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Italia, ultimo treno per la Somalia
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di Shukri Said*

Italia, ultimo treno per la Somalia

Il Primo Ministro somalo Abdiweli Mohamed Ali ha da poco lasciato l’Italia, dopo la visita ufficiale fitta di impegni con le Autorità italiane conclusasi lo scorso primo febbraio, ed è tempo di interrogarsi sul futuro dei rapporti tra Italia e Somalia. In molte delle numerose interviste cui si è sottoposto il Primo Ministro somalo a Roma è sembrato di leggere una secca risposta negativa alla proposta italiana circolata su Internet in questi giorni in vista della conferenza sulla Somalia di Londra, fissata al prossimo 23 febbraio con l’invito ad oltre 45 Stati: ripristinare l’amministrazione fiduciaria come quella che l’Italia adottò tra il 1950 e il 1960.

“Se a Londra si riproporrà l’amministrazione fiduciaria, si perderanno tempo e prestigio” ha detto Abdiweli Ali.
In effetti una riedizione dell’amministrazione fiduciaria, con addirittura l’ipotesi della nomina di un presidente straniero, suona anacronistica nel XXI secolo sia perché riecheggia il colonialismo, sia perché i recenti sviluppi politici hanno mostrato, con Primi ministri come Mohamed A. Mohamed e lo stesso Abdiweli Ali Mohamed, che la Somalia dispone di personalità brillanti, perfettamente integrate ed a loro agio nella vita e nella diplomazia occidentali. Si tratta di risorse umane di primo livello che rendono l’ipotesi dell’amministrazione fiduciaria un ferro vecchio, un inapplicabile e inaccettabile strumento di controllo che, oggi, i somali non meritano e non tollereranno.
La risposta errata fatta trapelare dalle Autorità italiane alle prospettive di ripristino della legalità e della pacificazione in Somalia è certamente frutto di una trascuratezza nei confronti del Corno d’Africa che sta facendo perdere la sintonia tra i due paesi.

La fermezza con cui Abdiweli Ali Mohamed ha respinto l’ipotesi dell’amministrazione fiduciaria sembra aver conseguito un ravvedimento nelle parole del Ministro degli esteri Giulio Terzi di Sant’Agata quando ha affermato, al termine dei colloqui col Primo Ministro somalo, che l’Italia sosterrà una leadership locale.
E tuttavia altri paesi stanno incrementando i loro interventi in Somalia sia sul piano culturale che su quello tecnico.
 
L’Italia, invece, ha ormai abbandonato questo programma di formazione culturale e nessun somalo sotto i cinquant’anni parla oggi l’italiano.
A sua volta la Gran Bretagna dà la propria cittadinanza a 12000 somali ogni anno e l’inglese è ormai la lingua più parlata tra i giovani di un paese che si sta sempre più anglicizzando.
La Turchia nel 2011 ha distribuito 500 borse di studio ed altre 700 ne offre ai somali per il 2012, inoltre sta ristrutturando l’aeroporto di Mogadiscio che diverrà a breve uno scalo internazionale e sono già previsti, entro questo mese, tre collegamenti settimanali con Ankara. Un importante programma di infrastrutture civili e sanitarie sta inoltre prendendo avvio ed i somali ormai la riconoscono ocome il primo paese amico, laddove, fino a un anno fa, era un paese quasi sconosciuto.

Appare evidente che Erdogan sta assumendo sul palcoscenico del mondo islamico il ruolo che prima aveva l’Egitto, attualmente ripiegato sui suoi convulsi processi politici interni.
L’Italia, invece, da sei mesi ha interrotto il contributo economico destinato all’esercito somalo: un presidio necessario per contenere sempre più Al Shabab, il gruppo terroristico aderente al network di Al Qaeda. Sebenne il Ministro Cancellieri si sia impegnata con il Primo ministro somalo ad organizzare la preparazione di 200 poliziotti, è altrettanto vero che già ora il Kenia ne prepara 1000 all’anno per la Somalia.
L’Italia ha sempre provveduto alla preparazione del personale militare somalo presso l’Accademia Militare di Modena, presso la Scuola di guerra di Civitavecchia o presso quella di polizia tributaria e ha formato la burocrazia del Corno d’africa presso la Scuola superiore della Pubblica Amministrazione. In Italia, inoltre, i somali seguivano corsi di specializzazione in tutti i settori scientifici e umanistici formando i loro medici, magistrati, avvocati, architetti, veterinari …
Tutti questi programmi di collaborazione e cooperazione non esistono più da decenni.
Insomma, quando il Primo Ministro Abdiweli Ali insiste che l’Italia deve fare di più, sta segnalando che altri, in Somalia, stanno occupando spazi che un tempo erano italiani, dalle borse di studio, alle infrastrutture, dall’addestramento militare, al supporto burocratico e amministrativo.
Non c’è bisogno di spiegare che cosa significhi avere zone di influenza oltre i propri confini in termini di mercato e di peso internazionale sicché stupisce che l’Italia non svolga in Somalia per intero il compito che ha già svolto in passato e che le è appena stato chiesto di riprendere per il futuro.
Spetta solo all’Italia decidere il ruolo che intende giocare nel Corno d’Africa, ma appare sinceramente miope farsi mettere da parte proprio là dove ha sempre primeggiato.
E di un sempre più intenso intervento dell’Italia, autonomo rispetto all’ONU come ha già scelto di fare la Turchia, ci sarebbe veramente bisogno soprattutto adesso che è stato registrato un piccolo miglioramento delle condizioni climatiche con benefici sulla carestia. Questo è il momento di dare un microcredito agli agricoltori e strumenti per coltivare la terra.  

Il miglioramento del clima, infatti, non significa certo che l’emergenza umanitaria sia stata superata. Anzi, come ha detto il nostro Sottosegretario agli Esteri con delega all’Africa Staffan de Mistura in un’intervista al Corriere della Sera, non si deve assolutamente retrocedere e l’impegno va raddoppiato, soprattutto adesso che gli spazi per raggiungere più vaste popolazioni con gli aiuti internazionali si ampliano come conseguenza dell’arretramento di Al Shabaab.
Il miglioramento del clima ed una contingenza favorevole evidenziano comunque le eccezionali capacità di ripresa della Somalia ed una vitalità che dalla natura si trasferisce agli uomini. “Il paese ce la può fare” come ha detto Abdiweli Ali salutando l’Italia.

Questi risultati lasciano cinfine intendere che se gli interventi internazionali potessero contare su fiumi meglio irreggimentati, su strade meglio costruite, su sostegni all’agricoltura ed alla pastorizia meglio organizzati e più costanti e la sicurezza fosse garantita, la Somalia potrebbe risorgere con grande facilità, cessare di essere un’esportatrice di rifugiati e, certamente, si attenuerebbero sino a scomparire fenomeni come la pirateria o il terrorismo notoriamente legati alla povertà che favorisce il proselitismo della malavita. All’Italia è stato chiesto di assumere il ruolo di capofila in questo processo e non appare coerente rispondere proponendo una riedizione del colonialismo. 

*fondatrice dell'Associazione Migrare – www.migrare.eu

Articolo tratto da l'Unità


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