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La rinascita araba che spaventa la destra
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di Riccardo Cristiano

La rinascita araba che spaventa la destra

Contrordine. I risultati del voto (parziale) egiziano non verranno più divulgati. Ma intanto quel che è filtrato rischia di essere preziosissimo. Per la destra. Soprattutto il dato sul successo dei salafiti (cioè i fondamentalisti duri e puri). Perché? Perché, da diversi anni a questa parte, ansiosa di trovare una risposta facile facile, la cultura della  destra ci ha spiegato che gli arabi, dominati dalla cultura islamica, sono ontologicamente refrattari alla democrazia. Destinati cromosomicamente alla tirannide, a rappresentare un’alternativa al nostro sistema e ai nostri valori. Ecco che la primavera poteva essere un problema, ma grazie a Dio – dal loro punto di vista- ci sono i salafiti, vera garanzia di alterità culturale. Perché se quello che gli arabi possono esprimere democraticamente è il salafismo allora meglio le dittature, meglio i Mubarak e gli altri aguzzini che abbiamo foraggiato e sostenuto per decenni, sicuri che la sola alternativa “araba” sarebbero stati e sarebbero ancora oggi i cannibali.

Per sostenere questa interessante chiave di lettura la nuova destra ha dovuto affidarsi ad alcuni apostoli altrettanto interessanti, come Magdi Allam, che dopo essere stato il divulgatore del verbo neocon in Italia è passato un momentino nel salotto culturale di Zamparini per arrivare infine a diventare l’interlocutore prescelto dei lefebvriani, i cristiani con la spada in mano (anche con gli ebrei, ma questo forse Magdi non lo sa). Questi apostoli  per sostenere le loro argomentazioni hanno dovuto rimuovere due piccoli  dettagli della storia: l’Ottocento e le modalità del trionfo dei Saud a inizio Novecento. Cominciamo da quest’ultimo dettaglio, che facciamo prima. I Saud hanno donato al loro mondo un qualcosa che sta all’Islam come il polpottismo sta alla sinistra. Ma chi li ha presi di peso portandoli sul trono di “custodi dei luoghi santi dell’Islam”? Non sono stati gli americani? Il petrolio saudita andava affidato a loro perché solo loro potevano garantire che ne avrebbero fatto un uso così debosciato da assicurare le forniture senza investire un solo cent nella crescita e diversificazione economica. Intanto i sauditii avrebbero anche avvelenato i pozzi culturali islamici assicurandoci che mai la parola sviluppo avrebbe potuto attecchire in quel mondo.

Questa è la prima rimozione. La seconda è l’Ottocento. Perché? Perché la storia dell’Ottocento dimostra che la malattia ontologica non è tale. Tanto è vero che in quel secolo la cultura araba, cristiana e musulmana, sceglie la Nahda, la rinascita, al cui cuore c’è la condivisione dei valori che noi oggi chiamiamo occidentali. La vera domanda è: quando va in crisi la Nahda? Con la colonizzazione? Con la nascita dell’Arabia Saudita e il diffondersi del morbo wahhabita? Con la guerra arabo-israeliana? Tutte queste sono state coltellate alla Nahda, non c’è dubbio, ma la sconfitta a mio avviso è arrivata con la guerra civile libanese. La Nahda, seppur gravemente ferita, ha resistito fino ad allora. E’ stata la caduta della sua capitale, Beirut, ad affossarla. E di lì a breve il combinato disposto di wahhabismo sunnita e khomeinismo sciita l’ha uccisa, complice l’avvenuta militarizzazione dispotica anche del fronte “laico” (nasserismo e baathismo). Questa ipotesi, discutibile come tutte le ipotesi, comporta però un corollario. Se la paralisi culturale araba è cominciata con la guerra civile libanese, il risveglio arabo è cominciato nel 2005, a Beirut, con l’intifada libanese. La rivolta quella volta si è indirizzata per la prima volta nella storia araba non più contro nemici “esterni”, ma contro il nemico “interno”, la dittatura autoprodotta. Beirut, con tutta la sua debolezza, e forse proprio in virtù della sua debolezza, pur rimanendo il “teatro di rimbalzo arabo” ( cioè il luogo dove si scaricano tutte le spinte dei limitrofi vasi forti) ha fatto rimbalzare nei campi vicini la sua debolezza, cioè la sua rivendicazione di libertà. La crisi del dispotismo arabo dunque l’ha innescata Bashar al-Assad, con la sua idiozia criminale, l’assassinio di Rafiq Hariri. E’ da allora che il fiume carsico della Primavera ha preso a scorrere in tutte le culture nazionali arabe. E’ da lì che può ripartire  il meccanismo virtuoso arabo? Forse sì, anche se crederci fino in fondo sarebbe stabilire automatismi a mio avviso eccessivi.

Ma se la Beirut liberale, la Beirut degli aspiranti ceti medi, la Beirut di Samir Kassir, ha innescato la miccia della rivolta araba, sono i due grandi malati, Iran e Arabia Saudita, a guidare con le loro convergenze parallele la controrivoluzione arabo-islamica. Nell’assenza di un soggetto europeo che sappia scommettere sulle primavere per costruire un Mediterraneo virtuoso, la vittoria delle primavere resta problematica, perché è solo lo sviluppo economico quello che potrebbe far nascere i ceti medi arabi, e solo i ceti medi potrebbero riportare a galla la Nahda, “capovolgendo questa storia capovolta”. Quei ceti medi che il patto di ferro firmato dall’Occidente con i sauditi ha sempre intenzionalmente combattuto. Purtroppo questa Europa incapace di difendere il proprio presente non sembra certo in grado di scommettere sul proprio futuro, capendo che questa è l’ora dell’Unione Euro-Mediterranea, cioè dell’offerta di una prospettiva europea a tutto il Nord Africa e il Levante, ricchi di manodopera e di idrocarburi, in cambio di di autentiche ristrutturazioni democratiche. Prima che la salvezza loro, sarebbe la salvezza nostra. Ma potremo non farlo, potremo seguitare a non investire sulle Primavere, decidere che l’area che produce il petrolio deve rimanere nella paralisi economica, ma almeno non diciamo che questo  è il prodotto della malattia ontologica degli arabi.

*da Il Mondo di Annibale


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