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Ma sono i tecnici che non ascoltano o e' latitante la politica?
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di Ottavio Olita

Ma sono i tecnici che non ascoltano o e' latitante la politica?

E’ bastato mandare gli ispettori dell’Agenzia delle Entrate a spulciare i conti dove si sa per certo che i soldi ci sono per scoprire un consistente nucleo di evasori. Parlo di Cortina e delle sue vacanze da sogno che evidentemente non riguardano affatto chi si consola frequentando le sale nelle quali si proietta il decadente cinepanettone e che a volte risultano con redditi superiori a quelli dichiarati da chi frequenta la sontuosa località sciistica.

Ma chi ha fatto quella scelta? Un governo tecnico che non ha avuto bisogno di inventarsi sofisticatissimi strumenti di indagine per perseguire un obiettivo dichiarato da tanti e praticato da pochi. Perché, ad esempio, non l’aveva mai fatto nessuno dei governi precedenti che si sono sempre riempiti la bocca con slogan inneggianti alla ‘lotta all’evasione fiscale’? Perché non c’era la volontà politica di farlo. Ora c’è chi è stato delegato a fare il ’lavoro sporco’, così come vent’anni fa la politica attese passivamente che il marciume di tangentopoli venisse scovato e perseguito dalla magistratura, piuttosto che ascoltare chi denunciava da anni la gravità della “questione morale” e intervenire.

Monti, Passera, Severino, Cancellieri, Fornero come Borrelli, Colombo, Davigo, Di Pietro (quando indossava ancora la toga)? Forse la delega è simile; i delegati sono completamente diversi. I magistrati di “mani pulite” erano impegnati nel ricostituire la legalità violata, in applicazione di una specifica competenza assegnata loro dalla Costituzione; i manager, i banchieri, i commercialisti, gli economisti d’oggi sono al lavoro per far quadrare i conti secondo i dettami di un ‘libero mercato’ che di libero ha molto poco e che guarda al denaro, ai titoli, ai capitali piuttosto che alle persone.

I giudici ci sono stati; i ‘tecnici’ ci sono. Chi mancava allora? Chi manca oggi? La politica. E’ sintomatico che – così come molto opportunamente sottolineato da Giulietti – più che di quel che si fa, oggi si discuta di “antipolitica” o “malapolitica”, cioè di quel che comunque non si dovrebbe fare. E per politica non intendo evocare la statura di personaggi come De Gasperi, Togliatti, Nenni, La Malfa, Fanfani, Spadolini, Moro, Berlinguer. Intendo parlare semplicemente di quei valori, di quegli ideali per i quali milioni di cittadini italiani si confrontano, discutono, si battono civilmente e democraticamente: il presente e il futuro, il lavoro, i servizi sociali, il ruolo dei giovani. Valori dettati o dalla dottrina sociale della chiesa, o dal marxismo, o dal socialismo democratico, o semplicemente da una forte coscienza laica dei diritti e dei doveri dei cittadini, così come esemplarmente elencati nella Carta Costituzionale.
In nome di questi valori oggi si potrebbe pretendere dai rispettabili tecnici chiamati a governarci che ‘equità’ non sia un bello, ma finora vano enunciato, ma che sia al fondamento degli interventi di risanamento. Che non si massacri  ulteriormente chi è stato tartassato per tutta la vita, che si apra una vera porta sul futuro per i giovani, che l’esempio Cortina non rimanga un exploit estemporaneo ma che divenga un possibile modello per scovare gli evasori. Altro che quei ridicoli e a volte offensivi spot televisivi che vanno bene solo per chi le tasse le paga già e che certo non producono atti di contrizione in chi evade, anche se viene paragonato ai peggiori parassiti animali.

Se questo accadrà, sarà possibile determinare una nuova coesione in un Paese abbagliato per decenni da bugie televisive miranti a costruire sfrenati individualismi. Qualche esempio? Se il nuovo ministro dell’Istruzione, così come ha fatto, parla solo di miglioramento della qualità delle scuole e la smette di riproporre tagli, c’è spazio per la speranza. Viene il gelo se il ministro del lavoro, in uno dei suoi primi interventi, attacca l’articolo 18 o se la prende – in modo assolutamente insensato – con le sane e solide casse di un istituto previdenziale come l’Inpgi. E che ne sarà della Rai? I banchieri e gli economisti che ci governano vorranno finalmente rendersi conto che l’azienda a cui è affidato il Servizio Pubblico radiotelevisivo è vincente sul mercato e che chi l’ha controllata finora ha tentato in tutti i modi di farle perdere proprio quel significativo primato? E se davvero ragionano di mercato ‘libero’, vorranno liberarla dai mille lacci e lacciuoli che il potere dei partiti le ha imposto con le immonde leggi che presiedono alla sua ‘governance’, ultima la Gasparri? E che dire del mondo del lavoro, dall’industria chimica a Fincantieri, dalle imprese che operano nel campo delle energie rinnovabili e ‘pulite’ a quelle agrozootecniche?

E le forze democratiche – non solo quindi il sindacato, che sembra ormai l’ultimo presidio ‘politico’ di quest’Italia derelitta – sapranno far capire a questi tecnici che si deve in qualche modo fare una distinzione tra quanti vivono o sperano di vivere del loro lavoro o di quello che stanno cercando e quanti sguazzano nel denaro depositato all’estero o  derivato da rendite parassitarie? E’ solo la politica che può e deve far capire che la fortissima volontà degli italiani di tirarsi fuori dai guai è strettamente collegata alla parola ‘equità’ secondo la declinazione in parte qui elencata. Questo modo corretto di operare potrà produrre benefici effetti, altrimenti, così come avvenuto pochi anni dopo la fine di ‘mani pulite’, quando la corruzione ha ripreso a trionfare incontrastata, al posto della politica rimarranno soltanto malapolitica o antipolitica.


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