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Articolo 21 - CULTURA
Andrea Zanzotto, pensiero profondo
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di Adriano Donaggio

Andrea Zanzotto, pensiero profondo

Credo che se potessi raccontargli il modo in cui l’ ho conosciuto, Andrea Zanzotto, morto poche ore fa nella mattinata nel suo Veneto, a Conegliano, mi guarderebbe con il suo sorriso bonario, acuto, superiore e affettuoso. Ero un giovanissimo studente delle scuole medie. La Fondazione Cini, allora diretta dal grande Vittore Branca, suo assistente Cesare De Michelis che mi pregò, o ci pregò, non ricordo bene, di non coinvolgerlo in contestazioni, ci diede una borsa di studio da dividerci tra otto studenti. Terminato un seminario noioso che mi dava diritto a un ottavo di borsa di studio, andai, più che altro per curiosità, in una stanza laterale, piccola, con poche persone, dove c’ era un giovane insegnante che teneva una lezione sulla letteratura francese. Ricordo che dopo un po’ che lo ascoltavo, tra me e me, pensai: ma questo è due spanne superiore a tutti gli altri. Qui c’ è una visione, un metodo di lavoro, un’ acutezza di analisi che non ho riscontrato in altri. Chi è questo? come si chiama? Zanzotto? Quel giovane insegnante non divenne mai Professore universitario. Il massimo della sua carriera fu Preside di liceo in un paesotto del trevigiano. Una vergogna dell’Università italiana, dove insegna un po’ di tutto, ma una personalità della cultura, della profondità, del valore di Andrea Zanzotto non è mai diventata Professore ordinario. Sono cose che le lauree distribuite in Piazza S. Marco, ridotta a piazza show, o l’ inaugurazione dell’anno accademico in un teatro lirico, non possono mettere in sordina.

Zanzotto non era una persona polemica. Non era il suo abito mentale. Era l’ acutezza delle sue osservazioni, la profondità del suo pensiero che metteva in crisi le posizioni che si facevano forti del pregiudizio, dei luoghi comuni, che impedivano di vedere l’ orizzonte riempiendo il paesaggio di panni al vento. Il suo pensiero, la sua opera poetica, erano così forti, che il fumo delle chiacchiere si perdeva nel cielo dell’ inconsistenza senza lasciare traccia. Non aveva bisogna di polemizzare. Prendeva la parola e chi viveva di bolliti di chiacchiere restavano subito indietro senza fiato. Come al giro di Francia, quando la strada comincia inerpicarsi, le mezze calzette restano indietro, staccati e con il collo lungo.

Il bello è che non è mai stato arrogante, non voleva mai essere superiore. Diceva solo quello che pensava. Come parlava, come scriveva. I palloni gonfiati si sgonfiavano depressi.

Era una persona singolarmente appassionata. Fece parte della giuria del Premio Venezia alla comunicazione culturale che premiò Gianni Gaspari per la critica cinematografica e. appena premiato Gaspari, mi chiese come potevamo approfondire il problema della critica cinematografica, del rapporto tra comunicazione e le diverse manifestazioni artistiche. Era di una curiosità, di un bisogno di approfondimento instancabile. Se cominciava un discorso ti portava lontano.

Poche persone sono state legate alla propria terra, non hanno mai abbandonato il proprio paese, il suo era Pieve di Soligo nel trevigiano, ebbene poche persone hanno condotto una vita di paese e allo stesso tempo esplorato la cultura internazionale, la storia della lingua italiana, la cultura greca, come Andrea Zanzotto. Profondamente veneto, ma con una cultura internazionale sia per lo sviluppo storico, che per estensione geografica, sia per capacità di dare un senso alla vita che aveva un valore universale, capace di parlare con tutti gli uomini, di tutte le lingue. Non si proponeva questo risultato ma raggiungeva tutti gli uomini superando di un balzo, con fluidità, senza sforzo senza ogni tipo di pregiudizio. Aveva la capacità di andare nelle profondità, nelle complessità, dell’animo dell’uomo, di cogliere la profondità e l’enigmaticità del senso della vita. Coglieva il bisogno di trovare un significato alle domande che assillano tutte le generazioni, in tutti i paesi del mondo. Con il suo sguardo apriva orizzonti prima inesplorati. Il suo pensiero era così profondo che anche a chi non lo faceva abitualmente faceva venire la voglia di pensare, di riflettere, di approfondire, di scoprire il senso delle cose, dei fenomeni che attraversano la propria epoca, mettevano in discussione la storia, le tradizioni da cui provenivamo.

Lui profondamente veneto, che la Lega è oggi costretta a lodare obtorto collo (chi più veneto di lui?, ma chi più in grado di lui con la sua semplice esistenza di grande veneto, con il suo desiderio tutto veneto di sapere, di esplorare, chi più capace di rendere ridicoli molti discorsi della lega?). Senza cercare polemiche ha mostrato con la forza del suo pensiero, forte come la roccia, la debolezza, la faccia di cartone di molti discorsi leghisti, la povertà mentale di molte affermazioni che girano da quelle parti.

Recentemente, in una bellissima intervista rilasciata a La Stampa, ha detto “la Lega crea spettri”. In altri parole questa Lega non è il Nord e, soprattutto, questa la mia lettura, la Lega di Varese, non rappresenta il Veneto terra da cui le navi partivano per raggiungere popoli distanti e diversi con i quali scambiava merci, simboli, costumi di vita. Veneto attraversato dalle merci che, arrivate dall’ oriente, passando per Venezia, dai veneti venivano portate e vendute nel nord dell’ Europa, in uno scambio economico ma che era anche culturale e sociale.

Credo che alla Lega, alla sua cultura, più o meno improvvisata, avrebbe volentieri dedicato l’ invettiva contenuta in uno dei suoi versi: “ti abbaieranno le campane”.


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