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L’Italia migliore
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di Debora Aru

L’Italia migliore “Siamo noi l’Italia migliore” ha urlato dal palco di piazza del Popolo il segretario della Fiom Maurizio Landini. In giro per la piazza l’umore è comune. C’è molta paura, questo si percepisce. Tutti temono per il proprio futuro ma soprattutto hanno paura che gli venga portato via il lavoro per affidarlo a Paesi in cui la manodopera è più sfruttata e costa meno. Fulvio Fammoni ci propone una foto drammatica della situazione occupazionale nel nostro Paese: “in Italia, censiti formalmente, ci sono 3 milioni di persone che lavorano in nero. Oltre 2 milioni di disoccupati che sommati alla quota degli scoraggiati aumentano di diverse centinaia di persone. Oltre 2 milioni di precari, un milione di par time volontari con un numero talmente basso di ore che non arrivano alla fine del mese, 500mila persone tutti i mesi in cassa integrazione; in tutto sono 8 milioni di persone che hanno in questo momento un problema drammatico”.

Una delle situazioni emblematiche è quella dell’Irisbus di Avellino.
Silvia, una delle operaie ci spiega: “Dopo aver speso 34 milioni di euro di ristrutturazione, nell’ultimo anno, l’azienda decide di cederci ad una società molisana sorta due giorni prima che il documento arrivasse ai sindacati”. 700 operai, 1500 posti di lavoro indotto compreso sono i numeri di chi rischia di perdere il lavoro.
L’Irisbus si occupa di fabbricare autobus, soprattutto ecologici; è uno stabilimento tecnologicamente avanzato con manodopera professionale perché i lavoratori sono tutti dei piccoli artigiani.
“Mentre la società a cui ci vogliono cedere –spiega Silvia- è la DR GROUP che fa macchine con componenti cinesi. Questo gruppo non avrebbe dunque costruito più autobus e non avrebbe neppure garantito tutti i livelli occupazionali perché avrebbe assorbito solo 250 persone mentre il resto dei lavoratori sarebbe dovuto essere dislocato negli altri stabilimenti della FIAT Industrial al Nord Italia.
La paura, ci spiega Silvia è che i propri figli finiscano invischiati nella rete della criminalità e loro, dice, non lo possono permettere.
“Noi resistiamo –continua l’operaia- Sappiamo che l’unico stabilimento che ha delle prospettive è il nostro perché il parco autobus in Italia è obsoleto, il 70% degli autobus deve essere ristrutturato, dunque c’è una via d’uscita. Ma il governo deve sbloccare il fondo per il piano trasporti e visto che non succede, noi lotteremo”.

Al Nord la situazione non è diversa. Parliamo con dei ragazzi di Modena che lavorano alla L.A.G. fabbrica di ruote e supporti, ma anche Ferrari, la Maserati e macchine di lusso.
“Siamo in piazza per difendere quello che i nostri genitori hanno conquistato e perché ogni generazione deve essere responsabile di quella successiva, dicono gli operai da dietro lo striscione. Da noi in fabbrica c’è la paura diffusa, perché il datore di lavoro ci fa minacce velate, perché siamo entrati in regime di cassa integrazione. Ci sono le liste di “proscrizione”, ogni giorno la gente controlla che ci sia il proprio nome e ci facciamo schiacciare dalla paura”.

Ma il mercato dei beni di lusso non è in crisi perché voi avete paura? “Perché è una crisi creata dalle banche e le aziende tendono a produrre dove la manodopera costa meno. Tendono a eliminare i malati, chi si avvale della legge 104 sulle invalidità. Nelle liste ci sono queste persone e loro devono capire che le persone sono capitale, non immondezza”.

A Piombino, in Toscana, non si sta meglio. Anche gli operai della fabbrica siderurgica Lucchini, 3000 lavoratori circa, sanno quale sarà il loro futuro.
“Il nostro attuale proprietario – spiegano - un magnate russo, ci ha lasciato in mano alle banche. Il nostro stabilimento ha accumulato 470 milioni di debiti, non è riuscito a vendere lo stabilimento e quindi ha ceduto tutto alle banche disimpegnandosi. Per risolvere la crisi noi speriamo in un nuovo acquirente che investa nel ciclo integrale, rifacendo altoforni e cokeria e questo ci darebbe la possibilità di andare avanti”.

“In passato la Lucchini era leader italiano per la produzione di rotaie", ci dice un altro giovane operaio. A Piombino ci sono altri 2 stabilimenti oltre il nostro: una appartiene a un argentino e una ad un indiano, di italiano non c’è più nulla. La Cina è l’India creano i nostri stessi prodotti a prezzi più bassi, la manodopera costa meno e noi subiamo l’handicap di non possedere la materia prima che va quindi importata e dunque il costo complessivo aumenta”.
Non potevano infine mancare gli operai di Pomigliano.

“La situazione attualmente è più drammatica di quello che sembra”. A parlare è Antonio Di Luca, operaio e sindacalista. “Continuano a dire che fra poco ci sarà il lancio della nuova Panda, che noi dovremmo produrre, ma ancora per ora abbiamo solo visto slittamenti. Dopo la sentenza del mese scorso per condotta antisindacale della FIAT c’è ancora una sorta di sospensione della democrazia all’interno dello stabilimento e c’è ancora un’anomalia nel reintegro dei colleghi. Molti le chiamano assunzioni ma di fatto non lo sono: circa 200 persone sono state richiamate e fra questi però non c'è ancora nessun iscritto alla FIOM”.

Antonio ci racconta della recente sentenza che ha condannato la FIAT per condotta antisindacale: “Il giudice ha riconosciuto tutto l’impianto costruito dalla FIAT a partire dal falso referendum-ricatto del giugno 2010 che si è dimostrato un disegno autoritario per escludere la FIOM”.
Il messaggio che è passato, invece, è quello che gli accordi erano legittimi, mentre secondo noi c’è stata la violazione della legge sul Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda.
Noi siamo dinanzi all’assenza totale di una politica industriale del Paese e noi della FIOM ce ne siamo accorti per primi proprio a Somigliano. Non si è trattata di una semplice vertenza avvenuta in un singolo luogo. Il disegno era quello di fare in tutto il gruppo FIAT quello che si è tentato con Pomigliano. Non si sta creando occupazione, questa è una manovra esclusivamente finanziaria. Marchionne sta portando le sue conoscenze  in America, sta portando tutte le sue attività fuori dall’Italia”.
“Quando si parla della libertà di stampa, ci indigniamo e scendiamo in piazza come anche quando si parla dei diritti per l’indipendenza della magistratura. Quando invece si sospendono i diritti nei luoghi di lavoro tutti alzano le mani perché è la competitività. Ma non è così, quando c’è una regressione dei diritti nei luoghi di lavoro c’è una regressione della società. Quando il lavoratore ha lo stesso valore della merce che produce siamo alla barbarie”.  

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