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Articolo 21 - INTERNI
Rosarno, Italia
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di Santo Della Volpe

Rosarno, Italia

Rosarno è una delle facce dell’Italia dei primi 10 anni del 2000, la più triste: è il segno di una mutazione sociale, politica  e culturale che è avvenuta sotto i nostri occhi senza che riuscissimo a capire  e ad intervenire per cambiare questa pericolosa china verso il vuoto. Basta camminare per il paese, 15000 abitanti, molte case tutte uguali e tutte anonime, i murales scoloriti delle lotte dei braccianti, il “Quarto stato”, in versione raccolta di  arance, dipinto sul muro della piazza davanti  al monumento a Giuseppe Valarioti, segretario cittadino del Pci ucciso l’11 giugno 1980 dalla ‘ndrangheta proprio perché si opponeva al controllo del territorio da parte della mafia e subito dopo un festeggiamento di una vittoria elettorale che a Rosarno signficava il cambiamento, un riscatto possibile ; un delitto insoluto,senza una condanna. Ora il monumento mostra un uomo che sembra baciare la terra, esangue , bloccato  nel bronzo dell’opera artistica di Maurizio Carnevali, fermo come un testimone o come un sofferente. Un passato glorioso quello di Rosarno , che risale ancora a 15 anni fa quando il sindaco coraggioso Peppe Lavorato, della giunta di sinistra, camminava a testa alta nel paese , arrivando a piedi al Comune, facendo poi vedere a noi giornalisti i segni della lupara che i boss delle famiglie della ‘ndrangheta ogni sera facevano  sparare a pallettoni contro il Municipio. Ma di nascosto, nel buio mentre il sindaco camminava, di giorno, tra la gente: ora Lavorato, dopo aver lasciato la carica di sindaco nel 2002 e superati gli 80 anni, vive a Vibo Valentia, assistendo alla disgregazione progressiva di quel sistema di valori che avevano fatto di Rosarno la città dell’accoglienza.
Che fine ha fatto quella tradizione di forza e resistenza, di solidarietà contadina  in nome della legalità e della uguaglianza tra i popoli e le genti?
Dov’è la voglia di riscatto che si levava da questa terrà, per le scuole, il “progresso” (si diceva allora) culturale ed economico dei braccianti e delle loro famiglie, quello stesso per il quale è morto Valarioti?
Dov’è la Rosarno che nel 1997 era un paese modello nell’incontro con gli immigrati, al punto da aver istituito per il 6 gennaio di ogni anno una giornata di festa della fratellanza dei popoli?
  Oggi  quel municipio con i buchi dei pallettoni nei muri non c’è più ed al corteo del Comitato civico di Rosarno, l’unico striscione contro la mafia che i giovani del liceo hanno tentato di aprire, è stato fatto chiudere in fretta dagli organizzatori: perché?
 La costruzione del Comune è nuova e  moderna, ma dentro c’è il commissario  prefettizio straordinario,  l’amministrazione ( di centro destra) è stata sciolta per infiltrazione mafiosa. Non c’è più un punto di riferimento per i cittadini, ai quali restano il parroco, il commissariato , le associazioni dei volontari come Mamma Africa, al secolo Loretta Ventre, 83 anni che gestiva una mensa per i lavoratori immigrati, anche questa spazzata via dalla violenza di chi ha dato la caccia al  nero, ignobile , nella notte della  vergogna di Rosarno. La notte che ha cancellato la ragione ed ogni tentativo di incontro tra italiani ed immigrati, la notte delle spranghe e dell’assedio: e poi il giorno dell’intolleranza, quello che resterà per sempre nella storia di questa Italia come il giorno in cui, per la prima volta, dalle leggi razziali fasciste, un paese italiano, la polizia ed un governo italiano, hanno cacciato via delle persone solo perché straniere e solo perché hanno un colore della pelle diverso, riaffermando l’incapacità a difenderle dalle aggressioni di un manipolo di fascisti mafiosi, dicendo chiaramente che la legalità in questo paese non esiste per tutti. Un significativo inizio di questo decennio italiano, una vergogna nazionale quel che è successo a Rosarno, di fronte alla quale un ministro degli interni dovrebbe andare in Parlamento per dimettersi.
Eppure era un fuoco che covava sotto la cenere: perché a Rosarno, anche prima dell’8 e 9 gennaio non si poteva parlare né di accoglienza né tantomeno di integrazione , almeno da 5 o 6 anni, da quando cioè le istituzioni hanno smesso di lavorare nel superamento dei conflitti e nell’aiuto al lavoro; e da quando gli immigrati stagionali al lavoro sono diventati 3000 l’anno, da quando dentro le due ex fabbriche abbandonate, alla Rognetta e all’ex olearia di Spartivento (ma non solo, anche intorno alla villa sequestrata al boss Albanese e mai assegnata), si sono formate vere bidonville di cartone e lamiere, come a Bombay o Rio de Janeiro.
Rosarno ha aiutato con la solidarietà di alcuni singoli abitanti  quei ragazzi di colore ; per alcuni anni, facendo così emergere il vuoto di chi doveva provvedere e non l’ha fatto e l’orrore di quegli accampamenti.
 Già, chi doveva? Secondo il contratto di lavoro dei braccianti i datori di lavoro devono provvedere al trasporto e, nel caso, alla sistemazione temporanea dei loro lavoratori. Ma quei ragazzi di colore non hanno contratto di lavoro: sono “neri in nero”, si pagavano il trasporto ai campi ( con auto cumulative del ‘caporale’pagate con parte del salario giornaliero  o pedalando all’alba su biciclette scassate che trovavano o che qualcuno gli regalava) , vivendo in baracche di fortuna ricavate da lamiere e sacchi di spazzatura, su materassi raccattati o regalati da semplici cittadini, senza acqua e senza servizi igienici; sottoposti poi alla vessazione di una paga di 25 Euro il  giorno o, peggio, di 1 Euro a cassetta da 20 kg di arance  raccolti; infine rifiutati dalla popolazione e dileggiati da ragazzotti della malavita che tiravano loro  sassi o sparavano con fucili a pallini. Tutto intollerabile, per chiunque.
Lo scorso anno ,dopo l’ennesimo tiro al bersaglio con fucili a pallini e dopo una civile protesta al Comune, fu fatto un vertice dove Enti Locali e prefettura misero a punto un piano d’intervento per migliorare  la loro condizione di vita: costo 200mila Euro. Mai arrivati, solo la Regione mise la sua parte di 50mila Euro per WC chimici che  furono poi tolti appena finirono i soldi stanziati. Perché dal ministero degli Interni non arrivarono mai quei soldi promessi? Avrebbero forse portato un po’ di acqua, qualche prefabbricato per i servizi igienici e le docce, certamente un po’ di sollievo e meno rabbia, meno abbandono. Niente, Ora il Ministro Maroni pensa solo a gridare contro l’immigrazione clandestina. Cos’erano 200mila Euro nell’economia della milionaria Protezione Civile?
Eppure nel 2007 la Cgil aveva lanciato l’allarme: nella piana di Rosarno e Gioia Tauro venivano impiegati per lavoro sino a 20000 immigrati, a Rosarno punte di 4000 mila persone. Solo silenzio e nessuna risposta.
Poi c’è la ‘ndrangheta, la più potente organizzazione criminale del momento, in Italia sicuramente, una delle più ramificata nel mondo: nasce in Calabria, c’è sempre stata, ha in mano ora il traffico mondiale di cocaina insieme ai sudamericani. Ricchissima, ricicla denaro nelle piazze finanziarie del mondo, investe a Milano come a Melbourne, a Roma come a Toronto. Ma la sue radici, i suoi terminali, i boss delle varie famiglie, vivono in Calabria, anche a Rosarno e nella caccia all’uomo contro gli immigrati si sono distinti in ferocia. Perché  la rabbia esplosa degli extracomunitari aveva osato toccare le loro auto, aveva sferrato qualche pugno ai passanti. Violenza deprecabile, sbagliata  certamente anche se con ragioni e motivazioni precise. Ma che non giustificava una reazione incivile di un centinaio di abitanti di Rosarno a “caccia del nero” con spranghe e fucili.
I boss della ‘ndrangheta hanno provocato questa ferocia? Forse hanno aizzato la rabbia degli extracomunitari  spargendo la voce tra gli immigrati di ragazzi di colore uccisi; e certamente  erano loro affiliati quelli che hanno sparato ai giovani “neri” con quei fucili a pallini… Certamente hanno cavalcato e poi guidata, senza vergogna, la caccia all’uomo .
Perché dovevano riaffermare il principio del controllo del territorio; “a casa nostra, a Rosarno, decidiamo noi chi ci può vivere ed alle nostre regole”, aizzando poi la popolazione tutta contro giornali e Tv colpevoli di aver detto che la ‘ndrangheta c’entrava in quella ignobile vicenda. Anche così si controlla il territorio, imponendo quelle regole di sottomissione alla propria visione del mondo: agli immigrati, che lo scorso anno avevano denunciato le persone che avevano sparato contro di loro, facendo anche arrestare gli autori. Intollerabile per la criminalità che “addirittura” dei neri facessero arrestare dei mafiosi; e che poi alzassero la testa, gli stessi neri, contro i caporali ed i trafficanti di mano d’opera.
Regole di sottomissione per gli abitanti onesti di Rosarno facendo vedere che chi sgarra prende le sprangate, la legge è del più forte e guai a chi aiuta gli extracomunitari, come è accaduto alla mensa di Mamma  Africa, dove i soliti noti hanno fatto a pezzi i tavoli;  facendo infine vedere al mondo che neanche la polizia poteva fermarli nel loro territorio.
Infatti:  dove era la polizia mentre le squadracce si dedicavano a quella caccia all’uomo? Come hanno potuto far accadere tutto questo arrivando in massa solo il giorno dopo? Dov’era la legalità in quei due giorni?
Ha ragione il Capo dello Stato Giorgio Napoletano: a Rosarno si è persa legalità e solidarietà. Va ripristinata, al più presto. Ma intanto e’ scomparsa, nel sonno della ragione: perché non c’è più a Rosarno un luogo che impedisca lo scoppio dei conflitti, trovando soluzioni condivise tra le parti. E’ accaduto da quando il Municipio ha smesso di farlo, tanto più  dopo lo scioglimento per infiltrazioni mafiose, avvalorato dagli ultimi arresti del clan Bellocco, uno dei quali ex assessore.  La politica a Rosarno ha smesso di essere un luogo di ricerca di soluzione dei problemi: le istituzioni  politiche non ci sono, il potere è solo un luogo di interesse personale, di scambio di favori.  Anche per questo la manifestazione silenziosa dei 1500 cittadini di Rosarno, organizzata da quel Comitato Civico, era particolarmente triste. Un corteo di no: alla criminalizzazione di Rosarno come città razzista, ai mass media, senza una proposta di soluzione del problema, senza una voglia di battersi per uscire da quell’angolo di infamia; solo la difesa di uno Status quo sociale, esattamente di quella indifferenza generalizzata chiedendo alle istituzioni di esserci, ma senza dire per quale progetto. Ed in più, hanno messo il marchio negativo del vuoto e del silenzio imposto , impedendo ai ragazzi del Liceo scientifico di aprire uno striscione di speranza che si augurava, un giorno, di poter vivere in un paese senza mafia. Così hanno impedito ogni sguardo al futuro, hanno suggellato una manifestazione  plumbea e tetra che guardava solo al passato, impedendo di far sorgere nella pioggia l’unico possibile arcobaleno di speranza. E lasciando vivo il sospetto indelebile che fosse proprio la mafia, la ‘ndrangheta il loro problema irrisolto, quello di fondo che impedisce la solidarietà,l ’incontro, la soluzione del problema immigrazione.
L’unica cosa fatta a Rosarno in reazione a quei due giorni di follia è stata l’abbattimento del fatiscente ricovero della Rognetta; come se le ruspe potessero  togliere di mezzo la vergogna, eliminando le catapecchie ma lasciando intatto il problema  di fondo. Quelle catapecchie non sono uno spettacolo bello a vedersi ,ma invece di pensare a risolvere i problemi di chi ci viveva dentro, li hanno cacciati ed hanno abbattuto quei muretti di cartapesta e lamiera, quasi fosse colpa loro, degli immigrati, se erano costretti a viverci dentro, come se piacesse loro far pena per quella vita. A Rosarno qualcuno si è sentito minacciato da quel dolore, da quella fatica di vivere, da quell’odore di sporcizia, da quella disperazione che si è trasformata in rabbia. Ed invece di aiutarli,questi lavoratori (tanto utili però per raccogliere quegli agrumi che nessuno dei rosarnesi fatica a raccogliere…), invece di  chiedere allo Stato di portare qui prefabbricati ed acqua calda per chi passava 12 ore a faticare nei campi, hanno pensato bene di cacciarli via aprendo la caccia con in prima linea quei boss e figli dei boss che di lavorare non ci pensano proprio, tantomeno in campagna.
Tanto se le arance non le raccoglie nessuno c’è sempre l’aiuto comunitario, i soldi bene o male arrivano dalla UE,: e quest’anno, con la produzione che c’è,  costa più raccoglierli gli agrumi che farli cadere per terra.
Il cerchio si chiude: sfruttati quando servono, pagati poco e male quando lavorano, messi da parte e costretti a passare le giornate nelle loro catapecchie quando non lavorano perché non conviene ai padroni dei terreni, gli immigrati sono persone considerate senza diritti: sfruttati, messi da parte, per di più dileggiati. E se alzano la testa, insultati: e se poi si ribellano cacciati via, complice uno Stato che pensa solo a buttare fuori gli immigrati, mai all’integrazione o perlomeno al rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo. Innanzitutto quello alla dignità, che vale anche e soprattutto per i più poveri.
Torniamo allora  al punto d’inizio: Rosarno, Italia. Specchio di un paese che sta perdendo i fondamenti della solidarietà umana, della soluzione dei problemi, dove la politica rischia di essere solo potere ed egoismo di gruppi sociali forti ed arroganti che non vogliono il rispetto delle regole uguali per tutti, perché le regole valgono solo per i più poveri, imposte dal potere, non regolate dalla Costituzione. Le regole per la maggioranza e che una minoranza di potenti non riconosce per sé; che vengono passate per logiche, normali e condivise da un sistema d’informazione controllato e gestito da un telecomando unificato. 
A Rosarno abbiamo perso tutti, ci ha detto il procuratore capo di Palmi.
 Lo Stato, a solidarietà sociale, la politica come ricerca di soluzione dei problemi, le istituzioni che cercano di affrontare i conflitti ed i contrasti evitando le ragioni di ogni reazione violenta e gli egoismi personali; ha perso chi, ancora oggi, si ostina a lavorare in nome del bene sociale, di tutti.
Hanno vinto in pochi: gli egoismi individuali, la politica del potere per il potere, gli interessi di una società di clan che usa il bene pubblico a fini privati, imponendo la violenza come soluzione dei conflitti, cercando poi di riscrivere la storia ad uso e consumo di chi ha in mano la spranga ed il manganello, sia vero che mediatico.
 Per questo ha vinto la ‘ndrangheta, cioè la criminalità, che di questi disvalori si fa quotidianamente portavoce e gestore.

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