si chiede quali siano i migliori progetti del sindaco Griffo per questo bene confiscato.

Effetto domino? Sfrattata l’associazione “Jerry Essan Maslo”


Certo cade una tessera, cadono le altre. Ma non va dimenticato che a far scaturire l’effetto domino è certamente la pressione imposta da qualche mano. Siamo a Castel Volturno, in provincia di Caserta. Questa volta a doversene andare sono i volontari dell’associazione da anni  guidata dall’ex Sindaco di Casal di Principe, Renato Natale. L’organizzazione di volontariato prende il nome di un giovane sudafricano, rifugiatosi, nel 1989, in Italia per sfuggire alle persecuzioni razziali del suo paese. Viene ucciso durante una rapina a Villa Literno da giovani balordi. Quel tributo di sangue fu la scintilla decisiva perché i cittadini casertani prendessero coscienza del problema immigrazione. Ancor oggi l’immigrazione, in questi territori, rappresenta un problema. La maggior parte della popolazione immigrata del casertano costituisce quella fascia debole della popolazione facilmente intercettabile dalla camorra. Ed è proprio a Castel Volturno che, non più di tre anni fa, in quel 18 settembre 2008, la camorra fece strage di sei cittadini africani e uno italiano.

Ed è proprio su queste terre che l’associazione “Jerry Maslo” aveva ricevuto, in gestione, un bene confiscato alla camorra. La villa di Pupetta Maresca, nome storico della camorra in Campania. Oggi quel bene è “La casa di Alice” nella quale era stata avviata anche un’attività di sartoria sociale per offrire lavoro a donne immigrate provenienti da percorsi difficili. Oggi quel bene è stato sottratto alle speranze di una terra che aveva puntato sul riscatto e sull’integrazione contro la camorra. E le motivazioni con cui l’amministrazione di Castel Volturno, guidata dal sindaco Antonio Scalzone, ha revocato l’uso del bene confiscato sono, per usare un eufemismo, banali. Infatti si legge nella missiva, a firma dell’assessore al Commercio e al patrimonio, Raffaele De Crescenzo, che «il bene è stato revocato perché i vigili recatisi sul posto non hanno trovato nessuno e hanno ritenuto che non sia usato». Prima di adottare un atto cosi drastico e grave per le conseguenze sociali che comporta, il sindaco non avrebbe dovuto, quanto meno, accertarsi circa le “intuizioni” dei vigili urbani, autori di quell’ “importantissimo” sopralluogo? Ma le intimidazioni di carattere amministrativo non sono state le uniche. Certamente le più subdole ed insidiose. Renato Natale, infatti, è stato destinatario anche di lettere minatorie che lo «invitavano a smetterla e a ricordarsi di avere una famiglia». In perfetto stile camorristico.

Le altre amministrazioni casertane e la questione dei “budget di salute”

Non sono state da meno le amministrazioni comunali di Casal Di Principe, Casapesenna e Villa Literno. Il loro è stato un gesto di rifiuto nel rinnovare la loro quota dei progetti nell’ambito del riutilizzo sociale dei beni confiscati. La motivazione ufficiale? C’è la crisi economica. Ma l’aspetto che desta maggiore preoccupazione riguarda la decisione del taglio dei “badget di salute”. Una decisione devastante e contraddittoria, assunta dall’Asl di Caserta. Devastante perché comporterà una serie di gravissimi disagi contro la garanzia del diritto alla salute, costituzionalmente garantito. Contraddittorio perché è stato dimostrato che questi percorsi comportano un risparmio economico a favore della sanità regionale. Ma ancor di più devastante se si considera che proprio i percorsi avviati con l’esperienza dei “budget di salute” sono stati tra i migliori a garantire un concreto riutilizzo sociale dei beni confiscati. Con i tagli che sono stati previsti, infatti, rischiano di essere messi in discussione i progetti che sono realizzati all’interno dell’ex Villa del boss Schiavone, che prevede un’azione a favore di ragazzi affetti da autismo, e il bene intitolato ad Alberto Varone, nel comune di Sessa Aurunca.

È dunque minacciata l’antimafia sociale. Giovanni Falcone ci ha abituato a guardare il fenomeno mafioso nel suo insieme. E non soltanto dal punto di vista della sua struttura, ma anche da quello della logica intimidatoria e delle strategie messe in atto. Decisamente diverse rispetto a quelle affrontate da Falcone, ma del tutto insidiose e pericolose. Ed il dubbio che sorge è legittimo nella misura in cui ci si chiede che senso ha assumere certe decisioni che sono dannose, sia materialmente che idealmente, per l’uso sociale dei beni confiscati, in una terra comunque tristemente nota per l’alto tasso di criminalità organizzata e nella quale storicamente le amministrazioni comunali non sono state esenti da condizionamenti? 

*tratto da www.liberainformazione.org


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